Documento della passione di Gesù oppure opera di un artista medievale? Si riaccende, in queste ore, il dibattito scientifico intorno alla Sindone, il lenzuolo, conservato a Torino, che secondo la tradizione avrebbe avvolto il corpo di Cristo dopo la deposizione dalla croce. Secondo uno studio condotto da due scienziati italiani, l’antropologo forense Matteo Borrini e il chimico Luigi Garlaschelli, almeno la metà delle macchie di sangue presenti sul Telo non sarebbero compatibili con quelle di un uomo crocifisso. La ricerca (condotta nel 2014 e già nota, ma recentemente aggiornata con nuovi tentativi sperimentali e tornata alla ribalta grazie a un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Forensic Sciences), ha suscitato un polverone. Ma il dibattito resta aperto. Apertissimo. Infatti, nessuno degli studi condotti finora sul lenzuolo, nemmeno la datazione eseguita trent’anni fa con il metodo del radiocarbonio (che collocò il lino in un’epoca compresa tra il 1260 e il 1390) ha potuto scrivere la parola fine su una ricerca affascinante quanto complessa. Le certezze sono poche. I dubbi tantissimi.
Gli esperimenti sulle tracce ematiche condotti da Borrini e Garlaschelli si basano sulle tecniche dell’antropologia forense, le stesse adottate dalla polizia scientifica per indagare le scene del crimine. Su un manichino e poi sul corpo dello stesso Garlaschelli è stato applicato del sangue (sia umano sia artificiale) per poterne studiare le colature. Rispetto alle tracce sindoniche emergerebbero varie incongruenze. Non tutti gli studiosi però concordano sulla validità di questo metodo. La ricerca ha senza dubbio un suo interesse e un suo valore, ma ha anche molti limiti, poiché determinate condizioni sono pressoché impossibili da riprodurre in laboratorio. Tra le voci più autorevoli a chiedere prudenza c’è quella di Paolo Di Lazzaro, fisico dell’agenzia Enea e vicedirettore del Centro Internazionale di Sindonologia di Torino.
«Le modalità con cui tali sperimentazioni sono state condotte avrebbero bisogno di integrazioni e specifiche attenzioni, per essere considerate scientificamente valide e autorevoli», fa notare lo studioso. «Le misure delle colature di sangue in laboratorio sono effettuate usando un volontario in buone condizioni di salute sulla cui pelle pulita si è versato sangue fluido contenente un anticoagulante. Queste condizioni a contorno sono molto diverse da quelle presenti sulla Sindone: non tengono infatti conto della presenza sulla pelle dell’uomo della Sindone di terriccio, sporcizia, sudore, ematomi da flagellazione e nemmeno della accentuata viscosità del sangue dovuta alla forte disidratazione». «Non è possibile» conclude Di Lazzaro «pensare di riprodurre condizioni realistiche delle colature di sangue sul corpo di un crocifisso senza considerare tutti questi fattori che vanno a influenzare in modo importante il percorso delle colature di sangue». Detto fra parentesi, il Centro Internazionale di Sindonologia non ha mai voluto lasciarsi irretire nella diatriba fra opposte fazioni: “autenticisti” contro “scettici”, una logica rischiosa e quasi sempre viziata da presupposti ideologici. «Non è nostro obiettivo difendere una presunta “autenticità” della Sindone» diceva pochi giorni fa a Famiglia Cristiana Gianmaria Zaccone, storico e direttore del centro torinese. «Vogliamo semplicemente affrontare con obiettività i tantissimi quesiti che il Telo pone»
Per la scienza, dunque, il dibattito rimane costantemente aperto. Ma la Sindone non è solo un documento da indagare, come potrebbe esserlo la mummia di un faraone. Per milioni di cristiani in tutto il mondo, il cosiddetto Sacro Lino è prima di tutto un’icona, una testimonianza che allude al mistero della morte e risurrezione del Cristo. Lo ha ricordato, in queste ore, l’arcivescovo di Torino e custode pontificio della Sindone, monsignor Cesare Nosiglia. «Nel corso dei secoli, e con maggiore frequenza negli ultimi anni, ci sono stati molti tentativi di affrontare l’autenticità del Telo. Hanno avuto il loro momento di pubblicità con titoli e articoli di giornali che davano per valida la loro ricerca e le loro conclusioni, ma in molti casi si sono dimostrati scientificamente inattendibili. È toccato e toccherà anche questa volta ad altri scienziati e studiosi promuovere un dibattito ed eventualmente contestare sul piano scientifico o sperimentale la validità e solidità della ricerca compiuta». «Tutto ciò però non inficia minimamente il significato spirituale e religioso della Sindone quale icona della passione e morte del Signore come l’ha definita l’insegnamento dei pontefici. Nessuno può negare l’evidenza del fatto che contemplare la Sindone è come leggere le pagine di Vangelo che ci raccontano la passione e morte in croce del Figlio di Dio. Quindi la Sindone, che pure non è oggetto di fede, aiuta però la fede stessa perché apre il cuore di chi l’avvicina e la contempla a rendersi consapevole di ciò che è stata la passione di Gesù in croce e quindi di quell’amore più grande che lui ci ha dimostrato subendo terribili violenze fisiche e morali per la salvezza del mondo intero».