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mercoledì 09 ottobre 2024
 
Politica e giustizia
 

Ora l'importante è non scrivere leggi emotive

21/11/2014  La riforma della prescrizione è importantissima, va fatta presto ma soprattutto bene, guardando all'insieme. Senza dimenticare che la nostra giustizia patisce anche per troppe norme contraddittorie e scritte con lo sguardo corto al presente.

L’abbiamo chiesto noi per primi (non da ieri): la prescrizione va riformata. Il Governo ha annunciato, ieri, una riforma a tappe forzate. Tutto bene dunque? Dipende. Bene, se il caso Eternit costringe la politica a mettere l’attenzione su un problema annoso e rimasto silente nelle more del Parlamento. Male se questo significa, come troppe volte in passato, che è lo sguardo corto dell’emotività a guidare la strategia legislativa, che invece avrebbe bisogno di guardare al bene comune con lungimiranza e sano distacco.

Se la nostra giustizia funziona male è anche perché deve confrontarsi con molte norme, poco chiare e talvolta contraddittorie, scritte sull’onda delle emozioni o degli interessi di un momento. C’è voluto un grande caso, emotivamente significativo, come l’Eternit, per far capire che una legge come la ex Cirielli scritta pensando all’interesse di alcuni avrebbe prima o poi avuto ricadute nefaste sulle vicende di tutti: se si legiferasse più spesso con la vista lunga al bene comune, e meno con la vista corta degli interessi immediati (di una parte o del consenso) probabilmente il sistema giustizia sarebbe più razionale e più essenziale e funzionerebbe meglio.

In tante contraddizioni nelle leggi e nelle procedure, ci sono parecchie spiegazioni delle lungaggini del nostro processo penale. Si pensi al fatto che siamo l’unico sistema in cui si possa patteggiare una pena, per uscire dal processo in primo grado, e poi ricorrere contro il patteggiamento successivamente: una contraddizione in termini. Ma non sono argomenti che colpiscono l’opinione pubblica: troppo sottili. E allora non se ne parla, finché il caso Eternit di turno non squarcia il velo su un singolo guasto. Il rischio, in questi casi, è che si corra a correggere quello perdendo di vista l’insieme.

Della schizofrenia di questo modo di ragionare in materia di giustizia c’è un esempio contingente e lampante nella cronaca di oggi. Da un lato, nel dibattito sull’Eternit, ci si chiede se la Cassazione non avrebbe potuto, con un atto di interpretazione, forzare un po’ la mano al calcolo della prescrizione, a fronte di un caso tanto grave, e portare così a collimare diritto e sentimento di giustizia. Dall’altro si coglie dai resoconti dei lavori parlamentari che una parte sta tentando da mesi di “far pagare” al giudice, con emendamenti al testo sulla responsabilità civile dei magistrati, ogni atto interpretativo men che conformista. Due spinte contrapposte che rivelano sentimenti contraddittori che potrebbero portare a scelte strabiche se non si ha chiara la meta.

Per quanto astratto possa sembrare, occorre ricordare che l’indipendenza della giurisdizione è cosa tremendamente seria che va salvaguardata per il bene di tutti, soprattutto dei più deboli, perché di lì passa la legge uguale per tutti. La tentazione di desiderare  una magistratura pronta a seguire gli umori volubili della piazza – pur comprensibile nel dolore delle vittime - è un rischio per la società eguale e contrario al desiderio, piuttosto palese nelle mire di tanta politica, di una magistratura prona al potere.

Il perché l’ha spiegato benissimo il Procuratore Iacoviello nella sua drammatica requisitoria: «Piegare il diritto alla giustizia oggi può fare giustizia oggi, ma è un precedente che domani produrrà mille ingiustizie». Vale per il giudice che, nella scelta drammatica tra diritto e sentimento di giustizia, deve scegliere il primo, per non cadere nell’arbitrio, e vale per il legislatore, che quando scrive una legge che funziona per accontentare l’opinione pubblica oggi, deve pensare al bene di tutti domani, quando l’onda emotiva finisce e la legge rimane.  

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