ENRICO S. Non mi è mai andata giù l’espressione «perché ho meritato i tuoi castighi». Penso infatti che non deve essere la paura del castigo che ci esorta ad agire bene, così come non si dice al bambino di rispettare le cose del vicino perché quello se lo vede lo picchia. Ho 80 anni e trovo molto più bella la vecchia formula «cagione e morte...».
Alcuni trovano difficoltà con la formula
tradizionale dell’atto di dolore. L’espressione
«ho meritato i tuoi castighi» sembra
far pensare a un Dio al quale attribuire
disgrazie, malattie, prove incombenti per
le colpe commesse. Tale persuasione è
sbagliata e contraddice il volto di Dio che,
in Gesù Cristo, non si è mai rivelato punitore,
castigatore, vendicativo, ma sempre
liberatore e salvatore. Il peccato grave ha
già in sé stesso il suo castigo che è perdita
volontaria dell’amicizia e comunione con
Dio. Se la formula tradizionale, nonostante
una corretta interpretazione, sembra
oscurare il vero volto di Dio Padre, Misericordia
e Perdono, perché non usarne altre?
Il Rito della Penitenza (1974) ne propone
più di una, anzi invita il penitente a dire
l’atto di dolore con parole sue.