Novità in vista per l’affido. Oggi, martedì 26 marzo, approda in Consiglio dei ministri lo schema del disegno di legge Nordio-Roccella sulla tutela dei minori in affidamento. Al suo interno ci sono anche le nuove linee di indirizzo per l’affido familiare approvate dalla Conferenza Stato-Regioni. Linee che superano le precedenti del 2012 per raccontare in maniera più agile e snella uno strumento decisivo per il bambino fragile e la sua famiglia.
Tradotto, la legge che regola l’istituto dell’affido resta la 184 del 1983, ma con questo documento nel momento in cui si avvierà l’affido ci sarà l’obbligo, dopo che queste linee saranno approvate dalle singole Regioni, di tenere presente un quadro normativo che si è formato dopo il 2012. Dove, il vero cambiamento di prospettiva risiede nell’obiettivo comune e condiviso dell’affido di riunificare la famiglia in difficoltà. Famiglia fragile che ha, come tutte, diritti e responsabilità che vanno tutelate. Il bambino e i suoi genitori diventano così “soggetti” dell’affido; a loro va rivolto un intervento appropriato, utile a quel bambino specifico in quella famiglia specifica in quel contesto specifico. Un provvedimento che nasce per evitare l’affido sine die dei minori allontanati dalla famiglia di origine. Con tanto di registro nazionale in cui comparirà l’elenco degli istituti di assistenza pubblici e privati, delle comunità di tipo familiare e delle famiglie affidatarie; su base provinciale, il numero dei minori collocati in ciascuna struttura, il numero delle famiglie, delle comunità e degli istituti che sono disponibili all’affidamento dei minori. Un osservatorio che il 30 giugno di ogni anno relazionerà al ministro della Famiglia e, da lì, alle Camere.
«Gli affidi famigliari non crescono da anni come dovrebbero e potrebbero», spiega la vicepresidente di Ai.Bi. e del Forum delle Famiglie Cristina Riccardi, e anche responsabile del settore affido per l’associazione. Che aggiunge: «Stiamo parlando di bambini e ragazzi, i cui percorsi restano spesso incerti e sospesi per via della burocrazia o l’assenza di fondi per supportarli. Sarebbe un bene innanzitutto disporre di una banca dati di chi sono e come stanno: aiuterebbe a capirne le esigenze. Così come avere i numeri delle famiglie affidatarie che entreranno in un sistema aperto come già accade quando si rivolgono alle associazioni».
Ottimo quindi per quanto riguarda le nuove linee guida, ma «ciò che occorre è prima di tutto concreto interesse politico, senza il quale è difficile cambiare il sistema dell’affidamento. C’è una necessità, endemica ormai, di risorse per l’affido. Intere zone d’Italia sono sprovviste di uffici. Parallelamente al sostegno economico servirebbe coinvolgere le associazioni e il Terzo settore perché queste realtà, come la nostra, hanno l’esperienza e la dignità per aiutare lo Stato, abbassando anche per quest’ultimo i costi. Economici, ma soprattutto i sociali: per quanto riguarda il primo aspetto, un bambino in comunità richiede un investimento intorno ai 3000 euro al mese, rispetto alle poche centinaia di averlo collocato in una famiglia che lo desidera. Dall’altro lato oggi vediamo sempre più spesso affidi tardivi e riparativi di situazioni già molto complesse. In questi casi i ragazzi restano poi nella famiglia a lungo. Abbiamo bisogno di lavorare su affidi che anticipino il bisogno e che siano temporanei e con un progetto specifico, non un “parcheggio” sine die. Non è questo il bene dei bambini e delle famiglie affidatarie», chiosa Riccardi. Eppure questo ambito continua a restare scoperto anche dalle nuove linee guida. A partire dal quadro esposto si potrebbero trovare soluzioni per rilanciare l’adozione: «Secondo noi occorre una semplificazione dell’iter e tempi perentori per l’idoneità (6 mesi), la gratuità per permettere a più famiglie di adottare e non penalizzare l’adozione rispetto alle altre forme di genitorialità, ripresa di rapporti continuativi con i Paesi d’origine dei bambini (accordi bilaterali) e un funzionario addetto dedicato presso le ambasciate dei Paesi più rilevanti. Occorre anche pensare - continua la vicepresidente di Ai.Bi. - a qualcosa di nuovo che possa meglio rispondere ai bisogni dei bambini abbandonati».
L’ultimo passo da compiere, necessariamente guidato anche dalla scelte della politica, è quello che riguarda la sensibilizzazione delle famiglie sull’affido: «Io stessa da volontaria per Ai.Bi. tengo in incontri pubblici per sensibilizzare le famiglie sul ruolo che possono avere per il benessere della comunità grazie all’affido. Solo la nostra realtà associativa ogni anno ne vede circa 150, soprattutto in Lombardia per via della nostra presenza territoriale, che vogliamo informarsi sulla possibilità di diventare una famiglia affidataria. Solo il 10% di loro poi continuano il percorso. Perché una certa retorica politica su casi che sono stati anche di cronaca nazionale, la burocrazia e l’assenza spesso di progetti con obiettivi e tempi precisi, scoraggiano molto che pensa di volersi mettere in gioco.
L’augurio è che le nuove linee guida non siano belle, ma solo sulla carta, ma vengano applicate e implementate».