La Giornata nazionale per la vita è un appuntamento provvidenziale per riscoprire il valore della vita umana e della sua accoglienza. Credenti e non credenti sono tutti sfidati a riconoscere che ogni vita è un valore, anche la più fragile, perché unica e irripetibile, e per questo inviolabile. Da difendere contro ogni potere, contro ogni prepotenza, contro ogni pretesa di definire quale vita sia “degna di essere vissuta” e quale no. E solo nella difesa del valore di ogni vita c’è la radice della possibilità di combattere quella “cultura dello scarto” denunciata con tanta forza e continuità da papa Francesco.
Il primo pensiero va alla tutela dell’essere più indifeso e fragile perché non ancora nato. E se gli viene rifiutata persino la nascita, come si potrà difenderlo? La Giornata per la vita chiede quindi di non interrompere mai quel lavoro di prossimità alle donne in difficoltà e di accoglienza per i bambini rifiutati. Perché l’aborto non è mai una scelta di libertà, ma una sconfitta, di fronte alla quale nessuna donna deve essere lasciata sola. Ma la difesa della vita esige anche un’attenzione forte nel “durante”, non solo alla nascita: è vita degna, da difendere comunque, quella delle persone gravemente disabili, quella che viene persa sul posto di lavoro o sotto le bombe in Siria e Yemen.
Allo stesso modo, la dignità della persona e il suo riconoscimento da parte della società vengono messe in crisi nel momento finale della vita. Anche in questo caso la legge sembra cercare le scorciatoie per arrendersi, anziché la determinazione per rafforzare la cura e la prossimità.
Il cardinale Angelo Bagnasco, nella prolusione al Consiglio permanente della Cei, ha lanciato un accorato allarme: «Ci preoccupano le proposte legislative che rendono la vita un bene affidato alla completa autodeterminazione dell’individuo. Crediamo che la risposta alle domande di senso che avvolgono la sofferenza e la morte non possa essere trovata con soluzioni semplicistiche o procedurali».
Difendere la vita quando volge al suo termine naturale significa restituirle dignità, e valorizzare un sostegno e una vicinanza che non sono accanimento terapeutico, ma scelta consapevole di cura, disponibilità a piegarsi sul sofferente e a sostare insieme a lui. Come ha testimoniato santa Madre Teresa di Calcutta con i morenti. E come cantava Claudio Baglioni in La vita è adesso: «Soli in mezzo al mondo, con l’ansia di cercare insieme un bene più profondo, e un altro che ti dia respiro, e che si curvi verso te».