Scelte della politica, ruolo delle religioni, responsabilità dei cittadini. Attorno a questi tre punti si concentra il panel sulle migrazioni dell’incontro internazionale “Immaginare la pace” (22-24 settembre), organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio a Parigi. Migrazione e pace sono temi profondamente connessi: da un lato, per l’Unhcr a maggio 2024 erano 120 milioni – mai un numero così alto dalla fine della Seconda guerra mondiale – i migranti forzati per guerre, violenze generalizzate, disastri ambientali, il 75% dei quali è ospitato nei Paesi a basso e medio reddito; dall’altro, accogliere i migranti significa “immaginare la pace”. Siamo nella città che ha ospitato le Olimpiadi e le Paralimpiadi ed è proprio all’evento sportivo che fa riferimento Daniela Pompei, responsabile di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati, per tratteggiare la bella e ricca realtà mista dei paesi europei, simboleggiata dallo scambio di medaglie d’oro tra le pallavoliste Myriam Sylla e Anna Danesi. Le biografie degli atleti raccontano una storia italiana ed europea. Myriam, nata a Palermo da padre senegalese, che era emigrato per primo per motivi di lavoro e che si era poi ricongiunto con la moglie; nelle difficoltà dell’inizio, la famiglia ha trovato sostegno da parte di una coppia di palermitani, che ancora oggi la pallavolista chiama nonni. Adesso, che ha la cittadinanza italiana, spiega: «Integrarsi? Ma integrarsi con chi? Io non devo integrarmi da nessuna parte, sono nata e cresciuta in questo paese, questa è la mia cultura. Parlare così tanto di integrazione produce l’effetto contrario». Se la famiglia di Myriam è arrivata in Italia per ragioni economiche, quelle politiche sono alla base della migrazione di Andy Diaz Hernandez, per l’Italia vincitore del bronzo nel salto triplo. Dopo Tokyo, a cui aveva partecipato con la nazionale cubana, si sottrae al ritorno e chiede asilo in Italia, come due suoi compagni fanno altrettanto con Spagna e Portogallo: rispettivamente bronzo, argento e oro alle ultime Olimpiadi. Andy ha spiegato di aver scelto l’Italia, perché nei giochi precedenti aveva parlato con un atleta italiano più grande di lui: Fabrizio Donato, che lo ha accolto a casa sua quando ha deciso di non tornare a Cuba e ha chiesto asilo politico. «Entrambi – dice Pompei – hanno un tratto comune che spiega il segreto del loro successo: l’incontro con italiani che sono stati disponibili a sostenerli all’inizio del loro percorso».
Sì, l’inizio è un momento decisivo e critico, in cui possono essere colte potenzialità per il successo o il fallimento. Anche il campione medaglia d’oro nel lancio del disco alle paralimpiadi, Rigivan Ganeshamoorthy detto Rigi, nato in Italia da genitori srilankesi, è stato anche lui sostenuto per lungo tempo dal suo allenatore. In un contesto diverso, questo abbraccio di solidarietà è alla base del successo dei Corridoi Umanitari, il canale ecumenico che ha permesso l’arrivo dal 2016 di diecimila rifugiati in Italia, Francia e Belgio: «È decisivo soprattutto l’apporto nella fase iniziale di cittadini, gruppi, associazioni, disponibili a sostenere il percorso di naturalizzazione». Storie come quelle di Myriam, Andy e Rigi mostrano la responsabilità dei giornalisti e dei commentatori nel rappresentare le migrazioni in termini informati e corretti, senza fomentare paure e risentimenti. «Dobbiamo smettere – ha detto Dominique Quinio, già direttrice de La Croix e presidente onoraria delle Settimane sociali in Francia – di pensarli al plurale, come un insieme indifferenziato, ma iniziare a considerarli come individui. Il nostro sguardo cambia quando non ci troviamo più di fronte a una categoria, a un concetto, a un'idea, ma a una persona, a una famiglia, con bisogni, gioie e dolori simili ai nostri, aggravati dalla lontananza dal proprio paese natale». I successi italiani alle Olimpiadi hanno anche riaperto il dibattito sulla cittadinanza. È di vent’anni fa la prima campagna di Sant’Egidio, Made in Italy, per chiedere la riforma di una legge anacronistica, che riconosce solo il diritto di sangue degli antenati e non il radicamento sul territorio, o il lavoro della scuola per i più giovani. Un minore non ha nessuna possibilità di diventare cittadino prima della maggiore età, a meno che uno dei suoi genitori non divenga italiano. Per gli adulti, servono dieci anni di residenza, a cui se ne aggiungono quattro per la durata della procedura. È tra i più alti d’Europa, persino l’Ungheria richiede meno tempo. «Questa legislazione – commenta Pompei – determina, soprattutto nei giovani, una condizione di precarietà, di incertezza sul proprio futuro, che investe la stessa identità personale: ci si sente pienamente italiani senza essere riconosciuti tali, si protrae una condizione, anche legale, di dipendenza assoluta dal titolo di soggiorno dei genitori». La cittadinanza costituisce il riconoscimento giuridico di quel sentimento di appartenenza che i giovani già vivono: «Questa mancanza spiega, almeno in parte, la condizione di svantaggio in cui crescono i minori stranieri, ad esempio le maggiori difficoltà incontrate in ambito scolastico, che raggiungono il 30% di abbandoni alla scuola secondaria superiore». L’incapacità italiana di riformare la cittadinanza – la legge è del 1992, basata su quella del Regno d’Italia del 1912, pensata per un paese di emigrazione e non di immigrazione – è un esempio della «mancanza di politiche serie, perché strutturate e costanti nel tempo, che affrontino l’integrazione e che pongano in essere azioni efficaci per riequilibrare lo svantaggio iniziale dei nuovi arrivati».
Chiarisce Pompei: «Se l’Italia negli ultimi tre anni ha concesso il numero di cittadinanze più alto tra i paesi europei, si deve non certo ad un particolare favore della legislazione, ma al fatto che alcuni decenni di immigrazione e una raggiunta stabilità, hanno portato una coorte consistente di immigrati a ottenere i requisiti per la cittadinanza». Intanto, comunque, la società cambia: l’1 gennaio 2023, tra i 448 milioni della popolazione europea, 27 provenivano da nazioni extra Ue, a cui vanno aggiunti 14 milioni di comunitari e 20 milioni che hanno acquisito la cittadinanza negli ultimi 15 anni. Uno dei tratti più significativi è l’età: quella media dell’Unione è 44,5 anni, per i nuovi europei 31. I nuovi cittadini ringiovaniscono l’Europa: nel 2022 il 39% di coloro che hanno acquisito la cittadinanza aveva meno di 25 anni. Da Parigi arriva il messaggio che la vera sfida per la prossima Commissione è immaginare e costruire una dimensione europea capace di includere stabilmente questi nuovi cittadini, non concentrandosi unicamente sulle politiche di chiusura, di esternalizzazione delle frontiere e di contenimento dei flussi.
Al panel si ascolta anche la voce della frontiera Messico-Usa, portata dal vescovo cattolico di El Paso e presidente del Comitato sulle migrazioni della Conferenza episcopale statunitense, Mark Seitz, che opera in Texas al confine con Ciudad Juárez, e da padre Alejandro Solalinde di Hermanos en el Camino (Fratelli in cammino), simbolo dell’aiuto ai migranti in Messico. I cartelli del narcotraffico lo hanno picchiato, minacciato e organizzato attentati al suo rifugio per migranti di Ixtepec. In un’occasione le autorità municipali lo informarono che se non chiudeva il centro entro 48 ore, lo avrebbero bruciato. Ma anche quando si scoprì che un killer era stato pagato per ammazzarlo, ha scelto di non tacere. A proposito del Grande Viaggio, come i migranti chiamano la rotta che tra i paesi centramericani porta all’American Dream, dice: «La tratta è il più grande affare al mondo, più aumentano le limitazioni agli ingressi, più aumentano i rischi di morte e i ricavi dei trafficanti». Donne violentate, ragazzini derubati anche dei vestiti, uomini squartati e bruciati nei barili di benzina perché le famiglie non pagavano. «Sono le estreme conseguenze del sistema neoliberale capitalistico – continua il sacerdote – che ha disumanizzato e “cosificato” gli esseri umani. Tanti sono coinvolti nel sistema, con la connivenza delle autorità, dalla polizia ai funzionari locali, dai taxisti a chi distribuisce i volantini su come contattare i gruppi che gestiscono i traffici». Qualche buona notizia arriva: in Messico, per la prima volta in dieci anni, è iniziato un processo per ridare giustizia al nicaraguense Elvis, torturato perché si era opposto alla tratta, e continua l’opera di solidarietà di tanti religiosi, suore e attivisti per la solidarietà ai migranti: «Questo lavoro – conclude padre Solalinde – è costruire la pace: la pace è sempre relazionale, non cade dal cielo, ma è costruita quotidianamente».
foto: comunità Sant'Egidio