Papa Francesco ha deciso mercoledì 8 giugno con una lettera inviata al segretario della Conferenza episcopale italiana (Cei) monsignor Nunzio Galantino di istituire un tavolo di lavoro bilaterale per affrontare i problemi sorti in seguito alla riforma del processo canonico per le cause di nullità stabilita con il Motu proprio Mitis Index Dominus Iesus dello stesso papa Francesco ed entrata in vigore l’8 dicembre scorso. E’ la prima volta in assoluto che accade nella storia dei rapporti tra la Cei e la Santa Sede. La decisione va tuttavia nella direzione a cui Bergoglio ha ormai abituato la Chiesa, cioè quella di istituire commissioni di studio su materie delicate per dirimere eventuali criticità e trovare nuovi equilibri. Del “tavolo”, presieduto da Galantino, faranno parte esperti della Cei e della Santa Sede. In una nota la Conferenza episcopale italiana spiega che il “tavolo” è istituito per incoraggiare” e “definire le principali questioni interpretative e applicative di comune interesse”.
Dopo la promulgazione del Motu proprio di Bergoglio, che rivoluziona il processo canonico dando più potere ai singoli vescovi con l’indicazione di istituire tribunali diocesani, si era avviata una discussione e non erano mancate critiche severe da parte di esperti canonisti sull’impianto della riforma. Non era ben chiaro soprattutto se andassero aboliti i Tribunali regionali e quelli interdiocesani, punto di forza della realtà italiana dove negli anni è nata una rete efficiente con processi praticamente semigratuiti. I Tribunali regionali erano stati istituiti in seguito al Motu proprio di Pio XI
Qua cura del 1938. La riforma di Bergoglio ha previsto che le nuove norme abrogassero o derogassero alla disposizioni di Pio XI. Da diverse diocesi erano state fatte richieste di chiarimento. All’inizio dell’anno era stato pubblicato un Sussidio per l’applicazione del motu proprio redatto dal Tribunale apostolico della Rota romana nel quale si chiedeva “al più presto” di procedere alla costituzione dei tribunali diocesani. Ma non è bastato a risolvere i problemi, perché i canonisti continuavano a vedere una certa confusione tra norme abrogate o solo derogate e riferimenti spesso non pertinenti al codice di diritto canonico.
In Italia per due volte, nel 1997 e nel 2001, norme approvare dalla Cei hanno istituito una rete ben funzionante di tribunali regionali i cui costi per una cifra pari all’ 81 per cento dei costi era sostenuta con i proventi dell’ 8 per mille. Nel 2001 una norma ha previsto un tariffario calmierato pari a 500 euro per causa. Il resto dei costi, per esempio per le perizie, sarebbe stato sostenuto dal tribunale. Tutto ciò era possibile perché venivano abbattuti i costi fissi con tribunali più grandi.
La riforma di Bergoglio prevede tribunali diocesani e la gratuità, quindi l’abolizione di quelli interdiocesani e regionali. La questione è stata affrontata in diversi riunioni delle Conferenze episcopali regionali e poi a maggio dall’assemblea della Cei, dove ha occupato buona parte dei lavori. Ebbene la maggior parte dei vescovi ha sostenuto che i tribunali regionali sono stati una buona misura dalla quale è impossibile recedere. E soltanto pochi vescovi si sono espressi a favore dell’istituzione dei tribunali diocesani. Anzi la maggior parte delle Conferenze episcopali regionali, secondo quanto si apprende, tra cui
Piemonte, Triveneto, Lombardia, Toscana, Puglia, Campania e Sardegna, hanno ritenuto che la riforma di Bergoglio possa essere meglio applicata dai tribunali regionali, fatto salvo naturalmente il ruolo dei vescovi diocesani nei cosiddetti “processi brevi” dove non ci sono in gioco tanti problemi da affrontare. I tribunali regionali inoltre garantiscono maggiore efficienza, certezza del diritto vista la mole di casi affrontati, serietà ed esperienza nel dibattimento ed evitano il ricorso al precariato per gli operatori, quasi naturale in piccoli tribunali con poche cause.
La Conferenza episcopale pugliese il 7 dicembre 2015, ancor prima della promulgazione ufficiale della riforma di Bergoglio, quando il testo era ormai conosciuto, aveva scritto che “l’Episcopato pugliese ritiene che l’esperienza e la competenza maturata nel corso di una storia pluridecennale, iniziata nel 1939, può garantire la più compiuta attuazione di quanto previsto dalla recente normativa pontificia”. La stesse cose le hanno scritte i vescovi campani e sardi in due note del 1 dicembre. Il Sussidio della Santa Sede non ha risolto i problemi e l’opinione prevalente dell’episcopato italiano è rimasta quella dell’impossibilità di erezione di singoli tribunali diocesani.
La Conferenza episcopale toscana il 1 febbraio ha scritto che è opportuno “non dileguare la rete di collaboratori e la positiva esperienza dei tribunali regionali”. In questi mesi sulla riforma di papa Francesco è stata prodotta una montagna di studi tra cui uno poderosissimo appena pubblicato dalla rivista telematica
“statoechiese.it” realizzato dalla professoressa Geraldina Boni, ordinario di diritto canonico dell’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum” che mette in fila in un saggio di quasi trecento pagine i principali problemi, le criticità e i dubbi. Il “tavolo” voluto da Jorge Mario Bergoglio intende affrontarli per trovare soluzioni che vadano nella direzione del bene di tutti e nella chiarezza della normativa.