«Pace a voi». La scritta che campeggia sotto il presepe pasquale allestito nella hall del Policlinico Gemelli, a Roma, dà subito un po’ di ristoro a chi arriva qui in visita a un parente malato o in attesa di un ricovero o degli esiti di qualche accertamento. Attingendo alle antiche tradizioni che, oltre al classico che racconta la nascita di Gesù, metteva in luce anche, durante la quaresima, il mistero della sua morte e resurrezione, l’opera è composta dai cosiddetti “diorami”, cioè ambientazioni in scala ridotta di diverse scene. Dall’ultima cena alla morte di Gesù in croce, fino all’ascensione con l’altare posizionato nella grotta di Greccio, con gli affreschi che riproducono la nascita di Gesù avvolto in fasce ma deposto in una tomba, a far intravedere già il mistero pasquale. E c’è un san Francesco anche nella scena principale del presepe, quella della morte in croce, con il santo d’assisi che assiste di fronte. Il presepe, infatti, ha voluto ricordare anche gli 800 anni delle stimmate ricevute da Francesco nel santuario de La Verna.
L’opera, proprio nel cuore del Policlinico, «assume un significato ancora più profondo per i malati e gli operatori sanitari che quotidianamente affrontano sfide e prove», si legge nei pannelli che spiegano il presepe.
Molto diffuso in Europa centrale e occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, il presepe pasquale era poi caduto in disuso. Per essere, però, nuovamente ripreso negli ultimi decenni soprattutto per l’opera di grandi artigiani. A Napoli, nella famosa via di San Gregorio armeno, ha riscosso successo l’opera del maestro Aldo Vucai. Utilizzando una radice di un albero di ulivo di 400 anni, simbolo di pace e fede, l’artigiano ha inserito scene che partono dalla fuga in Egitto fino alla crocifissione sul Golgota passando per la resurrezione di Lazzaro, l’incontro con la Samaritana, la flagellazione, il suicidio di Giuda.
Il presepe pasquale del Gemelli si conclude con un Gesù che ascende al cielo vestito di bianco.
«Per i malati un simbolo di speranza e conforto», viene spiegato dagli allestitori, «per gli operatori sanitari un invito alla riflessione sulla dimensione umana e spirituale della loro professione» e un «messaggio di speranza, solidarietà e umanità per tutti coloro che sono coinvolti nel processo di cura e guarigione».