È il viaggio che spezza i muri nonostante le resistenze. Papa Francesco, sulle orme di Paolo VI, arriva in Terra Santa e spiazza il mondo. Santa Marta in Vaticano come una nuova Camp David, un luogo da cui far ripartirei negoziati di pace. Il presidente israeliano Shimon Peres e quello palestinese Mahmoud Abbas (AbuMazen) accettano l’invito del Papa a Roma per una preghiera di pace, insieme. «Sarà prima di quanto si pensi», azzardano i giornali locali sperando in una data già nel mese di giugno.
Il Papa spinge in avanti la pace con gesti, parole e immagini. La sosta, non prevista, davanti al muro di cemento che chiude Betlemme, le parole forti con le quali ha chiesto, in tutti gli incontri con le autorità di entrambe le parti, «due Stati che vivano in sicurezza nei confini internazionalmente riconosciuti», l’abbraccio con il rabbino Skorka e il musulmano Abboud davanti al Muro del pianto, a Gerusalemme, riallacciano i fili spezzati di un dialogo fragile, ma possibile. In Giordania, in Palestina,in Israele, il Papa ha usato le stesse parole per i tre capi di Stato: «Lei è noto come uomo di pace e artefice di pace», dice a re Abdullah, a Peres e ad Abu Mazen. Quasi a volerli vincolare per uno stringente impegno futuro. Un impegno che parte dalla giustizia, senza la quale non c’è pace, e che chiede un coinvolgimento pieno delle religioni.
Per questo l’incontro con Bartolomeo, 50 anni dopo l’abbraccio tra Paolo VI e Atenagora, è diventato punto centrale del viaggio in Terra Santa, anche se forse quello mediaticamente più in ombra. Ma è qui, ha spiegato il Papa, il cuore della pace. Superare quello che papa Francesco ha sempre chiamato«lo scandalo della divisione» è il modo per mostrare al mondo che la via dell’unità e della pace è possibile. Non è una pace a buon mercato, quella che chiede papa Francesco. Perché è una pace che richiede giustizia, contrasto contro ogni discriminazione, libertà religiosa, rispetto del diritto di ciascuno a «vivere come essere umano», secondo l’espressione palestinese, lotta contro gli interessi di chi fabbrica e commercia armi. «Se ci sono le guerre è perché c’è chi vende armi alle parti in conflitto», ha denunciato il Papa in Giordania.
E le tre religioni del Libro,proprio nei luoghi dove Gesù è vissuto, non possono che essere le prime a testimoniare nella vita concreta che la convivenza è possibile, che ci si può «riconoscere come fratelli», che ciascuno, a partire dalla propria identità, «può essere artefice di riconciliazione e di concordia».