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giovedì 24 aprile 2025
 
 

Oltre la buona volontà

29/01/2013  Importata dagli Usa, si fa largo in Italia la cultura della filantropia strategica. Che cosa sia e come funzioni lo abbiamo chiesto a Tiziano Tazzi, presidente Fondazione Lang Italia

Un aiuto per spendere al meglio i fondi disponibili per iniziative benefiche: questo è, in sostanza, la filantropia strategica, cioè un salto di qualità, sia nella mentalità sia nell'efficacia, necessario affinché le organizzazioni non sperperino risorse umane ed economiche proprio là dove non ce lo si può permettere. Un vero e proprio metodo, dunque, di cui abbiamo parlato con il professor Tiziano Tazzi, presidente di Fondazione Lang Italia. «Mi rendo conto che l'ottimizzazione sia di per sé un concetto banale, ma l'esperienza ci insegna come non sia facile da raggiungere nella complessa e variegata realtà delle "charity"».


Quali logiche ci sono alla base della filantropia strategica? 
«Il problema fondamentale è che spesso ci si fa "condizionare" dalle emergenze, un condizionamento che toglie lucidità a una visione più lungimirante. Il sociale, invece, a nostro avviso, andrebbe analizzato come un'azienda in difficoltà che necessita di essere risanata. E qui mi ricollego all'altro tema su cui si basa l'approccio che noi proponiamo: attraverso analisi accurate bisogna riuscire a tirare fuori il meglio e far incontrare su terreni comuni seguendo ottiche condivise gli obiettivi del mondo profit con quelli non profit».

Come si può riuscire in questa "impresa"? 
«Da un lato vanno ripensati aspetti come il posizionamento e il piano commerciale mettendo a punto una strategia di medio-lungo periodo che sia in grado di ri-orientare e rilanciare l'attività; dall'altro, si devono attuare le iniziative per tenere viva "l'azienda" nella sua quotidianità, fatta anche e soprattutto di stipendi e affitti da pagare con regolarità e attività da portare avanti. In pratica, serve trovare l'equilibrio ideale tra l'oggi e il domani, senza che nessuno dei due aspetti prevalga in modo preponderante».

Il non profit non rischia in questo modo di schiacciarsi troppo sulle posizioni del profit?
«Se questo significa trovare un sistema che concili l'emergenza dell'intervento concreto e improrogabile per risolvere un problema e l'esigenza di programmare gli investimenti futuri per evitare che quel problema che ha creato l'emergenza si ripeta, allora sì, le due realtà si devono "assomigliare". Non può mancare nel sociale una visione che "tamponi" le conseguenze più stringenti di un problema ma programmi un intervento per la soluzione delle cause che l'hanno provocato».

Quali sono, secondo la vostra esperienza, le difficoltà maggiori del non profit ad adattarsi a queste strategie?
«È difficile generalizzare ma indubbiamente capita spesso di registrare, a dispetto di tutta la buona volontà possibile, una ridotta capacità di ascolto delle reali esigenze dei beneficiari finali di un progetto. In altre parole, non sempre si valuta con la dovuta attenzione l'impatto concreto di un intervento: è qui che la filantropia strategica si esprime al meglio, "ricordando" la possibilità di utilizzare preventivamente strumenti di misurazione delle conseguenze complessive di un'azione sociale».

Ci fa un esempio concreto?
«Pensiamo al caso frequente di un'organizzazione italiana che chiede fondi per la realizzazione di un pozzo per l'acqua in Africa: riceve 100 e trasferisce 70 nel progetto e 30 per coprire i costi di struttura interni. Viene solitamente e a torto considerata meno efficiente di un'altra organizzazione che, a parità di condizioni, investe 80 nel progetto e 20 per le spese interne. Ancora in pochi si preoccupano di capire se quella che ha investito meno fondi nel progetto ha invece scelto i macchinari più funzionali o studiato i procedimenti produttivi più efficaci: per esempio, la prima organizzazione potrebbe essere riuscita, investendo di meno nel progetto e di più nell'organizzazione, a realizzare un pozzo da cui estrarre 500 litri di acqua, contro i 400 della "concorrente" rispondendo meglio alle esigenze. Ecco, l'efficienza di utilizzo dei fondi viene raramente analizzata come indice significativo della buona riuscita di un intervento. La filantropia strategica serve anche a sopperire a questa scarsa capacità di valutazione, partendo dal presupposto che esistono situazioni complesse in cui è davvero difficile misurare l'efficienza».

E l'impatto sui beneficiari secondo il suo esempio come si verifica? 

«Se l'acqua necessaria a irrigare i campi di entrambi i progetti fosse di 600 litri, entrambi avrebbero fallito. La difficoltà di chi opera nel sociale è che, a differenza di quello che accade in altri settori, il beneficiario finale non è chi paga: capire se si sono soddisfatte le sue esigenze, a maggior ragione, diventa essenziale. Per esempio, per valutare il raggiungimento dell'obiettivo, la filantropia strategica utilizza le interviste con i beneficiari finali. Ricordo un aneddoto di qualche anno fa, quando ancora non mi occupavo della Fondazione, che credo chiarisca bene ciò che intendo dire: un amico, frate missionario, mi ha confidato che tra le difficoltà maggiori del suo impegno c'era la gestione dei volontari. O meglio, dei volontari così sicuri, sia chiaro in buona fede, di sapere che cosa fosse il bene per gli altri».

Quali sono gli obiettivi della Fondazione Centro Lang?
«In generale ci proponiamo di diffondere in Italia questo tipo di approccio e di cultura che, paradossalmente, in molti casi non è conosciuto da chi sarebbe più direttamente interessato. Nello specifico crediamo fortemente nel metodo che abbiamo messo a punto attraverso il quale da un lato siamo in grado di verificare la coerenza tra gli obiettivi dell'intervento sociale e le caratteristiche dell'organizzazione che li deve realizzare; dall'altro, facciamo in modo che il filantropo interessato a investire fondi in progetti umanitari possa scegliere dove "indirizzarsi", non solo basandosi sul proprio istinto, ma vagliando quegli interventi che ad esempio sono più o meno orientati a rimuovere le cause di un problema o quelli che servano a tamponare un'emergenza piuttosto che a iniziare un percorso più duraturo».

Latin American Youth Center


Campo: Famiglia   

Sostenuto da: Mario Morino (VPP) 

Fonte: Lynn Taliento (McKinsey)     

Contesto: Il Latin American Youth Center lancia un progetto per educare le famiglie contro la violenza domestica. L’intervento prevede di parlare, principalmente con gli uomini di casa, per far loro capire che non è un comportamento accettabile.      

Intervento: Ci si aspetta che, tramite il dialogo, il problema emerga, venga riconosciuto e superato. Invece, andando a controllare l’impatto reale, ci si accorge che il fenomeno aumenta invece di diminuire: la discussione pare ridurre l’importanza dell’argomento, facendo emergere che per molti si tratta “di una parte normale della nostra cultura” e diminuendo di conseguenza la gravità percepita del fenomeno.

Risultato: grazie al management to outcome il problema viene riscontrato. L’architettura del progetto viene rivista insieme ad esperti di violenza domestica e riproposto: come effetto, gli uomini capiscono che non si tratta di un comportamento tollerabile e lo percepiscono meno accettabile rispetto a prima dell'inizio del programma.

Harlem Children’s Zone (HCZ)


Campo: Educazione   

Sostenuto da: Edna McConnell Clark Foundation, Bridgespan etc     

Fonte: Mario Morino (Leap of Reason)     

Contesto: Il regime “memorizzazione – verifica” nell’educazione e la batteria di test standardizzati minacciano di premiare la preparazione volta al singolo esame piuttosto che lo sviluppo di abilità e competenze fondamentali di cui la società ed i ragazzi hanno bisogno, come il pensiero critico, il problem solving e l’esperienza pratica.     

Intervento: Geoff Canada, fondatore e CEO della Harlem Children’s Zone, illustra i criteri di successo secondo l’HCZ: “Il solo benchmark di riuscita è la laurea universitaria. Questo è tutto - Quanti ragazzi fai andare al college, quanti ne fai uscire”. Gli indicatori di successo tradizionali come livello di lettura, maturità o entrata al college sono solo segnali intermedi - ciò che importa è che quei ragazzi riescano a concludere il college, perché ci sono abbondanti prove a sostegno della tesi che completare il college conduce a miglioramenti permanenti nelle vite della gioventù.

Effetto: Tutti i ragazzi assistiti dal HCZ si laureano? Ovviamente no. Ma l’HCZ ha intrapreso il sentiero giusto perché la mission di Canada non si limita a migliorare i voti accademici. Nelle sue parole, si tratta di “salvare una comunità ed i suoi ragazzi allo stesso tempo”. Il Centro per una Filantropia ad Alto Impatto dell’Università della Pennsylvania ha inquadrato il nocciolo della questione: “Nonostante gli alti costi di questo peculiare modello, i risparmi potenziali per la società sono immensi. Analizzare costi isolati non rivela nulla sul ritorno dell’investimento”.

Cincinnati Children’s Hospital Medical Center


Campo: Sanità      

Fonte: Reed Abelson (New York Times, September 15, 2007)     

Situazione: Presso il Cincinnati Children’s Hospital Medical Center, dopo un’analisi interna, ci si rende conto che non si sta lavorando bene come si dovrebbe, non si sta soddisfacendo la mission. L’obiettivo generale è emergere da un ruolo solo regionale nella medicina pediatrica. Non avendo il prestigio di altri competitor, bisogna competere su qualcos’altro: la scelta è per la Qualità.      

Intervento: 1) La prima area d’azione è la raccolta d’informazioni completa: l’ospedale raccoglie informazioni a 360° sui pazienti, in modo da verificare la qualità delle cure e coordinare le terapie di professionisti diversi in modo più efficiente e meno scomodo, anche in termini di tempo. 2) Inoltre, i dati rivelano le strade per il miglioramento; per esempio, l’ospedale inizia a tenere un record del numero d’infezioni post intervento e ad indagare come abbassare questo tasso: in pochi mesi viene ridotto della metà. 3) Si sfrutta poi l’esperienza industriale del CEO Mr. Anderson per la scomposizione dei problemi e la risoluzione di falle  - che a volte i medici riscontravano ma non sapevano come affrontare. 4) Viene ricercata la specializzazione, concentrandosi su malattie infantili non abbastanza coperte dai competitor; vengono assunti specialisti, creati profili completi dei pazienti… s’innesta un circolo virtuoso, più pazienti affetti da questo genere di malattie vengono attratti, più si specializza e si migliora l’erogazione della cura. 5) Sull’altro lato, si cerca di ridurre il numero di ricoveri non necessari andando alle radici, cioè prevenendo - per esempio, con un programma di gestione dell’asma nella comunità: viene studiato un piano sanitario per ogni persona affetta e un piano di azione per i medici in modo che sappiano come agire quando si presenta il problema e i loro studi sono chiusi. I ricoveri, di emergenza e non, sono diminuiti nettamente.      

Effetto: i successi possono essere misurati per lo meno su tre aree. Espansione raggio: dopo un anno, la percentuale di pazienti non originari di Cincinnati è passata dal 19 al 26%, grazie a qualità, al focus su certe condizioni mediche e alla coordinazione dei vari specialisti su ogni caso. Qualità: Il CEO con background manifatturiero assicura altissima attenzione a qualità ed efficienza; inoltre il Cincinnati è uno dei pochi ospedali a mantenere aggiornati i record dei pazienti anche una volta dimessi. L’obiettivo non è, come in molti ospedali, la cura in sé ma il benessere del paziente.

Guadagni: il risultato operativo, in tre anni, è cresciuto del 50% anche grazie ad un circolo virtuoso – spendere per migliori specialisti, curarsi del benessere del paziente e raccogliere dati permette di erogare cure migliori e quindi di ricevere più donazioni e grant da reinvestire. 

Crittenton Women’s Union  


Campo: Sostegno a donne con reddito basso     

Fonte: Katie Johnston (The Boston Globe, 15 agosto 2012)     

Situazione: l’organizzazione viene fondata nel 2006 per sostenere le donne con redditi bassi a raggiungere l’indipendenza finanziaria. Con la crisi economica, diventa ancora più difficile reperire fondi – le fondazioni ed i programmi governativi domandano prove dell’impatto creato dai programmi sostenuti. A un anno dalla nascita, l’organizzazione non sa neanche quante persone sta assistendo e basa le proprie decisioni su istinto e valutazione personale.      

Intervento: l’organizzazione guarda al management to outcome, in particolare alla ricerca di informazioni affidabili su cui basare le proprie decisioni. Vengono raccolte pagine e pagine su ogni assistito circa debito, affidabilità creditizia, risparmi, salario … realizzando così delle schede con “medie voti”. Queste informazioni sono condivise con i soggetti per individuare le possibilità di risparmio o percorsi di miglioramento (formazione in primis). I progressi di ciascuno vanno a costituire un track record – individuale e aggregato – poi usato come prova d’impatto per il reperimento di sponsor e donatori.      

Effetto: triplicato il numero di diplomati tra gli assistiti - attrazione di nuovi donatori (nonostante la cessazione del finanziamento pubblico) - l’organizzazione ora “allena” gli altri alla gestione dei dati, guidando un network di trentaquattro non profit interessate al data management

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