È al vaglio del Governo un nuovo disegno di Legge che propone la modifica dell'articolo 589-bis del Codice della Strada in questi termini: “Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 o di alterazione psicofisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni.”
Abbiamo chiesto il parere a Marco Dellasette, ingegnere dei trasporti specializzato in sicurezza stradale: «comprendo appieno l'esigenza di sicurezza stradale che sempre più diventa pressante e urgente, io stesso lavoro quotidianamente nel settore della certificazione della sicurezza delle infrastrutture stradali, ma non dobbiamo mai dimenticare che gran parte degli incidenti che fanno notizia, quelli che si potevano evitare, sono causati dalla costante e diffusissima consuetudine italiana di non rispettare le regole: così come si evadono le tasse, non si paga il canone Rai, non si fanno gli scontrini fiscali, etc, non si rispetta il Codice della Strada. All'estero questi comportamenti non sono così diffusi, ma non perché sono tutti più educati, ma perché sono nati e cresciuti in un ambiente dove si impara a rispettare le regole, chi non le rispetta (a partire dai genitori) viene controllato e sanzionato, per cui smette di farlo e insegna ai figli altrettanto. Avete mai provato a superare i limiti di velocità su strade dei Paesi a noi confinanti? (Francia, Svizzera ed Austria, ad es.): semplicemente si viene "beccati" in flagrante: una bella sanzione salata e vai che la prossima volta non lo fai più!».
Marco Dellasette, ingegnere dei trasporti specializzato in sicurezza stradale
In Italia invece?
«In Italia no, non possiamo, non vogliamo, non ne abbiamo le forze. In Italia la Polizia stradale è insufficiente, ci si rivolge ai Velox, locali e ben segnalati, che servono a poco. Allora, nell'impossibilità di svolgere il necessario e indispensabile controllo del territorio, in Italia si risolve il problema con punizioni esemplari, inflitte a pochi "sfortunati" che, per aver fatto una "stupidaggine" (non certo parole mie, ma di quei ragazzi che hanno ammazzato delle persone) si vedono incarcerati per 12 anni. 12 anni? Ma un ragazzo di 18 anni, che dopo un incidente dove ammazza una persona ha già avuto uno shock tale che se lo ricorda per tutta la vita, deve stare in carcere fino a 30 anni? Quello esce delinquente fatto e finito ed ha solo voglia di ammazzare tutti quanti. Non è così che si educa, non è così. Non voglio scusare quei ragazzi, non voglio fargli sconti, hanno sbagliato, ma la colpa non è solo loro, è della società dei social, dei padri e delle madri, delle forze dell'ordine, di tutto quel malato sistema che chiamiamo società civile ma che di civile ha sempre meno, delle scuole che non insegnano abbastanza, della vita che insegna valori e comportamenti sbagliati».
Che fare perciò con chi sbaglia?
«Per chi sbaglia dobbiamo chiedere pene giuste, severe, ma soprattutto pene CERTE, anche (e soprattutto) quando gli incidenti non sono ancora accaduti; questa si chiama prevenzione, e consente ai ragazzi (ma anche un po' agli adulti) di imparare (o ricordare) i veri valori della vita. Non 12 anni di reclusione, magari qualche anno di inserimento in qualche organizzazione per l'aiuto dei famigliari delle vittime della strada, o come ausiliari sulle ambulanze, questo sì, mentre continuano la loro vita di studenti e di cittadini che cercano di diventare uomini maturi, sotto un controllo ferreo e costante che gli impedisca di ricadere in comportamenti inadeguati. Non 12 anni di carcere, no, nemmeno 5, il carcere non educa, il carcere punisce, lasciamolo ai recidivi, ai delinquenti ed agli assassini di professione. Così roviniamo solo la vita dei ragazzi a cui è toccato l'incidente grave e si sono salvati, per tutti gli altri non cambia nulla; se quei ragazzi potessero invece portare nel "branco" la loro esperienza devastante ed aiutare i loro simili a non mettere più a rischio la propria vita e quella degli altri, forse potrebbero diventare loro stessi potenti educatori».