Si stima che 60 mila giovani lascino l'Italia ogni anno, e il 70% di loro sono laureati. Ancora: negli ultimi vent'anni, i nostri "cervelli" all'estero hanno prodotto brevetti per un valore di 4 miliardi di euro, dopo che il sistema educativo italiano aveva speso fior di soldi per la loro formazione. Ma l'Italia può ringraziare solo sè stessa per queste perdite, perché nel resto d'Europa e negli Stati Uniti i nostri talenti trovano porte spalancate. Da noi no.
Sergio Nava, giovane giornalista e scrittore, due anni fa ha dedicato a questo argomento il libro La fuga dei talenti, pubblicato dalla casa editrice San Paolo, e con lo stesso nome ha aperto un blog che ha raccolto finora oltre 140 mila contatti. Quest'anno ha aggiunto alla pagina web un "centro studi" on line, nel quale immette quasi ogni giorno dati e analisi raccolti da più fonti, su quanto e perchè l'Italia lasci scappare molti dei suoi giovani migliori, i più preparati, i più intraprendenti (http://fugadeitalenti.wordpress.com/centro-studi-fdt/).
Il "Centro studi fuga dei talenti" offre uno sguardo documentato e impietoso sul "sistema Italia", gerontocratico, non meritocratico, miope nello sbarrare le porte alle nuove leve non solo verso un lavoro stabile, ma anche verso i posti di responsabilità. Apprendiamo, per esempio, che un neolaureato da noi guadagna in media 1.054 euro al mese, all'estero 1.568. Oppure che nel 2004 il 20% dei laureati entrava in azienda con un contratto a tempo determinato, mentre nel 2010 è successo solo al 6% di loro. Non solo: se nel 1990 l'età media delle élite in Italia era di 51 anni, nel 2005 era salita a 62. Mentre dal 2000 al 2010 si è quasi dimezzato il numero di amministratori "under 30" nelle imprese.
Sergio Nava, negli anni Duemila i laureati espatriati sono raddoppiati. Come si spiega?
"E' un dato dell'Istat, la quale dice che tra il 2002 e il 2008 la percentuale di laureati che si sono trasferiti all'estero è passata dal 9,7% al 16,6%, quasi un raddoppio. E' vero che in Italia chi ha una laurea conserva ancora qualche possibilità in più di trovare lavoro e guadagna un po' più di un diplomato, però esiste un trend per il quale il capitale umano viene sempre meno valorizzato. D'altronde, quando ministri ed esponenti varii affermano che bisogna tornare al lavoro manuale, il messaggio subliminale è che la laurea non serve a nulla. Il risultato è che i laureati iniziano a capire che fuori d'Italia, per lo meno nei Paesi più a Nord, il titolo di laurea viene valorizzato maggiormente: i salari che trova lì, la trasparenza del mercato del lavoro, la valorizzazione del capitale umano in Italia non ci sono".
Un dato nel suo sito afferma che solo il 9,1% di giovani italiani di origini umili arriva alla laurea, contro una media europea del 23%...
"Sì, gli ascensori sociali in Italia sono bloccati. Lo dicono vari studi e indagini, la casa editrice Il Mulino ha dedicato un libro a questo fenomeno, Immobilità diffusa. Un'analisi ha provato che da noi lo stipendio di un figlio è quasi tarato su quello del padre: tanto guadagna il padre, altrettanto guadagna il figlio. Proprio perché il nostro è un Paese bloccato, che funziona per corporazioni e ordini, e dove il ricambio generazionale è più basso che all'estero, per tutta questa serie di motivi il figlio di un operaio ha meno possibilità di salire la scala sociale rispetto al figlio di un impiegato o di un dirigente".
La legge sul "Controesodo" del dicembre 2010 può far rientrare in Italia giovani talenti?
"E' un buon ponte tra l'Italia e il resto del mondo, perché se qualcuno pensa di tornare, ha la possibilità per tre anni di pagare un'aliquota di tasse ridotta. Intacca il problema dello stipendio, che da noi, per chi è qualificato, è molto più basso rispetto ad altri Paesi. Però rimangono altri problemi. Per esempio, quello molto grave della selezione, perché nessuno risponde ai curricula inviati dai giovani; o quello del ricambio generazionale, perché a 30 anni in Germania magari sono manager, mentre qui devono ridursi stipendio, qualifica e aspettative di carriera. Sì, la legge detta "Controesodo" unisce il resto d'Europa con l'Italia, però se tornano trovano lo stesso Paese che avevano lasciato. Pagano meno tasse, ma il Paese va modernizzato rispetto a tutto il resto".
Una proposta bipartisan divenuta legge con il voto favorevole in Parlamento di tutti gli schieramenti: almeno sull'urgenza di favorire il ritorno di talenti in Italia, i partiti politici non si sono divisi. Così, il 23 dicembre scorso è stata approvata "Controesodo", primo traguardo di una serie di provvedimenti che intendono agevolare il rientro di tanti nostri emigrati qualificati.
La recente legge, denominata "Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia", è destinata a cittadini europei laureati (che abbiano risieduto per almeno 24 mesi nel nostro Paese) nati dopo il 1° gennaio 1969, che abbiano maturato esperienze all'estero e desiderino rientrare in Italia per svolgere attività di lavoro dipendente, autonomo o d'impresa. Per tre anni, le loro tasse saranno ridotte al 30% se uomini e al 20% se donne, e potranno contare su alcune semplificazioni burocratiche per il rientro.
La proposta di legge è stata elaborata soprattutto da una decina di parlamentari accomunati da un'età relativamente giovane e da esperienze di lavoro o di studio realizzate all'estero. Una di loro è Alessia Mosca, 35 anni, deputata del Pd e segretario della Commissione Lavoro, che è stata relatrice alla Camera della proposta.
Onorevole Mosca, perché siete partiti dai benefici fiscali per favorire il rientro?
"Il beneficio fiscale vuol essere una tentazione in più, che va a colmare una delle difficoltà oggettive a rimanere in Italia. Sappiamo bene che ne esistono molte altre, di vario tipo e che non riguardano soltanto i soldi: tanti ci dicono che non se ne sono andati all'estero a lavorare per quello, ma perché in Italia trovavano condizioni complicate, difficili. Siamo ben consapevoli che ci sarebbe molto da fare, da una serie di servizi per la famiglia alla soluzione di altre lacune, però non volevamo farci spaventare dal fatto che qualcuno potesse dire "Sì, però c'è ben altro da fare". Abbiamo iniziato da questo, che era un obiettivo raggiungibile, considerandolo il primo mattoncino".
Perché avete deciso tasse più basse per le donne?
"Per cercare di colmare un divario che nel nostro Paese è molto forte. Esiste un gap salariale ancora considerevole tra uomini e donne. Offrire alle donne un incentivo in più vuole essere un segnale, un modo per dare una prima indicazione verso il superamento di questo gap".
La legge chiamata "Controesodo" ha già prodotto qualche risultato?
"Manca ancora uno dei decreti attuativi, che fanno in modo che possa essere applicata. Ma tantissimi persone mi stanno chiedendo informazioni: ogni settimana ricevo almeno una decina di e-mail da persone che vorrebbero rientrare in Italia e chiedono notizie. Se si sommano a quelle inviate in proposito agli altri parlamentari, significa che questa legge interessa a parecchi".
Quali saranno i prossimi passi per far tornare talenti in Italia?
"Abbiamo una serie di progetti con questo obiettivo. Uno riguarda l'attrazione di talenti stranieri nel nostro Paese, perché un altro problema dell'Italia è che troppo pochi studenti stranieri scelgono le nostre università, in confronto ad altri Paesi europei: il tentativo sarà rendere le nostre università più competitive. Un altro progetto è mirato ad attrarre persone che vogliano avviare in Italia nuove imprese a contenuto innovativo molto forte, investendo su giovani disposti ad assumersi rischi e a mettersi in gioco".
Per sua stessa natura, l'Ifom di Milano è un ambiente molto internazionale. Il nome è l'acronimo di Istituto Firc di oncologia molecolare (dove la sigla Firc sta per la "Fondazione italiana per la ricerca sul cancro" che è all'origine della sua nascita) e vi lavorano 208 ricercatori. Il 25% sono stranieri provenienti da 23 Paesi del mondo, l'età media è di 33 anni e il 62% sono donne.
All'Ifom si compie ricerca sulla formazione e lo sviluppo dei tumori a livello molecolare, con tecnologia all'avanguardia e un respiro internazionale. Non stupisce che di recente abbia ricevuto dalla Regione Lombardia il Premio FamigliaLavoro per il suo programma di conciliazione, perché se si vogliono attrarre i migliori talenti e permettere loro di ricercare con passione e serenità, la strada più sicura è offrire condizioni di lavoro e di vita ottimali, e soprattutto la conciliazione tra entrambi. E' un metodo che negli Stati Uniti applicano da tempo, con i risultati che conosciamo.
"Abbiamo previsto servizi che agevolino la simbiosi tra carriera scientifica e vita privata, anziché ostacolarla", ha spiegato il professor Giuseppe Della Porta, presidente dell'Ifom, nel ricevere il premio della Regione. I dipendenti, ad esempio, possono contare su un asilo nido a pochi passi dai laboratori, per bambini dai 10 ai 36 mesi. Bilingue e aperto dalle 8 alle 19, viene finanziato quasi per intero dall'Istituto.
Un'altra possibilità pressoché unica tra gli istituti di ricerca italiani è la dotazione del "Laboratorio G", studiato ad hoc per ricercatrici in gravidanza o neo-mamme. Di norma, infatti, nei centri di ricerca biomedica la vita di laboratorio è preclusa alle ricercatrici in stato di gravidanza, puerperio o allattamento, per il potenziale rischio di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici pericolosi. Il "Laboratorio G" è un luogo di ricerca protetta che consente alle donne di non interrompere i loro programmi scientifici nei periodi più delicati della maternità, con ovvi vantaggi anche per l'Ifom.
Un'altra serie di agevolazioni è rivolta ad attrarre ricercatori dall'estero, facilitando loro le procedure burocratiche per stabilirsi in Italia, offrendo mediazione linguistica per tutto il tempo della permanenza nel nostro Paese e mettendo anche a disposizione loro e delle loro famiglie un servizio di foresteria gratuito finché non abbiano trovato un alloggio.