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mercoledì 09 ottobre 2024
 
Scuola
 

Non solo le botte: a male parole si spengono i prof

22/11/2018 

Cara professoressa, rimango turbata nel leggere articoli sui giornali che raccontano di violenze perpetrate ai danni di professori impegnati a fare al meglio il proprio dovere per il bene dei ragazzi. Forse perché sono stata anch’io per quarant’anni maestra elementare, ho visto tante cose, e ogni volta mi sento colpita. Ai miei tempi funzionava in maniera un po’ diversa: ho avuto la fortuna di vivere e lavorare in un momento storico in cui i valori morali e civili erano più saldi, allo Stato e ai suoi rappresentanti si attribuivano un ruolo e una funzione. Mi domando dove troviate oggi l’entusiasmo per continuare ancora a svolgere con gioia questo mestiere.

LAURA

— Cara Laura, ho letto anch’io come te sui giornali il bollettino di guerra di quest’ultimo anno scolastico: il Belpaese è protagonista per intero, da Nord a Sud; quasi tutti gli ordini di scuola risultano coinvolti; l’età dei docenti colpiti la più variegata. Ultima vittima in ordine di tempo un collega ventitreenne romano mandato in ospedale con calci, pugni e segni di soffocamento sul collo dai genitori di un alunno del primo anno di un istituto tecnico industriale, convocati per ricevere la comunicazione di una bocciatura. Ma le frasi sui giornali sono inchiostro, si riflette per un momento, poi tutto passa. Fino a quando non succede nella classe di tuo figlio, a te genitore, a te insegnante, alla tua collega. Sono abbastanza abituata agli sguardi di disappunto di famiglie contrariate al ritiro delle pagelle: non fanno piacere perché vuol dire aver perso un’alleanza educativa e soprattutto perché ci si accorge che sono frutto non tanto dell’osservazione del proprio numero quanto del confronto con quello altrui, in un mondo degli adulti in cui vincono la competizione e il raggiungimento del podio. Non ero invece abituata allo sguardo vivo e vero di colleghi che stimo e apprezzo, tra i migliori che io abbia mai avuto, sconvolto dalla violenza verbale di famiglie diventate aggressive per una mancata promozione. Episodi, tanti, che non finiscono sulle pagine di cronaca ma in quelle dei diari di vita quotidiana. Si rimane amareggiati, i lividi non sempre ci sono per fortuna, ma le parole sono macigni. Una mia collega una volta mi ha detto, prostrata: «Padre e madre non hanno capito niente, il ragazzo sì e se lo aspettava. Peccato, rovineranno anche lui». Ed è questo il dispiacere più grande di fronte all’aggressione di un genitore: l’insegnamento che riceve da ciò un figlio, l’idea che qualsiasi germe di autoconsapevolezza innaffiato a fatica giorno dopo giorno sia stato barbaramente calpestato da urla e offese. Dove si trova l’entusiasmo per continuare? Dalla convinzione che coltivare è sempre necessario e dallo sguardo riconoscente di qualche altra mamma, che c’è, e per fortuna ringrazia.

 
 
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