Un aiuto per spendere al meglio i fondi disponibili per
iniziative benefiche: questo è, in sostanza, la filantropia strategica, cioè un
salto di qualità, sia nella mentalità sia nell'efficacia, necessario affinché
le organizzazioni non sperperino risorse umane ed economiche proprio là dove
non ce lo si può permettere. Un vero e proprio metodo, dunque, di cui abbiamo
parlato con il professor Tiziano Tazzi, presidente di Fondazione Lang Italia.
«Mi rendo conto che l'ottimizzazione sia di per sé un concetto banale, ma
l'esperienza ci insegna come non sia facile da raggiungere nella complessa e
variegata realtà delle "charity"».
Quali logiche ci sono alla base della filantropia
strategica?
«Il problema fondamentale è che spesso ci si fa
"condizionare" dalle emergenze, un condizionamento che toglie
lucidità a una visione più lungimirante. Il sociale, invece, a nostro avviso,
andrebbe analizzato come un'azienda in difficoltà che necessita di essere
risanata. E qui mi ricollego all'altro tema su cui si basa l'approccio che noi
proponiamo: attraverso analisi accurate bisogna riuscire a tirare fuori il
meglio e far incontrare su terreni comuni seguendo ottiche condivise gli
obiettivi del mondo profit con quelli non profit».
Come si può riuscire in questa "impresa"?
«Da un lato vanno ripensati aspetti come il posizionamento e
il piano commerciale mettendo a punto una
strategia di medio-lungo periodo che
sia in grado di ri-orientare e rilanciare l'attività; dall'altro, si devono
attuare le iniziative per tenere viva
"l'azienda" nella sua
quotidianità, fatta anche e soprattutto di stipendi e affitti da pagare con
regolarità e attività da portare avanti. In pratica, serve trovare l'equilibrio
ideale tra l'oggi e il domani, senza che nessuno dei due aspetti prevalga in
modo preponderante».
Il non profit non rischia in questo modo di schiacciarsi
troppo sulle posizioni del profit?
«Se questo significa trovare un sistema che concili
l'emergenza dell'intervento concreto e improrogabile per risolvere un problema
e
l'esigenza di programmare gli investimenti futuri per evitare che quel
problema che ha creato l'emergenza si ripeta, allora sì, le due realtà si
devono "assomigliare". Non può mancare nel sociale una visione che
"tamponi" le conseguenze più stringenti di un problema ma programmi
un intervento per la soluzione delle cause che l'hanno provocato».
Quali sono, secondo la vostra esperienza, le difficoltà
maggiori del non profit ad adattarsi a queste strategie?
«È difficile generalizzare ma indubbiamente capita spesso di
registrare, a dispetto di tutta la buona volontà possibile, una ridotta
capacità di ascolto delle reali esigenze dei beneficiari finali di un progetto.
In altre parole, non sempre si valuta con la dovuta attenzione l'impatto
concreto di un intervento: è qui che la filantropia strategica si esprime al
meglio, "ricordando" la possibilità di utilizzare preventivamente
strumenti di misurazione delle conseguenze complessive di un'azione sociale».
Ci fa un esempio concreto?
«Pensiamo al caso frequente di un'organizzazione
italiana che chiede fondi per la realizzazione di un pozzo per l'acqua in
Africa: riceve 100 e trasferisce 70 nel progetto e 30 per coprire i costi di
struttura interni. Viene solitamente e a torto considerata meno efficiente di
un'altra organizzazione che, a parità di condizioni, investe 80 nel progetto e
20 per le spese interne. Ancora in pochi si preoccupano di capire se quella che
ha investito meno fondi nel progetto ha invece scelto i macchinari più
funzionali o studiato i procedimenti produttivi più efficaci: per esempio, la
prima organizzazione potrebbe essere riuscita, investendo di meno nel progetto
e di più nell'organizzazione, a realizzare un pozzo da cui estrarre 500 litri
di acqua, contro i 400 della "concorrente" rispondendo meglio alle
esigenze. Ecco, l'efficienza di utilizzo dei fondi viene raramente analizzata
come indice significativo della buona riuscita di un intervento. La filantropia
strategica serve anche a sopperire a questa scarsa capacità di valutazione,
partendo dal presupposto che esistono situazioni complesse in cui è davvero
difficile misurare l'efficienza».
E l'impatto sui beneficiari secondo il suo esempio come si
verifica?
«Se l'acqua necessaria a irrigare i campi di entrambi i
progetti fosse di 600 litri, entrambi avrebbero fallito. La difficoltà di chi
opera nel sociale è che, a differenza di quello che accade in altri settori, il
beneficiario finale non è chi paga: capire se si sono soddisfatte le sue
esigenze, a maggior ragione, diventa essenziale. Per esempio, per valutare il
raggiungimento dell'obiettivo, la filantropia strategica utilizza le interviste
con i beneficiari finali. Ricordo un aneddoto di qualche anno fa, quando ancora
non mi occupavo della Fondazione, che credo chiarisca bene ciò che intendo
dire: un amico, frate missionario, mi ha confidato che tra le difficoltà maggiori
del suo impegno c'era la gestione dei volontari. O meglio, dei volontari così
sicuri, sia chiaro in buona fede, di sapere che cosa fosse il bene per gli
altri».
Quali sono gli obiettivi della Fondazione Centro Lang?
«In generale ci proponiamo di diffondere in Italia questo
tipo di approccio e di cultura che, paradossalmente, in molti casi non è
conosciuto da chi sarebbe più direttamente interessato. Nello specifico
crediamo fortemente nel metodo che abbiamo messo a punto attraverso il quale da
un lato siamo in grado di
verificare la coerenza tra gli obiettivi
dell'intervento sociale e le caratteristiche dell'organizzazione che li deve
realizzare; dall'altro, facciamo in modo che il filantropo interessato a
investire fondi in progetti umanitari possa
scegliere dove
"indirizzarsi", non solo basandosi sul proprio istinto, ma vagliando
quegli interventi che ad esempio sono più o meno orientati a rimuovere le cause
di un problema o quelli che servano a tamponare un'emergenza piuttosto che a
iniziare un percorso più duraturo».
Latin American Youth Center
Campo: Famiglia
Sostenuto da: Mario
Morino (VPP)
Fonte: Lynn Taliento
(McKinsey)
Contesto: Il
Latin American Youth Center lancia un progetto per educare le famiglie contro
la violenza domestica. L’intervento prevede di parlare, principalmente con gli
uomini di casa, per far loro capire che non è un comportamento accettabile.
Intervento: Ci
si aspetta che, tramite il dialogo, il problema emerga, venga riconosciuto e
superato. Invece, andando a controllare l’impatto reale, ci si
accorge che il fenomeno aumenta invece di diminuire: la discussione pare
ridurre l’importanza dell’argomento, facendo emergere che per molti si tratta “di
una parte normale della nostra cultura” e
diminuendo di conseguenza la gravità percepita del fenomeno.
Risultato: grazie al management to outcome il problema viene riscontrato.
L’architettura del progetto viene rivista insieme ad esperti di violenza
domestica e riproposto: come effetto, gli uomini capiscono che non si tratta di un comportamento tollerabile e lo
percepiscono meno accettabile rispetto a prima dell'inizio del programma.
Harlem Children’s Zone (HCZ)
Sostenuto da: Edna
McConnell Clark Foundation, Bridgespan etc
Fonte: Mario
Morino (Leap of Reason)
Contesto: Il
regime “memorizzazione – verifica” nell’educazione e la batteria di test
standardizzati minacciano di premiare la preparazione volta al singolo esame
piuttosto che lo sviluppo di abilità e competenze fondamentali di cui la società
ed i ragazzi hanno bisogno, come il pensiero critico, il problem solving e
l’esperienza pratica.
Intervento: Geoff
Canada, fondatore e CEO della Harlem Children’s Zone, illustra i criteri di
successo secondo l’HCZ: “Il solo benchmark di riuscita è la laurea universitaria.
Questo è tutto - Quanti ragazzi fai andare al college, quanti ne fai uscire”. Gli
indicatori di successo tradizionali come livello di lettura, maturità o entrata
al college sono solo segnali intermedi - ciò che importa è che quei ragazzi riescano
a concludere il college, perché ci sono abbondanti prove a sostegno della tesi
che completare il college conduce a miglioramenti permanenti nelle vite della
gioventù.
Effetto: Tutti
i ragazzi assistiti dal HCZ si laureano? Ovviamente no. Ma l’HCZ ha intrapreso
il sentiero giusto perché
la mission di Canada non si limita a migliorare i
voti accademici. Nelle sue parole, si tratta di “salvare una comunità ed i
suoi ragazzi allo stesso tempo”.
Il Centro per una Filantropia ad Alto Impatto dell’Università della
Pennsylvania ha inquadrato il nocciolo della questione: “Nonostante gli alti
costi di questo peculiare modello, i risparmi potenziali per la società sono
immensi. Analizzare costi isolati non rivela nulla sul ritorno
dell’investimento”.
Cincinnati
Children’s Hospital Medical Center
Campo:
Sanità
Fonte:
Reed Abelson (New York Times, September
15, 2007)
Situazione:
Presso il Cincinnati Children’s Hospital
Medical Center, dopo un’analisi interna, ci si rende conto che non si sta
lavorando bene come si dovrebbe, non si sta soddisfacendo la mission.
L’obiettivo generale è emergere da un ruolo solo regionale nella medicina
pediatrica. Non avendo il prestigio di altri competitor, bisogna competere su
qualcos’altro: la scelta è per la Qualità.
Intervento:
1) La prima area d’azione è la raccolta d’informazioni completa:
l’ospedale raccoglie informazioni a 360° sui pazienti, in modo da verificare la
qualità delle cure e coordinare le terapie di professionisti diversi in modo più
efficiente e meno scomodo, anche in termini di tempo.
2) Inoltre, i dati rivelano le strade per il
miglioramento; per esempio, l’ospedale inizia a tenere un record del numero
d’infezioni post intervento e ad indagare come abbassare questo tasso: in pochi
mesi viene ridotto della metà.
3) Si sfrutta poi l’esperienza industriale del CEO
Mr. Anderson per la scomposizione dei problemi e la risoluzione di falle - che a volte i medici riscontravano ma
non sapevano come affrontare.
4) Viene ricercata la specializzazione,
concentrandosi su malattie infantili non abbastanza coperte dai competitor;
vengono assunti specialisti, creati profili completi dei pazienti… s’innesta un
circolo virtuoso, più pazienti affetti da questo genere di malattie vengono
attratti, più si specializza e si migliora l’erogazione della cura.
5) Sull’altro lato, si cerca di ridurre il numero di
ricoveri non necessari andando alle radici, cioè prevenendo - per esempio, con
un programma di gestione dell’asma nella comunità: viene studiato un piano
sanitario per ogni persona affetta e un piano di azione per i medici in modo
che sappiano come agire quando si presenta il problema e i loro studi sono
chiusi. I ricoveri, di emergenza e non, sono diminuiti nettamente.
Effetto: i
successi possono essere misurati per lo meno su tre aree.
Espansione raggio: dopo un anno, la
percentuale di pazienti non originari di Cincinnati è passata dal 19 al 26%,
grazie a qualità, al focus su certe condizioni mediche e alla coordinazione dei
vari specialisti su ogni caso.
Qualità: Il CEO con background manifatturiero
assicura altissima attenzione a qualità ed efficienza; inoltre il Cincinnati è
uno dei pochi ospedali a mantenere aggiornati i record dei pazienti anche una
volta dimessi. L’obiettivo non è, come in molti ospedali, la cura in sé ma il
benessere del paziente.
Guadagni: il risultato operativo, in tre
anni, è cresciuto del 50% anche grazie ad un circolo virtuoso – spendere per
migliori specialisti, curarsi del benessere del paziente e raccogliere dati
permette di erogare cure migliori e quindi di ricevere più donazioni e grant da
reinvestire.
Crittenton
Women’s Union
Campo:
Sostegno a donne con reddito basso
Fonte:
Katie Johnston (The Boston Globe, 15
agosto 2012)
Situazione:
l’organizzazione viene fondata nel 2006
per sostenere le donne con redditi bassi a raggiungere l’indipendenza
finanziaria. Con la crisi
economica, diventa ancora più difficile reperire fondi – le fondazioni ed i
programmi governativi domandano prove dell’impatto creato dai programmi
sostenuti. A un anno dalla nascita, l’organizzazione non sa neanche quante
persone sta assistendo e basa le proprie decisioni su istinto e valutazione
personale.
Intervento:
l’organizzazione guarda al management to
outcome, in particolare alla ricerca di informazioni affidabili su cui basare
le proprie decisioni. Vengono raccolte pagine e pagine su ogni assistito circa
debito, affidabilità creditizia, risparmi, salario … realizzando così delle
schede con “medie voti”. Queste informazioni sono condivise con i soggetti per
individuare le possibilità di risparmio o percorsi di miglioramento (formazione
in primis). I progressi di ciascuno vanno a costituire un track record –
individuale e aggregato – poi usato come prova d’impatto per il reperimento di sponsor
e donatori.
Effetto:
triplicato il numero di diplomati tra
gli assistiti
-
attrazione di nuovi donatori (nonostante la cessazione
del finanziamento pubblico)
- l’organizzazione ora “allena” gli altri alla gestione
dei dati,
guidando un network di trentaquattro non profit interessate al data
management