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Obama e Putin, alleati per forza

29/09/2015  Il fallimento americano in Medio Oriente lascia spazio di manovra al Cremlino. Ma per sconfiggere l'Isis...

L'impacciato saluto tra Obama e Putin a New York (Reuters).
L'impacciato saluto tra Obama e Putin a New York (Reuters).

Ammettiamolo: sa un po' di resa. La dichiarazione con cui Barack Obama si è presentato al summit dell'Onu contro il terrorismo, a New York, avvia la rottamazione della sua politica per la Siria. Il presidente Usa, infatti,si è detto disposto a “lavorare con tutte le parti, incluse Russia e Iran”, per trovare una soluzione politica alla guerra in Siria. Così, nel giro di poche settimane, si è passati da una situazione in cui Usa e Arabia Saudita erano padroni assoluti del fronte anti-Isis a una in cui pure la Russia (fumo negli occhi per gli Usa) e l'Iran (fumo negli occhi per l'Arabia Saudita) sono i benvenuti.

Nel frattempo la Russia, infischiandosene degli ammonimenti della Casa Bianca, ha riarmato il regime di Assad, ha portato in Siria un suo piccolo contingente e a cominciato a lavorare sull'idea di una coalizione mondiale anti-Isis che si preoccupi prima di estirpare l'islamismo e poi, solo poi, di cacciare Assad. Idea che sta piacendo a molti, Italia e Germania comprese.

Il problema di Obama è semplice: nulla di quanto aveva predisposto ha funzionato. La Casa Bianca voleva tenersi alla larga dalla Siria, e infatti non intervenne all'inizio del conflitto, nel 2011, quando anche il regime di Damasco fu investito dal vento della Primavera Araba. Lasciò mano libera all'Arabia Saudita, che cominciò ad armare e finanziare la guerriglia islamista. In quel momento gli Usa si illudevano di formare un'opposizione ad Assad moderata e illuminata, e abbiamo visto com'è finita: l'Isis si è preso un territorio grande quasi come l'Italia.

Poi è partita la coalizione americo-saudita per combattere l'Isis. Un po' di bombardamenti che hanno fermato l'Isis sul fronte iracheno, lasciandolo però libero di fare ciò che vuole in Siria, sempre nella speranza che facesse fuori Assad. Che invece resiste, seguito da un pezzo di Paese che ancora lo preferisce ai tagliagole con la bandiera nera. Nel frattempo il Paese è sprofondato e il conto dei morti e dei profughi è diventato astronomico.

Putin, cinico e freddo, è partito in contropiede. Ha aspettato che la strategia di Obama cominciasse a franare (e le colonne di profughi disposti a tutto pur di arrivare in Europa ha avuto il suo peso) e ha mosso le sue pedine. Ma non illudiamoci, nemmeno lui ha così a cuore la sorte dei siriani. Per lui, tenere un piede in Medio Oriente, agganciato al carro dei Paesi musulmani sciiti (l'Iran, soprattutto), vuol dire soprattutto avere carte da giocare nell'infinito mercanteggiamento tra le potenze. Gli Usa gli hanno fatto un bruttissimo scherzo in Ucraina, lui ha replicato in Crimea, nel Donbass e, adesso, in Ucraina.

 

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