Contribuisci a mantenere questo sito gratuito

Riusciamo a fornire informazione gratuita grazie alla pubblicità erogata dai nostri partner.
Accettando i consensi richiesti permetti ad i nostri partner di creare un'esperienza personalizzata ed offrirti un miglior servizio.
Avrai comunque la possibilità di revocare il consenso in qualunque momento.

Selezionando 'Accetta tutto', vedrai più spesso annunci su argomenti che ti interessano.
Selezionando 'Accetta solo cookie necessari', vedrai annunci generici non necessariamente attinenti ai tuoi interessi.

logo san paolo
venerdì 13 dicembre 2024
 
 

Nuova Quarto, legalità vincente

07/05/2013  Hanno portato le insegne della Legalità, subìto intimidazioni, diffidenze, ma alla fine hanno vinto. La Nuova Quarto per la Legalità ha vinto il campionato Promozione Campania Girone A.

E’ successo domenica e oggi tecnicamente sarebbe tardi, ma non ce ne importa niente. Ci sono notizie che non invecchiano: devono uscire, anche se hanno – com’è accaduto – la disgrazia di finire stritolate tra lo scudetto della Juventus e la morte di Giulio Andreotti. Loro l’avevano detto. Ed erano solo all’inizio di un campionato che avrebbero giocato, consapevolmente, su un campo sgarrupato e “in salita”. Quelli della Nuova Quarto per la Legalità se lo sono scritti come motto fin da subito, e l’hanno lasciato lì appeso nello stadio per tutto il campionato, in barba alla smorfia napoletana e a tutta la scaramanzia del mondo: «Con la legalità si vince». E infatti hanno vinto, con quattro sventole alla Frattese, lo spareggio per andare in Eccellenza senza play-off, dopo aver condiviso a lungo la testa del campionato Promozione girone A della Campania.

Hanno vinto il loro campionato, ma anche la loro scommessa: dimostrare che scegliendo di stare dalla parte giusta, la parte della legge contro la logica dei clan, è difficile ma possibile e alla lunga anche vincente. Ci hanno creduto da sempre e hanno continuato a farlo anche quando al posto del tifo hanno ricevuto porte divelte e targhe rubate: i segni del disprezzo riservato agli sbirri. Hanno fatto i conti anche con le tribune vuote di certi giorni, in cui attorno altri avevano paura di fare il tifo per la squadra sequestrata ai clan e affidata a Sos Impresa. Ma hanno giocato una partita dopo l’altra, sempre in bilico a cavallo del vertice, anche se il campo è quello che è e gli amici sono buoni ma pochi. E alla fine hanno dato ragione con i fatti a quello striscione del primo giorno, che allora sembrava tanto l’ottimismo della volontà di chi sta convincendo anche sé stesso e invece è diventato realtà in una domenica di primavera.

La Nuova Quarto per la Legalità ha vinto sul campo, rifiutando da subito di accontentarsi della retorica dei vincitori morali che si riserva a chi perde giocando per una buona causa. Non volevano perdere, anche se non dev’essere stato sempre facile portare sulle spalle il peso della responsabilità di sapere, anche se non lo dicevano, che la loro sconfitta sarebbe stata la sconfitta della Legge e dello Stato. Sono stati forti dentro e fuori, hanno vinto e fatto vincere quelli che hanno creduto in loro: e adesso sarà un po’ più difficile lì attorno dire, a mezza bocca, che stare dalla parte giusta è nobile, ma perdente. Stavolta non lo è stato. Merito della Nuova Quarto per la Legalità, del suo coraggio, della sua caparbietà. 

Quarto (Napoli), febbraio 2013 - Gli astucci blu delle targhe sono impilati dietro un vetro, chiusi e vuoti come valve di vongola in cui non c’è più niente da mangiare. Più che un furto uno sfregio. Uno sgarbo a chi ha scelto di giocare nel giardino dei giusti. Lo si capisce dal fatto che il computer, cioè il poco di rivendibile che c’era, è rimasto al suo posto.

Perché la Nuova Quarto per la Legalità è una squadra di calcio sui generis, una squadra che vuole vincere il suo campionato di Promozione ma non si accontenta.
Porta le insegne della Legalità sulla maglia e nel cuore la cicatrice di un passato doloroso: la vecchia società nel 2011 è stata sequestrata a un clan nell’ambito dell’operazione “Polvere”. Né la storia né il presente sono facili in questa terra al margine occidentale di Napoli, a nord di Pozzuoli, dove il mare è nascosto alla vista da dorsi di colline bruciacchiate, e dove accade che sulla pelle del pallone si giochino partite che con lo sport hanno poco a che spartire.

Il calcio catalizza consensi e per questo interessa, anche, alla camorra. Oggi la Nuova Quarto, con quell’aggettivo a rimarcare lo stacco, è affidata a un’amministrazione giudiziaria. Al Pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Antonello Ardituro, che ha deciso di affiancare a chi sadi legge qualcuno in grado di rilanciare la squadra nel frattempo retrocessa, il meccanismo del consenso è chiaro. E, infatti, ha ragionato in direzione ostinata e contraria: una squadra sana che vince può spostare il consenso, dai clan alla legalità.

Ma tutti sanno, su questo campetto spelacchiato, dove la pista d’atletica è uno straccio pieno di buci, lavato troppe volte, che la partita è difficile e che non si deve perderla. Per non disperdere energie ognuno si concentra sul proprio compito. L’avvocato Luca Catalano, amministratore giudiziario, fa la sua parte legale, anche se spesso compare al campo per sbrigare faccende pratiche. Agostino Orlando, direttore tecnico,imprenditore edile nella vita, ha scelto l’allenatore Ciro Amorosetti e attraverso di lui i giocatori, badando che fosse gente perbene, disposta a firmare non solo sulla carta un codice etico ambizioso e restrittivo: «Sono bravi ragazzi. Abbiamo fatto patti chiari:pochi soldi, ma regolari e sicuri, come altrovea volte non sono. Anche se», ammette, «per i più giovani non è facile scegliere quella che in zona troppi chiamano, non per complimento,“la squadra degli sbirri”».

Il capitano, Riccardo Zinno, ha 34 anni, un figlio di tre mesi e la speranza di consegnargli un mondo migliore. Aveva già giocato qui e al mister ha detto subitosì. Amorosetti ai giocatori parla chiaro: «Siamo una squadra di calcio, a noi tocca vincere in campo, il resto segue».Gigi Cuomo, dirigente unico della società sportiva, tiene insieme i fili. Mentre parliamo arriva un giovane, ha sparso la voce al lavoro a Torre del Greco e viene a chiedere i moduli dell’azionariato popolare che finanzia la Nuova Quarto: 10 euro il minimo, 5 mila il massimo. Altri da varie parti d’Italia si sono mostrati solidali, ma sui campi campani – la Nuova Quarto gioca un campionato a 16 squadre tra napoletano e casertano – il sostegno è ondivago: applausi e fischi. Capita che faccia eco il silenzio. Quando, dopo l’ultimo atto vandalico, Cuomo ha chiamato la città a fare il tifo sono arrivati in 25: «La pioggia sulla tribunetta scoperta ha di certo scoraggiato».

Però don Vittorio Zeccone, già parroco in città,socio fondatore della Nuova Quarto con Cuomo e Aldo Cimino di Libera flegrea, c’era. È tornato apposta. C’è e si fa tramite tra squadra e famiglie anche don Genny Guardascione, pure lui fondatore, che la domenica parla di legalità anche dal pulpito: «Gli adulti sono un po’ assuefatti a certi discorsi, ma i ragazzi chiedono,vogliono capire. Io dico che nessuno pretende eroismi. Legalità è rispettare le regole nel quotidiano». A cominciare dal colore dei semafori cui, qui, si ostenta indifferenza.

Cuomo, fuori dal campo referente nazionale di Sos Impresa, evoca anche nell’aspetto una solidità pacata: «Ho cominciato 15 anni fa quando due imprenditori mi hanno posto il problema del racket. Perché lo faccio? Forse perché sono un inguaribile romantico. Mi piace la libertà. E, no, non mi sento solo».Il Pm Ardituro, però, in questi giorni è duro, striglia la cittadinanza, ripete che la lotta alla criminalità organizzata non si può vincere con la sola repressione. Lo dicono in tanti, tra quelli che stanno nei suoi panni, anche a latitudini molto lontane da Quarto. Sul muro dello stadio della Nuova Quarto c’è una scritta blu: «Siamo sempre con te». Ma ora tocca chiedersi quanti sono in quel “siamo”, perché su quella cifra si misura la distanza tra paura e libertà.

L'ultimo a lanciare il sasso è stato il Pm Roberto  Di Martino, titolare dell'indagine sul calcioscommesse a Cremona: ha pronunciato parole pesantissime a proposito di calcio e omertà. Ma non è l'unico. Poco tempo fa il magistrato Raffaele Cantone, ha dedicato alle relazioni pericolose tra calcio e criminalità il libro Football Clan, Perché il calcio è diventato lo sport più amato dalle mafie, scritto a quattro mani con Ginaluca Di Feo, li abbiamo chiesto di rispondere a qualche domanda.

Sappiamo che la criminalità organizzata va dove c’è il denaro e che lo fa tramite il consenso.  Quando si va verso il calcio minore prevale l’interesse per il denaro, quello per il consenso o tutte e due?
«Il calcio è un mondo attorno al quale girano molti soldi e quindi c’è spesso un interesse economico che cambia in base al livello a cui si gioca a calcio, ma il pallone serve soprattutto a creare consenso: attraverso le società sportive si raggiungono mondi e luoghi che difficilmente sarebbero raggiungibili diversamente. Spesso la gestione della squadra di calcio crea a presidenti e dirigenti l’alibi per giustificare dei rapporti: contatti ufficiali con le istituzioni e con l’imprenditoria per esempio».

Oggi nel calcio si parla molto di scommesse, e si sa che il tema interessa alla criminalità organizzata, perché le scommesse sono un facile strumento di riciclaggio. Possiamo spiegare all’uomo della strada come funziona?

«Capita di assistere a veri paradossi: se io devo vendere 100 penne a un Comune devo avere la certificazione antimafia, mentre fino a poco tempo fa non era richiesta per gestire un’agenzia di scommesse, malgrado sapessero anche i bambini che il settore era a rischio».

Fin qui è chiaro l’aspetto dell’interesse al guadagno. E il riciclaggio come funziona? «Provo a spiegarlo lanciando una provocazione. Domani un provider potrebbe decidere di perdere grosse cifre su una partita particolare, distribuendole a delle persone. Perché? Semplice. E’ un modo per far rientrare nel circuito legale dei soldi, di provenienza illecita, sulla cui origine nessuno ha chiesto nulla. Ha una doppia possibilità: da un lato con il lavoro ordinario di provider realizza legalmente ampi margini di guadagno, dall’altro, scommettendo,  perde un po’, ma “lava” soldi sporchi. C’è una terza possibilità: facendo il provider ha una grande occasione di fornire lavoro alle persone, un altro strumento formidabile di consenso».

L’altro problema riguarda le scommesse legali sulle partite truccate. Come funziona? «Qui ci sono di mezzo le organizzazioni internazionali e le opportunità di guadagnare parecchio con le scommesse live, in corso di partita, su risultati particolari. Emerge molto chiaramente dalle indagini, che queste grandi organizzazioni non  giocano sulle partite di cartello ma in serie B, marginalmente, e soprattutto in serie C, prima e seconda divisione, dove spesso i calciatori sono a rischio di diventare preda della criminalità. L’indagine di Bari ha mostrato che calciatori di serie A con gli stipendi che hanno vendevano partite per 7.000 euro, proviamo a immaginare quanto più facile sia “tentare” chi nel calcio minore fatica a trovare un contratto».

Spesso dalle indagini si deduce che uno non poteva non sapere. Quanto per i calciatori, spesso poco colti e male informati, si fatica a distinguere tra ingenuità e malafede? «Sicuramente il livello umano del giocatore medio facilita operazioni di questo tipo ma qui entra in gioco la società sportiva: dalle inchieste di Bari è emerso il ruolo di uno strano faccendiere. Perché una società tollera la presenza poco chiara di uno che, nenache tesserato, ha non si sa a che titolo rapporti così stretti con i calciatori?».

Si direbbe che il mondo del calcio come sistema, anche a livello federale, faccia poco per spingere le società a rapporti trasparenti. Lei che impressione ne ha?
«C’è tutto un mondo che fa finta di non vedere cose anche simboliche: il capitano della Lazio è stato arrestato nell’ambito della vicenda scommesse e continua a fare il capitano. Esiste ovviamente la presunzione di innocenza, ma esistono anche ragioni di opportunità. Su questo argomento non si ha il coraggio di andare a fondo e di adottare il necessario rigore sia da parte delle società sia da parte della Federazione. E poi mi suscita inquietudine l’atteggiamento dei tifosi: un atteggiamento kamikaze. Sono sempre pronti a mettersi dalla parte dei calciatori. Quando Portanova è rientrato nel Bologna dopo la squalifica per le scommesse è stato inneggiato dai tifosi come se fosse rientrato a seguito di un grave infortunio. Doni resta un idolo dell’Atalanta malgrado sia radiato. Credo che il motivo, ma è una mia idea, sia quello di non mettere in discussione il business. Lo spettacolo deve continuare, buttiamo il più possibile la polvere sotto i tappeti».

Sta sfiorando un tema caldo: il rapporto tra società e tifoserie. Un’altra relazione pericolosa?

«Le società mantengono rapporti con il mondo della tifoseria, un po’ per quieto vivere, un po’ per forme di sinergia. C’è la tendenza da parte delle società di garantire alle tifoserie delle quote di potere che riguardano i bilgietti, l’organizzazione delle trasferte, perché questo garantisce la tranquillità negli stadi. Ci sono in alcuni posti persone che per lavoro fanno il tifoso. Siccome il tifoso non è un lavoro, bisognerebbe chiedersi come fanno. Spesso, in cambio della tranquillità negli stadi, si consente di entrare dove si fa allenamento, di mostrare dunque di avere potere, rapporti diretti con i giocatori, tutte piccole cose che insieme però possono essere collegate più o meno direttamente a interessi criminali veri».

Com’è stato accolto un libro denuncia come Football clan?
«Con cauto interesse misto a diffidenza,  con questa premessa iniziale: “Ora però non esageriamo”. E mi permetta di dirlo questa è la premessa che io sentivo quando andavo da giovanissimo magistrato, subito dopo le stragi, a parlare di  politica e camorra. Dicevano:  «Non esageriamo, stiamo parlando di marginalità». Non so quanto allora si sottovalutassero i problemi, ma so che dopo sono esplosi». Con la squadra succede la stessa cosa: sollevi il problema? Vieni accusato di crearlo».

Nel calcio come se lo spiega?
«Da un lato con la passione cieca: nessuno ama sentirsi dire che la sua fidanzata è una poco di buono, dall’altro con il timore che si metta in discussione il giocattolo, perché ci sono troppi interessi. Immaginiamo che il calcio vada in crisi, sarebbe peggio di qualunque Ilva».

 
 
Pubblicità
Edicola San Paolo