Le inchieste della magistratura, il caso della nave Iuventa, i contrasti sul codice Minniti e i sospetti generalizzati sulle Ong che operano nel Mediterraneo si tradurranno in una ricaduta negativa su tutto il mondo delle organizzazioni umanitarie che si spendono nel soccorso ai migranti. Lo spiega, sondaggi alla mano, Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia. “Già nel maggio scorso in un sondaggio seguito alle prime inchieste della magistratura, il 75 per cento degli intervistati pensava che se è stata aperta un’inchiesta significa che le Ong potrebbero agire in modo illecito. Non solo, ma il 48 per cento pensa che le Ong siano sicuramente d’accordo con i trafficanti”. Numeri destinati ad ampliarsi dopo la vicenda della nave Iuventa, sequestrata dalla magistratura di Trapani.
Quali potrebbero le conseguenze per le Ong?
“Sarà drammatico l’impatto sui donatori. Il 75 per cento degli intervistati sospetta le Ong di comportamenti illegali. Ma tra i donatori il 65 per cento non è convinto dell’estraneità delle organizzazioni italiane alle relazioni con i trafficanti di uomini. Tutto questo avrà una ricaduta negativa per l’intero settore, che risente di un calo di fiducia generato dalla narrazione mediatica e politica”.
Sul fronte dell’immigrazione stiamo diventando un popolo xenofobo? O lo siamo già?
“Non siamo un popolo xenofobo. Direi semmai un popolo impaurito. Gli sbarchi sono in diminuzione. Secondo i dati del Viminale al 18 luglio di quest’anno sono sbarcati in Italia 93.824 migranti, con una crescita del 17 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma la percezione degli italiani è molto più forte: l’impressione, soprattutto tra i ceti meno abbienti, le persone meno istruite e gli anziani, è quella di una marea enorme e inarrestabile, anche a causa dello scarso se non nullo impegno dell’Europa, poco disposta a fare i suoi compiti e a redistribuire i migranti che approdano sulle nostre coste”.
Da dove deriva questa percezione?
“Bisogna tenere conto l’orizzonte più generale di una ripulsa della globalizzazione. L’apertura ai commerci e alla libera circolazione, che aveva rappresentato, anche nella narrazione europeistica, un punto centrale condiviso dai nostri connazionali, oggi mostra molte ombre. Un sentimento più diffuso tra gli italiani rispetto agli altri Stati dell’Unione. L’Italia viene subito dopo gli Usa di Trump nella richiesta del protezionismo. La fiducia nell’Unione è ai minimi storici. Di fronte a questo panorama, tra l'altro, è evidente che il populismo e il sovranismo trovino terreno fertile”.
Si incuba in questo modo un effetto “invasione” generalizzato.
“Esattamente: ciò provoca una reazione pesante da parte della maggioranza dei cittadini che sempre più invocano una chiusura delle frontiere.L’impressione diffusa tra i cittadini è che la presenza degli immigrati nel nostro Paese sia molto più estesa di quanto non lo sia nella realtà. Del resto un’indagine Ipsos del 2015 ha mostrato come si pensi che gli immigrati rappresentino il 26 per cento della popolazione residente in Italia, quando i dati ufficiali indicavano il 9 per cento (oggi siamo al 10 per cento compresi irregolari, rifugiati e richiedenti asilo, pari a poco più di 6 milioni di persone). La percezione insomma produce un effetto moltiplicatore triplo. Ancor più sovrastimata è la presenza dei musulmani: gli italiani pensan o siano il 20 per cento della popolazione, quando non superano il 4 per cento”.
Quest’umore diffuso è attestato solo dai sondaggi?
“Non ci sono solo i sondaggi. Sono principalmente i sindaci, anche quelli del Centrosinistra, ad adeguarsi all’aria che tira, come si è visto nel caso della prima cittadina di Codigoro, del Pd, che ha minacciato una tassa per chi accoglie stranieri. Persino i sindaci più vicini alle posizioni di accoglienza evidenziano l’esasperazione e raccolgono il malumore dei loro cittadini, evidenziando difficoltà di rapporti con il Viminale e le prefetture”.
Nella scala delle priorità che posto occupa il “problema immigrazione”?
“Ormai viene al terzo posto dopo occupazione e lotta alla corruzione. Un tema in crescita nell’ultimo semestre”.
Quali sono i motivi di preoccupazione degli italiani nei confronti degli immigrati?
“In primo luogo l’idea che tra i migranti ci siano dei terroristi pronti a scatenare violenza e distruzione. Lo crede il 70 per cento degli intervistati. C’è poi l’idea che gli immigrati sfruttino i servizi pubblici del Paese, drenando risorse degli italiani (lo pensa il 59 per cento dei cittadini). Inoltre il 49 per cento degli italiani ritiene che gli immigrati abbiano reso più difficile trovare occasioni di lavoro. Poi vengono i presunti rischi per la salute o, peggio, per la sicurezza”.
C’è una considerazione diversa tra migranti economici e rifugiati?
“Non molta. Anche perché permane diffuso il dubbio che chi viene in Italia non sia in realtà un vero rifugiato ma uno che arriva per motivi economici e per avvantaggiarsi dei sussidi pubblici. Lo pensano due terzi degli italiani. Tutto ciò porta a un netto rifiuto: il 50 per cento pensa che gli immigrati siano una minaccia per la nostra cultura e le nostre tradizioni. Il giudizio si attenua molto quando si sposta l’attenzione dal tema generale all’esperienza diretta e agli stranieri con cui ci si relaziona ogni giorno: la badante, la colf, l’operaio, l’artigiano, il negoziante, i compagni di scuola dei propri figli. In questi casi le minacce paventate spariscono e si è più orientati all’inclusione”.
Come si dividono le pulsioni anti immigrati tra gli elettori dei vari partiti?
“In sostanza rimangono gli elettori del Pd a sostenere e riconoscere il ruolo economico degli immigrati, insieme agli elettori delle liste minori, nelle quali è presente un forte elettorato di sinistra. Le risposte sono quindi complesse, anche se Minniti, che ha adottato un cambio di rotta sul tema, è il più apprezzato dei ministri del governo Gentiloni”.