Accogliere nelle nostre unità pastorali chi scappa dalla guerra,
dalla violenza o da condizioni di vita disumane. È un appello concretissimo
quello lanciato in queste ore da monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di
Torino, che in una lettera indirizzata alla diocesi e ai cittadini affronta il
delicato tema dell'emergenza migranti. Di fronte a un esodo inarrestabile, il
più imponente dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi, serve «un supplemento di
impegno da parte di ogni componente sociale».
Nel capoluogo piemontese
l'accoglienza ha una solida tradizione, eredità dell'opera dei "santi
sociali": dal Cottolengo al Sermig, dal gruppo Abele alle mille altre facce
del volontariato (associazioni, parrocchie, famiglie) tante sono le realtà che
da tempo offrono aiuto ai migranti. Ma tutto questo, benché prezioso, sta
diventando insufficiente di fronte alle dimensioni dell'emergenza.
«Chiedo in particolare ai moderatori e referenti territoriali
della Caritas, San Vincenzo e altre realtà che operano nel sociale», scrive monsignor Nosiglia dopo aver
ringraziato quanti quotidianamente già si spendono per l'accoglienza, «di promuovere in ogni Unità Pastorale uno o
più luoghi di accoglienza temporanea capaci di ospitare 5 persone ciascuno,
cercando la disponibilità presso le parrocchie, gli istituti religiosi, le case
di risposo, altre strutture ecclesiali presenti sul territorio. Le comunità
siano coinvolte in questa iniziativa sentendosene responsabili e offrendo il
loro sostegno».
«Non si tratta», prosegue l'Arcivescovo, «di una accoglienza
solo notturna, come per quella offerta ai senza dimora da alcune parrocchie, ma
di ospitalità completa per alcuni mesi, in base alle necessità e alle
indicazioni che le Istituzioni pubbliche potranno fornirci. La capillarità di
tale operazione, unita all'invito affinché anche alcune famiglie siano
disponibili ad accogliere un rifugiato in casa, può produrre un frutto molto
positivo».
L'idea in sé è molto semplice, ma per poterla attuare serve un
efficace gioco di squadra: per questo ogni Unità Pastorale dovrà far
riferimento all'Ufficio Pastorale dei Migranti, che, in stretta collaborazione
con la Caritas, «offrirà un supporto di indirizzo, di coordinamento, di
informazione, di elaborazione progettuale».
Non è però solo un impegno materiale quello che monsignor
Nosiglia chiede alla Diocesi e ai cittadini. I cristiani sono chiamati a
lavorare perché sul tema dei migranti si sviluppi un dibattito serio, lontano
da strumentalizzazioni e populismi: «Cavalcare le paure e gli allarmismi
ingenera atteggiamenti di rifiuto che chiudono il cuore e addormentano la
responsabilità di fronte all'obbligo forte consegnatoci dal Signore. Il
buonismo ingenuo, a sua volta, rischia di ostacolare una intelligente gestione
dei vari problemi che l'accoglienza pone. Sono questioni che vanno affrontate
con la volontà di mettere al centro la persona bisognosa e che interpellano
ciascuno di noi, non solo le istituzioni, sul senso vero che diamo alle parole
“solidarietà" e "giustizia"».