Lorenzo con Pietro. Foto di Fabrizio Annibali
Padri creativi, divertenti. Padri severi, introversi, o che fanno fatica e, semplicemente, lo dicono. Sono i papà di oggi, ognuno a modo suo, tutti speciali. Papà che giocano e “si mettono in gioco”.
Lorenzo Dondi ha 39 anni, è sposato con Federica e ha due bimbi: Francesco di sei anni e Pietro di tre. Lui si definisce «un papà stimolante. Mi piace fargli fare esperienze sulle mie passioni, tra teatro, musica e viaggi». Ama un rapporto basato sulla dolcezza e, pur non essendo molto presente per il lavoro, è un dirigente nel settore energetico, quando torna a casa cerca complicità con i figli, un momento in cui coccolarsi. «Tanto che mi sono inventato “la gara di abbracci”. Perché il papà, anche se arriva tardi, ha bisogno di tenerezza. Così, uno da una parte e uno dall’altra della stanza a turno corrono ad abbracciarmi. L’impressione è di avere meno chance di mia moglie che è sempre la più richiesta. Il desiderio è di instaurare qualcosa di intimo che tra maschi potrebbe non essere così spontaneo». Se guarda avanti immagina «di essere una guida esterna, di star loro vicino sapendo che sono diversi da me come un supporto. Amare significa rendere liberi, che è “terribile” perché più vuoi bene più vorresti influenzarli. Ma il vero ruolo del padre è spingerli a uscire dal nido, essendoci solo e se hanno bisogno di te. Con quella saggezza che ho visto anche in mio padre, la capacità di dire cose così vere che fanno crescere. Trasmettendogli un senso profondo di onestà, coerenza e rettitudine».
Emanuele con Leonardo. Foto di Fabrizio Annibali
Emanuele Susani ha 47 anni ed è responsabile tecnico di un’azienda. La moglie Cristina, psicologa ed educatrice, torna a casa ben più tardi di lui. Così Leonardo, che di anni ne ha quattro, sta soprattutto con papà. «Ma lui... Adora la mamma. Lei trova sempre le parole giuste, io passo per quello più severo che dà le regole. Faccio fatica a fare il papà: ad avere i miei spazi o a rinunciarci del tutto, a non perdere la pazienza. A volte sei stanco e stressato, non è facile confrontarsi con un bimbo che continua a fare richieste, che ti mette alla prova. Il che non vuol dire che non mi piace stare con lui, anzi, e il tempo che gli dedico è molto importante. Ma sono cosciente che, a volte, la qualità non è buona come vorrei». Eppure Emanuele ci prova: «Giochiamo, cerco cose che gli piacciono, andiamo in giro, lo porto a vedere gli animali. Mi sono imposto di non dargli aggeggi elettronici che gli facciano da baby sitter. Ma Leonardo è più grande della sua età e ti dà frecciate dolorose. Come quando ti toglie di mano il cellulare e ti fa capire che sei lì perché devi». Il momento più bello è la sera quando lo mette a letto. «Sempre io perché così gli chiedo com’è andata la giornata. Mi illumina, pensando al futuro, la canzone di Gaber Non insegnate ai bambini: Leonardo non è un prolungamento del mio ego. Io dovrò solo aiutarlo a scegliere».
Alberto con Margherita e Davide. Foto di Fabrizio Annibali
«Dare e ricevere per educare. Conoscendo i propri figli e te stesso». Alberto Magnani, 41 anni, sposato con Susanna, è papà di Margherita di due anni e Davide di quattro: «Con lui mi sento più guida perché lo vedo in cerca di esperienze nuove, di capire cosa lo circonda. Così lo spingo, ma gli sto vicino. Margherita, invece, va accudita e protetta perché è quello che chiede. È istintivo sentire le esigenze e riconoscerle. Loro ti mostrano quello che hai e puoi dare e tu lo scopri man mano che te lo mostrano. È un dare e ricevere, un’educazione che costruisci giorno per giorno con la tua famiglia». Lui pure lavora e con i turni il tempo è poco: «Mi definisco un papà divertente. Quando torno giochiamo fino allo sfinimento. Costruiamo, coloriamo, balliamo, ci intervistiamo. Ci registriamo e rivediamo. Ma so essere anche severo. Mia moglie, invece, lei è saggia». Metalmeccanico di professione, libera la fantasia inventando favole: «Le idee nascono insieme. Succede quando trovo uno spazio bambino dentro di me che a loro piace. Noi... ci incontriamo “lì”».
Enrico con Alice. Foto di Fabrizio Annibali
Enrico Della Grazia, 51 anni, manager, vede la figlia tutti i mercoledì e un weekend sì e uno no. Da un anno è separato dalla moglie. «I primi tre anni ho fatto “il mammo”. Cercavo di ricreare una simbiosi fisica con Alice non perdendomi nulla, dalla pappa al bagno. Eppure mi sentivo solo e secondario a mia moglie. Da quando siamo rimasti noi due soffro della mancanza di tempo, ma spero e credo di essere un papà presente. Si dice che la mamma accudisce e il papà stimola; il padre separato deve essere una via di mezzo anche se, per ora, trascorriamo il tempo soprattutto giocando. Per le regole, cerco di costruirle con lei senza imposizioni. Ma ciò che mi preme più di tutto e dà grande responsabilità, essendo per le bimbe il papà la figura maschile di riferimento e un modello da ricercare, è che non cresca, causa le mie scelte, convinta che nella vita per forza si debba soffrire o far soffrire. Vorrei trasmetterle l’idea di una persona per bene».