#nondimentichiamohaiti. L’hashtag, diffuso dalla Fondazione Rava-Nph onlus non può che essere condiviso e rilanciato. Perché Haiti, a 5 anni dal sisma che la mise in ginocchio, non è ancora del tutto in piedi. Nonostante siano sorti scuole e ospedali, e molte case siano ricostruite, il Paese caraibico rimane il più povero dell’America e uno dei più poveri al mondo: dal 2011, ha perso dieci punti per quanto riguarda l’indice di sviluppo umano, posizionandosi al 168° posto.
Gli haitiani, quel 12 gennaio 2010 non lo scorderanno mai. Alle 21.53 il Paese fu sconvolto da un boato terribile, classificato, poi, come terremoto di magnitudo 7 della scala Richter. Nei giorni seguenti vi furono 52 scosse superiori ai 4,5 gradi. Haiti sprofondò nelle macerie.
Oltre 220mila vittime, 300mila feriti, e un milione e mezzo di persone rimaste senza un tetto. Fu un sisma ‘democratico’, colpì poveri e ricchi. Crollarono il palazzo presidenziale, il palazzo dell’Assemblea Nazionale, la Cattedrale e la sede dell’United Nations Stabilization Mission. Ma la tragedia di Haiti continuò anche dopo: a ottobre dello stesso anno si diffuse un’epidemia di colera e, nel 2012, due uragani – Isaac e Sandy – sconvolsero la lenta ricostruzione, provocando un altro centinaio di morti.
Le condizioni della popolazione haitiana pochi giorni dopo il terremoto del gennaio 2010 (foto Stefano Guindani)..
Duecentomila persone patiscono ancora la fame
Oggi il 15% della popolazione (che si attesta sui 10 milioni, e il cui 42% ha meno di 18 anni) detiene più dell’85% della ricchezza del Paese. Il 55% degli haitiani vive con un dollaro al giorno. Duecentomila persone patiscono ancora la fame. Il tasso di mortalità infantile è tra i più alti al mondo (88 su 1.000); il 22% dei piccoli fra i 6 e i 59 mesi, soffre di malnutrizione cronica.
«Haiti è un Paese piccolo, basterebbe poco per “sistemarlo”, per costruire le strade, dare accesso all’acqua potabile e a qualche fonte di energia», dice Angela Osti, operatrice ad Haiti di Caritas Italiana. «È circondato da sistemi socio-politico-economici virtuosi, da cui potrebbe prendere esempio. La situazione attuale non è né peggiore, né migliore rispetto a prima del terremoto; è una situazione, ormai cronica, di precarietà e povertà. L’accesso al cibo resta un grosso problema, non c’è sviluppo rurale e non potrà essercene, finché non si fanno piani di sviluppo integrato, almeno quinquennali, ma i finanziatori fanno fatica a sostenere progettualità di medio-lungo periodo, quindi si resta sul piano dell’assistenza.
A parte alcuni grandi resort, hotel e villaggi turistici per un turismo che desidera vedere solo “il bello”, non c’è una valorizzazione e difesa del territorio e delle sue potenzialità». L’economia haitiana, concentrata per il 70% nella zona metropolitana della capitale Port-au-Prince, non produce praticamente nulla, e dipende quasi totalmente dalle importazioni dall’estero.
La spesa pubblica nazionale per il servizio sanitario, rapportata al Pil, è il 5,5%; almeno il 47% della popolazione non ha accesso all’assistenza sanitaria, A tutto questo si aggiungono la sovrappopolazione delle zone urbane e l’oblio di quelle rurali, e la corruzione (Haiti si colloca fra i primi 10 al mondo della classifica dei Paesi più corrotti).
Il bilancio nazionale si fonda sugli aiuti esterni
Lo scorso 14 dicembre, il primo ministro, Laurent Lamothe, a seguito delle proteste per le mancate elezioni legislative, attese da tre anni, ha rassegnato le dimissioni. E oggi, 12 gennaio, proprio il giorno del quinto anniversario del terremoto, scade il mandato del parlamento.
A quel punto il presidente Michel Martelly governerà per decreti. Nel vuoto di potere statale, Haiti è “in mano” agli stranieri, ovvero è presidiata dalla missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (Minustah, ovvero United Nations Stabilization Mission in Haiti). Non solo. La sanità pubblica è gestita con medici per lo più cubani, l’educazione utilizza il metodo “francese”, l’accesso ai servizi di base è garantito da Ong internazionali.
Lo stesso bilancio nazionale si fonda sugli aiuti esterni. «La popolazione haitiana», riprende Angela, «purtroppo ancora non ama molto il proprio Paese, non lo sente suo, non si identifica, guarda e ambisce sempre a quello che è straniero».
In questi 5 anni, la Caritas Italiana ha finanziato 169 progetti di solidarietà
Là dove non arriva lo Stato, arriva la Chiesa locale, unico “potere” capillare, che ha la capacità di riunire moltissime persone, di creare coscienza sociale e politica, di “generare” cittadini. Al suo fianco e a fianco della Caritas sorella (Caritas Haiti), fin da subito ha lavorato Caritas italiana finanziando, dal 2010 ad oggi, 169 progetti di solidarietà, per un importo di oltre 21,5 milioni di euro, pari a circa l’86,3% dei 25 milioni raccolti grazie alla colletta straordinaria promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, il 24 gennaio 2010.
La maggior parte dei progetti sono attivi nelle zone colpite (dipartimenti Ovest, Sud-Est e Grand’Anse), e coinvolgono tutte le 10 diocesi del Paese caraibico. Nello specifico, quasi 2,8 milioni sono andati all’assistenza dei senza tetto (il 12,93%), 7,6 milioni alla formazione e all’inclusione sociale (35,36%), altri 2,77 milioni a progetti in ambito sanitario (12,86%), 7,3 milioni a progetti in ambito socio-economico (33,75%). Rimangono 3.400 euro per la realizzazione di progetti nel triennio 2015-2018.
Haiti (foto Stefano Guindani).
Negli ultimi 10 anni, i bambini che frequentano la scuola primaria sono saliti dal 50 al 70%
Ad Haiti l’80% delle scuole sono private, e solo una piccola minoranza di bambini e giovani può accedervi. Ma anche le tasse scolastiche delle scuole pubbliche sono alte. Per questo, SOS Villaggi dei Bambini, nel post terremoto ha concentrato la sua attenzione sul settore educativo, costruendo e ristrutturando molte scuole, formando gli insegnanti, creando biblioteche e dotando le strutture di computer.
Negli ultimi dieci anni, il numero di bambini che frequenta la primaria è salito dal 50 al 70%, ma l’accesso all’istruzione rimane limitato soprattutto nelle zone rurali, quelle che Robenson Claude, coordinatore nazionale di SOS Villaggi dei Bambini chiama “L’altra Haiti”.