L’ aula è gremita, molti sono giovani.Ascoltano e prendono appunti,in deferente silenzio. Ma non siamo all'università e alla fine della “lezione”per i “docenti” ci sono scroscianti applausi. A Identità golose, congresso ospitato dal 31 gennaio al 2 febbraio aFiera Milano, in cattedra vanno le stardell’alta cucina. Personaggi che le stellele hanno davvero: una, due, persino tre,quelle della prestigiosa Guida Michelin. Da Massimo Bottura a Davide Oldani,da Andrea Berton a Mauro Uliassi, a Gennaro Esposito. E poi gli stranieri, trai quali lui, l’imperatore della gastronomia francese: Alain Ducasse. Imprenditore della cucina, con ristoranti a Parigi, Monaco, Tokyo e anche in Toscana (a L’Andana di Castiglione della Pescaia).
E' lui a spiegarci che «l’alta cucina è una specificità soltanto di alcuni ristoranti al mondo. Si tratta di un dibattito perpochi che fa però da traino a tutta l’industria alimentare. In convegni come questi trasmettiamo la nostra passione, per contribuire allo sviluppo del settore».Insomma, tutti a Milano a discutere di cucina. Poca tecnica, l’esecuzione diun paio di piatti a testa, e tanta teoria e filosofia della moderna cultura del mangiare e del bere. La cucina è un fatto di costume. Così, una trasmissione popolare come Striscia la notizia ha fatto unblitz proprio a Identità golose, con un servizio-bomba sui presunti rischi chimici di un tipo di cucina oggi di moda,la “molecolare”. Polemiche a parte, appassionati di molecole o meno, di contaminazioni o di tradizione, i cuochi sono oggi protagonisti della scena globale,quindi anche di quella televisiva. Da molti anni, del resto, le figure degli chef sono in prima fila anche nel cinema.
Di cibo si parlava già negli anni’70, in La grande abbuffata di Marco Ferreri (1973) o in Qualcuno sta uccidendo i più grandi cuochi d’Europa (1978) con Segal e la Bisset. Poi due capisaldi: nel 1996, Big night di Stanley Tucci; nel2000, Vatel, interpretato da Depardieu. Ma è dal disneyano Ratatouille, cartone per bambini, che la cucina conquista Hollywood e dintorni. Da Sapori e dissapori, con Catherine Zeta-Jones, fino airecenti Julie & Julia con Meryl Streep e Soul kitchen, del regista turco Fatih Akim, sulla Germania etnica di oggi.
Dello stretto legame tra cucina e cinemasi sono accorti in ambienti colti: a dicembre il Centre culturel français di Milanoha invitato alcuni esperti a parlare del tema in un confronto tra gastronomie.E ha riportato sul tavolo un’annosa questione: il riconoscimento della cucina francese come patrimonio immateriale dell'Unesco, richiesta avanzata nel 2008 dagli chef d’oltralpe e sostenuta da Sarkozy.
Per la Francia il cibo è importante, ma lo è anche da noi. Ecco la controproposta, approvata dal nostro Senato a giugno di quell'anno: dieta mediterranea patrimonio dell’umanità, in intesa con Spagna, Grecia, Marocco.
In fondo, non è poi così strano che tre dei Paesi ai primi posti al mondo per numero di siti considerati patrimonio dell’Unesco (Italia al primo con 44, Spagna con 41 e Francia al quarto con 38, dopo la Cina) siano anche primi nella gastronomia.
A Made in Mad, evento culturale promosso a Milano dalla Città di Madrid, la cucina era accostata ad arti maggiori come il teatro, la danza, la scultura. E lì, a duettare ai fornellicon il nostro Carlo Cracco, ecco il cuoco spagnolo Paco Roncero, allievo prediletto del catalano Ferran Adriá,uno dei massimi chef al mondo. Paco èun mago nelle tapas, modo di mangiareper assaggi che rappresenta uno stile divita in Spagna.Non solo pasta e paellaLui si dice d’accordo: la cucina è cultura.«Quelle italiane e spagnole sono sorelle, complici i prodotti offerti dallanatura mediterranea». E svela: «Nonamo mischiare troppi ingredienti. Scelgoi migliori e faccio in modo che non“si mangino” tra loro. I sapori devono rimanerepuri. Italia e Spagna non sonosolo pasta e paella. Abbiamo pesci, verdure,frutti fantastici e sappiamo armonizzarli». Piatto italiano preferito? «Il risotto dell’amico Cracco».
Ma torniamo a parlare con sua maestà Ducasse: «Nell’evoluzione della gastronomianon è necessario contrapporre chef italiani e spagnoli, o spagnoli e francesi. Occorre preservare le identità aprendosi alla diversità. Siamo le tre culturegastronomiche più interessanti,perché abbiamo culture regionali molto forti. Pensiamo alla cucina di Bretagna rispetto a quella di Provenza, aquella di Catalogna e all’andalusa, allevostre fantastiche cucine di Toscana, Liguria,Piemonte, Sicilia, Campania...».In giro si dice che oltre che miticochef, Ducasse sia anche un goloso. E lo si arguisce dall’entusiasmo che mette nell’elencare gli ingredienti alla basedella nostra gastronomia. «Nel ristorante che curo in Toscana utilizziamo solo materie prime della terra e del mare di Maremma.
All’origine della buona cucina ci sono i prodotti e nei nostri Paesi la natura è generosa. La nostra grande cultura mediterranea ha saputo poi valorizzarli e perfezionarli». Sono i prodotti,per lui, patrimonio dell’umanità: «Patrimonio non significa museo, ma evoluzione.La cucina deve essere inventariata,per guardare al futuro».L’ultima parola spetta a Massimo Bottura, divo tra i divi della cucina italiana, eletto chef dell’anno a Identità golose. «Non dobbiamo aver paura delle contaminazioni di altre cucine. La fusione è un punto di partenza, non di arrivo.
Il nostro Paeseè il più bello del mondo. Da noi arrivano tutti, non solo per godere del paesaggio ma anche per i nostri piatti. Dobbiamo valorizzare ciò che abbiamo, senza autocelebrarci. È inutile che i consorzi del grana o dell’aceto balsamico, per citare solo due esempi legati alla mia terra, l’Emilia Romagna, vadano sbandierando che il nostro formaggio o il nostro aceto sono i migliori. Stare a spiegarlo è già come ammettere un’inferiorità,è come temere la concorrenza. Noi“siamo” i numeri uno nella cultura del prodotto. Punto e basta».