«Voterò sì perché credo che possa essere l’occasione per mettere poi mano a prassi e regolamenti delle Camere e anche perché non mi pare ci siano delle forti ragioni per votare no». Il costituzionalista Valerio Onida, professore emerito di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Milano e prima (dal 1996 al 2005) giudice costituzionale e poi presidente della Corte dal 2004 al 2005, appoggia il referendum pur ritenendo che «questa non sia una riforma così rilevante. Non ci sono in gioco valori costituzionali primari e non si avranno gli effetti negativi che vengono lamentati dai sostenitori del no. Può essere invece uno stimolo per migliorare l’efficienza e la funzionalità di Camera e Senato».
Non teme, invece, che sia una riforma contro il Parlamento?
«Al contrario. Il corpo elettorale è chiamato in questo caso a confermare o meno una decisione già presa dalle Camere, le quali hanno approvato ciascuna per due volte questa modifica costituzionale. Si è arrivati da ultimo all’appoggio di tutte le forze politiche parlamentari, e a un voto quasi all’unanimità. Per paralizzare una deliberazione ripetutamente adottata dal Parlamento ci vogliono delle buone ragioni, e io credo che non ci siano. Si dice che si deve difendere il Parlamento. È il voto contrario che sarebbe una smentita, un attacco al Parlamento».
Ma non verrebbe penalizzata la rappresentatività?
«Vorrei ricordare che le Camere sono organi rappresentativi centrali di una popolazione di 60 milioni di abitanti e di una cinquantina di milioni di elettori. E poi ci sono le Regioni, i Comuni, le Province, anche questi enti rappresentativi. Non credo proprio che ridurre il numero degli eletti penalizzi gli elettori. Altrimenti dovremmo dire che già il Senato che ha oggi un numero di componenti inferiore alla Camera dei deputati è meno rappresentativo dell’altro ramo del Parlamento (lo è semmai perché tuttora per il Senato votano solo gli ultraventicinquenni). Lo ripeto: la rappresentatività non è data dal numero degli eletti».
Le segreterie dei partiti avrebbero più potere con un numero inferiore di possibili eletti?
«Non credo che cambiare il numero incida sul rapporto tra elettori, eletti e partiti. La scelta dei candidati viene fatta oggi dai partiti e l’elettore partecipa poco già adesso. Può essere vero che il controllo dei partiti nella scelta degli eletti sia eccessivo, ma questo è un problema dei sistemi elettorali e del rapporto tra partiti e istituzioni e partiti ed elettori. Non credo che i deputati e i senatori, per il fatto di essere di meno, rischino di essere più soggetti alle segreterie. Occorrerebbe invece un miglior sistema elettorale, perché la rappresentanza politica, in un Paese grande come il nostro, passa inevitabilmente attraverso i partiti. Non è pensabile che se gli eletti fossero anche mille in più sarebbero frutto di una scelta o di una conoscenza personale degli elettori. La mediazione dei partiti è indispensabile. Ma questo discorso non c’entra nulla con i numeri».
Le Regioni più piccole avrebbero meno poteri?
«Sarebbero comunque sovra rappresentate. Nel sistema attuale la Costituzione prevede un minimo di Senatori per ogni Regione. Questo significa che, mentre per la Camera l’elezione è fatta su base circoscrizionale e nazionale in proporzione alla popolazione, per il Senato il sistema è su base regionale. Oggi i senatori sono almeno sette per Regione (salvo la Valle d’Aosta e il Molise), e, se vince il sì, saranno tre. Questo significa che le piccole Regioni proporzionalmente alle grandi avrebbero comunque, come oggi, una rappresentanza maggiore».
Con meno parlamentari il processo legislativo sarà più snello?
«Di per sé questa riforma non incide sul funzionamento e sull’efficienza del Parlamento. Però, se il referendum passasse, questa potrebbe essere un’occasione per dedicarsi a rivedere le norme dei regolamenti e per armonizzare meglio il modo in cui le due Camere operano. Non dico, dunque, che riducendo il numero automaticamente si migliori la funzionalità, ma che potrebbe essere uno stimolo a mettere mano ad altre modifiche».
E sul risparmio?
«È un argomento che non va considerato. Questa è una argomentazione sbagliata di chi sostiene le ragioni del sì, perché non si decide il numero dei parlamentari e la composizione degli organi costituzionali in base al costo. Gli organi costituzionali devono esistere ed essere configurati in base alle esigenze e a quello che si ritiene meglio per farli funzionare, non in base ad altre ragioni».
Ma è una riforma che lei avrebbe fatto?
«Non penso sia una riforma di grande rilevanza, ma, ripeto, può dare una spinta alle riforme. Per me, il tema fondamentale a cui ci si dovrebbe dedicare è il bicameralismo. Abbiamo due Camere pensate come diverse ma poi sempre più somiglianti tra di loro. Sarebbe opportuno ripensarle, dando a una sola delle due il compito di votare la fiducia al Governo e chiamare invece la seconda a deliberare sulle leggi e a controllarne l’esecuzione. Tutto un altro discorso rispetto al tema del numero di componenti».
(Foto Ansa)