Ogni giorno, per 45 anni, Anna Maria Cànopi, madre badessa dell’abbazia benedettina Mater Ecclesiae dell’isola San Giulio, sul lago d’Orta, ha accolto l’umanità sofferente del mondo in un abbraccio fatto di silenzio, umiltà e preghiera. Ora passa il testimone a madre Maria Grazia Girolimetto, la nuova badessa eletta lo scorso novembre. «L’Isola di san Giulio è stata e continua ad essere una piccola Nazareth, dove si alterna armonicamente l’ora et labora, che costituisce il respiro dei due polmoni della spiritualità benedettina: l’Opus Dei e il labor hominis». Il vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla, nella celebrazione del 10 febbraio scorso, ha salutato con queste parole il passaggio di consegne.
Madre Cànopi arrivò sull’isola l’11 ottobre 1973 chiamata dall’allora vescovo di Novara, Aldo Del Monte, dall’abbazia di Viboldone. Il vecchio convento era un luogo morto. C’erano i rovi dell’abbandono. Con le monache sono tornati i pellegrini. «In questo arco di tempo», ha detto Brambilla in un’appassionata omelia, «l’isola di san Giulio è diventata rigogliosa, liberata non solo dagli sterpi, dai licheni e dai dragoni, come al tempo del santo fondatore Giulio, ma anche è cresciuta nel suo splendore per aver portato l’antico Seminario Minore della Diocesi di Novara, per l’intuizione spirituale di monsignor Aldo Del Monte, ad essere il cenobio di una miracolosa ripresa della vita religiosa monastica femminile, forse una tra le poche in Italia. La Benedizione Abbaziale», ha proseguito il vescovo, «della nuova Madre, Maria Grazia, è l’occasione per sostare a leggere il segno che il Signore ha voluto seminare nella nostra terra. Lo faccio ricorrendo a tre aspetti che richiamano tre immagini che si attagliano perfettamente a quanto è successo su quest’isola in questi quarantacinque anni e pochi mesi. Il primo aspetto riguarda il luogo, il secondo il tempo, il terzo le persone».
Con la presenza delle monache, l’isola di San Giulio, ha detto Brambilla, «è diventata l’Isola del Tesoro». Un tesoro molteplice: «le sorelle passate nel monastero in questi anni: 150». Le fondazioni nate da questo centro di spiritualità: «Nel 2002», ha ricordato il vescovo, «è sorto il priorato di Saint-Oyen con 15 sorelle, è divenuto monastero autonomo dallo scorso 12 ottobre. Il Priorato «Ss. Annunziata» a Fossano è nato nel 2007, attualmente con 6 sorelle, di cui una di 102 anni. A Ferrara, vi era già un monastero autonomo, ora vi sono due sorelle provenienti dall’isola, di cui una è diventata Madre abbadessa. A Piacenza, un monastero già autonomo, è stato arricchito con tre sorelle, di cui una attualmente è la Madre abbadessa; inoltre sono presenti due sorelle in aiuto».
Poi Brambilla ha elencato tutte le opere «artigianali e culturali» fiorite dall’abbazia: «Mi chiedevo come sarebbe stata questa realtà se non ci fossero state le monache», ha detto, «sono circa 4700 i visitatori che, assommati ai gruppi (circa 165), salgono a circa 10.000 presenze all’anno. Madre Cànopi è stata ed è l’angelo della Chiesa di san Giulio che oggi passa il testimone a Madre Maria Grazia Girolimetto».
Brambilla ha spiegato che cosa ha significato il monachesimo occidentale per la nostra civiltà umana e cristiana: «Ha salvato il rapporto con la natura, ha sviluppato la farmacopea, ha trasformato il modo di coltivare e bonificare l’ambiente. Anche le forme democratiche della vita moderna sono state anticipate nella vita fraterna del monastero. Non ci sarebbe stato questo Occidente senza i monaci e sarebbe un Occidente diverso, se fosse rimasto fedele a questa ispirazione: quella di operare il prodigioso scambio tra le forme dell’umano e la forza della Parola di Dio che si immerge in essi».
La riflessione del vescovo di Novara si è soffermata anche sulle persone che arrivano sul lago d’Orta per trovare quiete e ristoro nell’abbazia: «La gente», ha spiegato, «dovrebbe capire che qui c’è un gruppo di donne – sì di donne – che cerca Dio! Non si può venire qui per meno di questo, e non vi si rimane se non per cercare Dio. E occorre dire a tutti quelli che vengono qui, che se non cercano Dio, e non lo cercano solo come tampone dei loro bisogni, ma come ciò che eccede ogni bisogno e tiene aperto e rinnova ogni desiderio, la vita è senza senso».
La nuova Madre, ha detto Brambilla, «dovrà custodire con la sua comunità l’imitazione di Gesù, dovrà custodire il fatto che “cercare Dio” ha una strada tracciata, ha delle orme su cui camminare. Anzi, dapprima i nostri passi seguiranno le orme di Gesù, ma poi in qualche modo si sovrapporranno, perché Egli ci prende in braccio – secondo la famosa immagine – per condurci sulla sua via. Negli ambienti spirituali c’è una tangente di fuga, che pensa il quærere Deum senza una forma storica-pratica con cui lottare, con cui misurarsi, che smussa i caratteri, che guarisce le ferite, che lavora dal di dentro la vita delle persone e la trasforma. Qui si colloca anche il tema della stabilitas e della conversio morum che sono propri della vita benedettina».
Brambilla ha concluso ricordando il capitolo terzo della Regola benedettina in cui si afferma che «che l’Abate, in quanto padre della comunità – e quindi l’Abbadessa, come madre – debba “consultare tutta la comunità perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore”». Poi, rivolgendosi direttamente alla nuova abbadessa: «Cara Madre qui ha da divertirsi poiché di gente giovane da ascoltare ce n’è tanta! Ma credo che questo sia un grande segno, perché dovrà custodire una comunità che tiene unite le diversità e che non immagina un’armonia a basso costo, ma richiede un’armonia a caro prezzo. Questo», ha concluso, «è l’augurio che il vostro vescovo fa di cuore a voi monache dell’Isola del tesoro, della piccola Nazareth, che avete abbandonato la brocca della vostra appartenenza al mondo, per cercare Dio, seguire Cristo e ospitare il santo Spirito».