Mafie e volontariato
«Episodi di violenza come quello di Brindisi acquiscono lo
stato di incertezza e di paura in cui versa il Paese. E la crisi economica è
solo un aspetto di un decadimento più generale in cui stanno crollando i
valori, i modelli, le prospettive. Siamo tutti un po' più interessati a
difendere i nostri piccoli interessi personali e ci apriamo sempre meno. Ma da
questa situazione usciamo solo se stiamo insieme, solo se si innesca quella
giusta coesione sociale il cui collante non può che essere la solidarietà. È
qui che il Terzo settore entra in campo: deve essere promosso, sollecitato,
rendendo i giovani nuovamente protagonisti nell'associazionismo, nella
cooperazione, nelle iniziative sulla legalità». Katia Stancato è nata e vive a
Cosenza dove è da sempre impegnata nel volontariato al cui servizio ha messo
anche la sua laurea in Economia: a soli 23 anni è stata nominata presidente di
Confcooperative, oggi è componente della Giunta della Camera di commercio della
sua città ed è portavoce del Forum regionale del Terzo settore. "Oltre la
siepe" (edizioni Rubbettino) è il racconto corale della sua terra: storie
di uomini e di donne che con i loro sogni e la loro determinazione hanno creato
un circolo virtuoso di energia positiva grazie alla quale la Calabria può e
deve dimostrare di essere altro rispetto ai fatti di cronaca che riportano i
media, tra malasanità e criminalità organizzata. In questa lunga intervista,
prendendo spunto dall'attualità, ci racconta come il suo Sud, a partire dai
giovani e dal Terzo settore, sta provando a invertire la rotta.
Che idea si è fatta dell'attentato di Brindisi?
«Ammesso e non concesso che sia di stampo mafioso, non credo
sia un caso che sia coinciso con il passaggio della carovana antimafia promossa
da "Libera" e "Arci" proprio in quella città. Ma
l'importante è questa non si sia fermata cotninuando il suo eprcorso prima in Sicilia e poi proprio da noi, in Calabria, passando
da Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone, in quei territori in cui nei mesi
scorsi si sono susseguiti gli atti di intimidazione, più o meno violenti».
Ma perché il mondo del volontariato dà così fastidio alla
mafia?
«Non certo per i soldi. Invece, si accanisce contro la
scuola, il Terzo settore e in generale contro tutte quelle energie positive che
in territori difficili stanno prendendo forma spontaneamente. È la libertà a
spaventare la criminalità organizzata che ha invece come interesse primario
quello di creare dipendenza nel tessuto sociale. Dipendenza dai suoi traffici,
dai suoi giri, per soggiogare la società civile e soddisfare il bisogno di
lavoro che indubbiamente c'è ed è una vera piaga. La soluzione, dunque, è
creare un'alternativa economica e sociale attraverso il lavoro così come in
passato ha provato a fare monsignor Bregantini nella locride, e oggi propongono
don Giacomo Panizza con "Progetto Sud" nell'area di Lamezia Terme e
don Pino de Masi nelle terre confiscate alla mafia nella piana di Gioia Tauro
con la cooperativa Libera. Ma non solo loro: ci sono tanti altri buoni esempi
di resistenza nelle parrocchie locali e nel laicato cattolico».
Come si può creare sviluppo in Calabria?
«La combinazione ideale è connettere il talento umano,
straordinario, con la vocazione dei nostri territori. Non ci dobbiamo inventare
proprio niente: basta valorizzare l'uomo e quella terra che troppo spesso
maltrattiamo e deturpiamo quando invece potrebbe essere fonte di ricchezza per
molte persone».
Un motore chiamato gioventù
La sensazione che si respira leggendo le cronache è che si
stia veramente muovendo qualcosa tra i giovani, una sorta di "primavera
del Mezzogiorno" come l'ha definita qualcuna che richiama le rivoluzioni
che hanno investito un anno fa i paesi del Nord Africa. Ce lo conferma? Sono
loro il motore del cambiamento?
«È ovvio che c'è un discorso di energia, di freschezza. Ma
non solo, hanno una formidabile capacità innovativa: i nostri ragazzi sanno
usare in maniera eccezionale tutti gli strumenti che la tecnologia mette loro a
disposizione e attraverso questi comunicano, tengono alta l'attenzione, si
confrontano. Il fatto che, a differenza dei loro genitori, abbiano
l'opportunità di essere connessi con il mondo li rende più pronti. Poi, va
detto, bisogna anche fare i conti con i dati che ci dicono che nel 2010 130
mila persone, di cui il 70% giovani professionalmente preparati e con un alto
livello di istruzione, hanno lasciato il Mezzogiorno ma non come spesso si
crede verso il Settentrione ma piuttosto verso l'Europa e gli Stati Uniti».
In quest'ottica, che tipo di impegno è legittimo pretendere
dalle aziende?
«Intanto va dato merito alle attività che l'università della
Calabria sta portando avanti ma che senz'altro vanno intensificate con il
coinvolgimento e l'apporto delle associazioni di categoria e delle camere di
commercio affinché sia sempre più stringente il rapporto tra la formazione che
segua lo sviluppo economico. Non sono mai abbastanza i programmi educativi,
formativi, integrativi alla didattica attraverso cui i protagonisti
dell'impresa sociale e non, profit e non profit, raccontino che un'altra
Calabria è possibile basata non solo sul posto ma sull'autoimprenditorialità».
Ci racconta un modo in cui si può dare credito, sia
economico che di motivazione, ai giovani?
«Le faccio un esempio: il "seminatore" è
un'iniziativa della banca di credito cooperativo con la Diocesi che insieme
hanno istituito un fondo il cui garante morale è il parroco. Semplice ed
efficace il funzionamento: il giovane che ha un'idea e vuole metterla in
pratica si reca dal parroco, una figura che lo conosce bene e può guardarlo
negli per valutare quanto impegno e quanta serietà è disposto a mettere in
campo. Una volta orientato, il giovane può recarsi allo sportello della banca
di credito cooperativo per entrare più nel dettaglio dell'operazione: qui
incontra dei volontari della Pastorale del lavoro che lo accolgono e cercano di
fargliela tradurre in operatività. Piccole cose, sia chiaro, ma significative e
gratificanti che vanno raccontate soprattutto in un momento così difficile in
cui si fatica ad avere fiducia».
Questa terra stupirà l'Italia
Passiamo al suo libro: perché per il titolo ha scelto
l'immagine della siepe?
«La siepe per me rappresenta un ostacolo oltre il quale c'è
una Calabria che può stupire l'Italia, una Calabria che non è ultima nelle
classifiche economiche ed è prima in umanità. Può essere una risorsa per tutti. Sono sette racconti che ovviamente non sono
esaustivi della bellezza della mia terra ma che sono rappresentativi di tutti i
settori produttivi, anche nelle zone più complicate. C'è una regione che non
chiede ma è disposta a dare, che non dipende dal resto del Paese ma
contribuisce ad arricchirlo. E poi c'è un filo rosso che unisce tutte le
esperienze che ho raccontato rappresentato dalla fede che dà valore all'impegno
di ciascuno. Paradossalmente proprio perché gli animatori delle storie sono
uomini e donne di chiesa, le imprese che raccontano sono piene di laici e così
contribuiscono ad una religiosità civile della nostra società in una visione
etica e non morale».
Ha una storia "preferita"?
«È impossibile scegliere anche perché con molte delle
persone di cui ho parlato nel libro si è intrecciata la mia vita privata e
professionale. Quella che conoscevo di meno, forse, è la missione di suor
Tiziana Masnada, i cui destini si sono uniti a quelli di altre due donne, Giusy
Brignoli e Susanna Scofano. Mi piace perché si tratta di una piccola storia di
un grande amore per la Calabria. Siamo a Scarcelli, piccola frazione del comune
di Fuscaldo, sulla costa tirrenica cosentina: dal loro impegno e dalla loro
passione sono scaturiti nuove occasioni di incontro, di integrazione e di
lavoro per tutta la comunità. È curioso che sia suor Tiziana sia Giusy siano
bergamasche trapiantate: due donne che hanno fatto il "percorso
inverso", folgorate dalla bellezza della Calabria e capaci di amarla come
neppure alcuni calabresi dimostrano di saper fare. Queste donne hanno dato vita
a un centro di aggregazione giovanile, poi alla cooperativa sociale Il Segno
impegnata nell'agricoltura sociale con cui hanno riportato in vita un campo
abbandonato per oltre 30 anni del comune di Paola. La loro è una battaglia
soprattutto contro i pregiudizi e le arretratezze: queste sono la dimostrazione
di come sia possibile contrastare la politica dell'accontentarsi tipica delle
nostre parti».
In quale circuito finiscono i prodotti della cooperativa?
«A migliaia di chilometri di distanza. I primi
"beneficiari" infatti sono i Gruppi di acquisto solidale del
bergamasco, come dicevo prima terra d'origine di suor Tiziana e Giusy. Quindi,
mi viene da pensare, l'Italia sulle cose concrete è più unita di quello che ci
vogliono far credere».
Negli ultimi mesi il protagonismo delle donne del Sud è
diventato un fenomeno potente. Come lo vede "dal di dentro"?
«La verità è che la loro centralità è frutto di enormi
sacrifici. Il problema dell'occupazione femminile è grave: una donna su tre
lavora mediamente un'ora in più per guadagnare il corrispettivo di un collega
uomo con medesime competenze e qualifica. Una volta tornata a casa, però ricade
sulle sue spalle il 70% del lavoro domestico. A questo si aggiunge la rete dei
disservizi che frena l'occupazione femminile: molte donne in Calabria
rinunciano a lavorare perché devono occuparsi di qualcun altro, che sia un
figlio o un anziano genitore. Sia chiaro, il welfare informale, di
"vicinato", è una risorsa, ma con maggiori e migliori servizi le
nostre donne sarebbe più libere per cercare o creare lavoro. Quando il
protagonismo delle donne diventa reale, i risultati ci sono: solo in termini di
istruzione hanno superato gli uomini laureandosi in numero superiore».
(nella foto, Katia Stancato)