Il dolore anche dopo 40 anni non muta. Troppo intensa è l’assenza di un papà e marito come Giorgio Ambrosoli. Un uomo che ha pagato con la vita la scelta di fare il suo dovere quando, in qualità di liquidatore della Banca privata italiana, non chiuse gli occhi sugli affari sporchi del faccendiere Sindona. A suggellare la grandezza del suo sacrificio c’è una bellissima lettera scritta per la moglie nel febbraio del 1975. A pochi mesi dalla nomina, a quattro anni dal suo assassinio avvenuto l’11 luglio del 1979.
Banalmente potremmo chiamare quelle parole un testamento morale, ma sappiamo che storicamente e umanamente è molto di più. «Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto… Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro» scriveva intuendo il rischio del suo compito.
La vedova Annalori (78 anni) non nasconde quanto le siano care quelle parole. Oggi più che mai: «Sono sempre causa di grande commozione. La lettera ora la custodisce mio figlio Umberto (47 anni, noto avvocato e saggista, ndr). Era stata a Roma per una mostra sui testamenti storici e poi è tornata nel suo studio. La conserva anche per evitare che si scolorisca e si danneggi». Con lei c’è Francesca (51 anni), la sua primogenita, educatrice in una scuola materna, sposata con Andrea e mamma di Sofia, 21 anni, Giorgio, 19 e Stefano, 18. Apparentemente timida ma mai insicura, è pronta a raccogliere il testimone che la mamma ha intenzione di passarle.
Parlare di Giorgio Ambrosoli nelle scuole: «Ho già iniziato. È faticoso emotivamente, ma ogni volta mi rendo conto dell’affetto degli altri e di come i ragazzi rimangano colpiti da ciò che ha fatto mio papà». Nel 1979 aveva solo 12 anni (i fratelli Filippo 10 e Umberto 7). La mamma Annalori rivive quegli anni: «I bambini hanno avuto reazioni diverse. Simili quella di Francesca e Filippo, riservati e riflessivi. Hanno tirato giù la claire sul perché: un dolore e un argomento troppo grande da affrontare. Umberto era piccolo, ma era un bambino curioso che leggeva i giornali. Ed è lui che aveva ascoltato la telefonata di minacce al papà. Cosa che forse lo aveva lasciato sul chi vive».
Poi l’adolescenza di Francesca: «Portare sulle spalle l’eredità di papà è stato faticoso. Cercavo di scrollarmi di dosso quel dolore per sentirmi libera di vivere la mia età. Nel tempo ho capito e apprezzato quanto la sua gura fosse importante anche per gli altri».
Ispirati da Ambrosoli: Un eroe borghese di Stajano, libro, film, tv
E lo era al punto da ispirare anche il bellissimo libro del 1991 di Corrado Stajano Un eroe borghese, e ben due film, uno per il cinema nel 1995 e una serie per la Tv nel 2014: «Ero contraria e non mi sentivo pronta per il film», racconta Annalori, «in realtà non lo ero stata neanche per il libro. Ma Stajano si presentò con il testo già scritto e consegnato all’editore… E poi era così bello... Cosa potevo dire?».
Riguardo l’omonimo film, invece, era davvero contraria: «Vennero Placido e Bentivoglio a trovarci con la sceneggiatura. La loro passione civile e sociale riuscì a convincermi. Dissi ai miei gli che se non avessimo acconsentito lo avrebbero potuto girare comunque cambiando nomi e personaggi. E far dire loro qualunque cosa. Meglio accettare e avere voce in capitolo».
Si creò con il regista e gli attori un rapporto di fiducia: «Giravano vicino a casa e la sera venivano da noi. Potevamo discuterne, se c’era qualche inesattezza aggiustare ha emozionato moltissimo e mi aveva colpito il fatto che i bambini scelti per interpretare la nostra parte ci somigliassero molto», aggiunge Francesca. Più volte Annalori Ambrosoli ha parlato di Giorgio come di un uomo nato per fare il papà: «Abbiamo atteso sei anni i nostri figli. Io ne soffrivo, ma lui non lo faceva pesare e restava sereno. Quando è arrivata Francesca, la paternità è stata per lui importantissima. Le si è dedicato come un papà di oggi. La cambiava e le dava il biberon».
Giorgio Ambrosoli, un padre: il ricordo della famiglia
Nel periodo in cui lavorava come liquidatore aveva orari che lo tenevano lontano da casa: «Tornava tardi. Io, stanca, mettevo a letto presto i bambini e mi rilassavo. Capivo che era rientrato perché sentivo correre in corridoio. Prima ancora di venirmi a salutare, passava dai fili. Li svegliava perché voleva abbracciarli».
«Ricordo i suoi schizzi che dovevamo indovinare, i giochi in giardino e i suoi scherzi. Come quando si è travestito da befana. Io e Filippo lo avevamo capito… aveva i baffi. Ma Umberto si era spaventato da matti. Era un papà divertente», ricorda Francesca. Mamma e gli hanno avuto la grande capacità di sostenersi a vicenda: «Inconsciamente i miei tre bambini mi hanno protetta. Forse non sanno neanche quanto...», commenta dolcemente Annalori. «Naturalmente la proteggevamo», aggiunge Francesca, «volendo fare la nostra vita, abbiamo costretto lei a fare altrettanto. La scelta di una vita normale ci ha costretto a non chiuderci». Uniti e sempre aperti agli altri anche quando il dolore si è rinnovato con la grave malattia di Filippo da bambino e poi nel 2009 con la scomparsa improvvisa a soli 40 anni. Insieme hanno saputo perdonare: «Ho capito sin da subito che la rabbia è inutile e che il tempo ti porta a lasciarla alle spalle per non rendere la vita più pesante di quello che è», riflette Francesca. Le fa eco la sua mamma: «Sono convinta che chi commette questi atti non sa quello che fa. Che qualcosa gli impedisca di capire che sta spegnendo una vita umana. Però il perdono deve essere mediato dalla giustizia e le persone devono trovarlo dentro di sé»
Immagine in alto: la vedova Ambrosoli con i figli Francesca, Filippo e Umberto i giorni del funerale di Giorgio Ambrosoli. Foto ANSA/ARCHIVIO/GID
(Articolo pubblicato in origine su Famiglia Cristiana 27, 2019)