Non era mai successo dai tempi della Seconda guerra mondiale: nel mondo, il numero di persona in fuga ha superato i 50 milioni. Secondo il Rapporto “Global Trends” dell’Unhcr, alla fine del 2013 erano infatti 51,2, ben 6 milioni in più rispetto ai 45,2 del 2012. Insomma, come l’intera popolazione della Spagna o della Colombia.
A cosa è dovuto l’aumento? Alla guerra, quella in Siria prima di tutto, che alla fine dello scorso anno aveva costretto 2,5 milioni di persone a diventare rifugiati e altri 6,5 sfollati interni. Anche in Africa le armi hanno causato nuovi esodi forzati, in particolare nella Repubblica Centrafricana e, verso la fine del 2013, in Sud Sudan. Fane Abdelkkarim Arame, nonna centrafricana di 70 anni, vive in una tenda protetta dai soldati francesi. Racconta come le milizie anti-Balaka, che si oppongono a quelle Seleka, hanno bruciato la sua casa: «Nel nostro quartiere, c’erano 18 corpi tagliati a pezzetti. Era orribile, 4 dei miei parenti sono stati uccisi. Noi abbiamo lo stomaco chiuso, l’altra notte non ho dormito per paura di un attacco. Ho raccolto i nipoti vicino a me e siamo stati svegli fino all’alba».
La guerra è la madre di tutte le povertà. Spiega António Guterres, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati: «Siamo testimoni dei costi immensi che derivano da guerre interminabili, dal fatto di non riuscire a risolvere o prevenire i conflitti. La pace è oggi pericolosamente difficile da raggiungere; il personale umanitario può costituire un palliativo, ma le soluzioni politiche sono di vitale importanza. Senza di queste, i livelli preoccupanti raggiunti dai conflitti e le sofferenze di massa sono destinati a continuare».
I dati relativi ai migranti forzati riguardano tre gruppi diversi: i rifugiati, i richiedenti asilo e gli sfollati interni. I primi ammontano a 16,7 milioni di persone a livello globale, 11,7 milioni dei quali sono sotto il mandato dell’Unhcr, mentre i rimanenti sono stati registrati dall’organizzazione sorella dell’Unhcr, l’Agenzia Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi, l’Unrwa. Ranea, una dei diecimila profughi siriani passati da Milano da ottobre scorso ad oggi, in fuga dai centri del Sud Italia verso il Nord Europa, riassume così la sua situazione: «Sono una “doppia” rifugiata. Sono una palestinese nata nel campo profughi di Yarmouk a Damasco e ora sono 13 mesi che scappo dalla guerra in Siria». Guardando le sue bambine dice: «Sogno di avere una camera nostra. Basta una camera, non serve una casa, ma poter aprire e chiudere la porta. Essere di nuovo una famiglia, insomma».
Spesso quella che rattrista Ranea è una condizione che dura nel tempo: secondo l’Unhcr, alla fine del 2013 più della metà dei rifugiati sotto il mandato dell’Agenzia dell’Onu (6,3 milioni) era in esilio da più di cinque anni. Gli afghani, i siriani e i somali rappresentano oltre la metà del totale, mentre il Pakistan, l’Iran e il Libano sono i paesi che hanno visto crescere maggiormente il numero dei rifugiati.
I richiedenti asilo nel 2013 sono stati invece 1,1 milioni di persone, la maggior parte dei quali nei paesi sviluppati: la Germania è diventato il paese con il più elevato numero di nuove domande di asilo (109.600), seguita dagli Stati Uniti (84.400) e dal Sud Africa (70.000). Ancora una volta la guerra tra Assad e i ribelli si fa sentire: i siriani hanno presentato 64.300 domande, più di qualsiasi altra nazionalità, seguiti dai cittadini del Congo (60.400) e del Myanmar (57.400).
Infine, gli sfollati interni, ovvero quelle persone che sono costrette ad abbandonare le loro case, ma che rimangono comunque all’interno del proprio Paese, come la nonna centrafricana. Secondo Global Trends, hanno raggiunto la cifra record di 33,3 milioni di persone, rappresentando l’incremento più alto. Spiega l’Unhcr: «Aiutare queste persone rappresenta una sfida particolare dal momento che molti di essi si trovano in zone di conflitto, in cui è davvero difficile portare gli aiuti e dove mancano norme di protezione internazionale in loro favore».
Sia che si parli di sfollati, sia di rifugiati, i minori sono comunque i soggetti più a rischio. «Questi bambini», commenta l’Unicef, «senza avere alcuna colpa, hanno già dovuto vivere traumi che superano il limite di sopportazione umana; quando cercano un rifugio sicuro, devono riceverlo». Difficile non pensare ai minori che sbarcano in Sicilia anche in queste ore. Secondo Save the Children, solo dall’inizio del 2014 al 31 maggio, sono stati soccorsi 1.542 bambini siriani, con un’età media di 5 anni, in fuga insieme alle loro famiglie o a una parte di esse. Molti altri sono minori non accompagnati, come tanti adolescenti eritrei scappati per evitare il servizio militare, che nel loro Paese è rimasto obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato, con le reclute costrette a svolgere lavori forzati come minatori.