Succede che una minoranza di studenti di un liceo romano, collocato nel prestigioso quartiere dei Parioli, fa una sorta di “colpo di stato” e occupa la scuola, bloccando le lezioni per la maggioranza dei compagni. Rivendicando qualcosa che probabilmente non è ben chiaro nemmeno agli stessi firmatari della “chiamata alle armi”, considerato che a fronte di 200 firme di adesione, l’occupazione è poi realizzata e compiuta solo da poche decine di essi.
Succede che il preside decide di allearsi con le famiglie. Interpreta questo modo di fare dei suoi studenti come un atto di prepotenza. Una sorta di colpo di stato, in un luogo dove in realtà il leader, ovvero il preside, si dichiara disponibile a intervenire sulle cause del disagio, purchè qualcuno gliele spieghi e gliele racconti. Ma i ragazzi forse hanno troppa fretta e troppa voglia di mettere in scena un copione già visto decine di volte, soprattutto in passato. Un copione che assomiglia più a una farsa, a una recita e non davvero ad una reale presa di coscienza di ciò che si vuole fare, ad una denuncia di qualcosa che realmente esiste.
E allora il preside gioca la sua carta migliore: l’alleanza scuola/famiglia. Convoca i genitori nel cuore stesso dell’occupazione. Li fa arrivare lì dove i figli, in un’altra ala e piano della scuola, vorrebbero invece non far entrare nessun adulto. “La scuola è nostra” dicono i figli. “No la scuola è di chi vuole farne un progetto educativo competente e non una farsa prepotente”. Probabilmente il preside deve essere molto convincente nel chiedere ai genitori di verificare con i propri figli che cosa davvero stanno facendo. Mamme e papà si alleano con l’adulto, e non con l’adorato pargolo prepotente. E fanno irruzione nel cuore dell’occupazione, laddove nessun maggiorenne dovrebbe essere autorizzato ad entrare. Battono forte sulla porta e probabilmente lo fanno talmente bene che riescono ad entrare nel quartiere generale della sommossa. La cronaca a questo punto si fa un po’ comica. Perché quei dolci rampolli che vogliono cambiare il mondo, scappano di fronte a mamme e papà arrabbiati che intimano loro di smetterla subito, di correre a casa e di imparare che la scuola è una cosa seria e se uno ha un problema prima di fare la rivoluzione deve imparare l’arte della conversazione e del dialogo. E soprattutto, invece di combattere contro tutto e tutti, conviene lavorare sulle alleanze. Forse vola anche qualche ceffone.
Era tempo che non si sentiva parlare di scuola e famiglia alleate insieme per “contenere” l’eccesso di esuberanza dei ragazzi. Di solito, la cronaca più recente, ci ha abituato a storie di adulti disposti a tutto pur di proteggere la reputazione del proprio ragazzo, pronti a fare la guerra ad un docente, qualora questo si permetta di mettere in discussione alcuni comportamenti dei propri studenti. “Come osa parlare così di nostro figlio?” è la frase che molti docenti si sono sentiti dire da genitori incapaci di ammettere che - anche se “ogni scarafone è bello a mamma sua” - può anche succedere che quello scarafone a volte faccia pasticci e si comporti in modo maldestro.
Stavolta i ragazzi hanno ricevuto una sonora lezione dagli adulti, alleati contro di loro. Di fronte ad un eccesso di esuberanza, ad un intervento selvaggio che pochi ragazzi hanno imposto a tutti, preside e famiglie hanno deciso di praticare l’arte “del contenimento”. Hanno contenuto gli eccessi dei figli. Hanno imposto un limite. “Contenere, dare limiti, negoziare regole”: qualcuno aveva dichiarato che queste parole appartenessero all’educazione del passato e non si confacessero alla generazione dei nativi digitali. Invece, mamme e papà romani ci insegnano che possono essere ancora molto attuali. E a volte addirittura necessarie.