Accadde 40 anni fa, la sera del 16 ottobre 1978. Orazio La Rocca, storico vaticanista di Repubblica, lo ricorda bene. «Ero militare a Taranto. Vidi il terzo Papa alla tv, in bianco e nero, mentre ero in fila per la cena». Il terzo Papa di quello strano anno: ad agosto era mancato Paolo VI, poi erano seguiti i 33 giorni di papa Luciani, infine, dopo 455 anni, un Papa non più italiano. «Wojtyla. Voitìla. A sentire quel nome inconsueto un commentatore tv gridò: “Un africano!”. Ma anche nel Sacro collegio non era conosciuto da tutti. Prima dell’ultimo scrutinio un cardinale del Guatemala chiese ad alta voce: “Ma chi è questo Botiglia?”. Dopo l’elezione, Giovanni Paolo II lo abbracciò: “Così ora lei sa chi è Botiglia!”».
Quanto pesò la morte di due Papi sul secondo conclave del 1978?
«Moltissimo. Paolo VI aveva sofferto lungamente per la sua malattia artrosica. Papa Luciani, già di salute malferma, crollò sotto il peso del pontificato dopo 33 giorni. Ci fu anche un dibattito tra i cardinali se continuare ad addossare tutta la Chiesa su una sola persona. Era necessario un Papa giovane e di buona salute: Wojtyla, 58 anni, prestante e sportivo».
Perché non più un italiano?
«Serviva una figura che rompesse gli schemi dei guelfi e ghibellini italiani. Al conclave si scontrarono gli schieramenti del cardinale Siri e del cardinale Benelli, che finirono per annullarsi a vicenda. Sorse la necessità di un terzo. La Chiesa aveva bisogno di altro, non di lotte».
E la personalità di Wojtyla emerse subito...
«Perché subito ruppe il cerimoniale. Il Papa doveva limitarsi a benedire la folla, in latino. Ma Giovanni Paolo II voleva parlare con la gente e lo fece con quel suo italiano un po’ maccheronico. Quando disse “la vostra lingua” ma poi si corresse subito in “la nostra lingua italiana”, conquistò i cuori. E poi quella frase, ormai patrimonio dell’umanità: “Se mi sbaglio mi corriggerete!”. Parlare così, a braccio, fu anche un gesto di umiltà... copiato poi da un certo papa Francesco».
Giovanni Paolo II spiegò la scelta del suo nome in continuità a Paolo VI e a Giovanni Paolo I. Come continuò nell’applicazione del concilio Vaticano II?
«Sulle orme di papa Montini, Giovanni Paolo II fu un Papa globetrotter. 144 viaggi: è andato nei cinque continenti a toccare le piaghe del mondo. Ha dato una spinta fortissima al dialogo interreligioso, pensiamo ad Assisi, ma pure alla cancellazione dell’accusa di deicidio agli Ebrei, alla prima visita alla sinagoga di Roma, all’espressione “fratelli maggiori”, all’amicizia con il rabbino Toaff, poi citato nel suo testamento».
Hai un suo ricordo personale?
«Quando si ritirava in Cadore per un po’ di riposo, noi giornalisti battevamo la zona, sapendo che ogni giorno passeggiava seguendo un itinerario diverso nei boschi. Una volta riuscii a incrociarlo: lui in bianco e Navarro Valls in jeans. Fu molto paziente, parlammo con calma di vacanze e relax, poi mi salutò e mi benedisse. Avevo intervistato il Papa, cosa assai rara, a quei tempi! Chiamai in redazione, ma incappai in un caposervizio poco sensibile alla materia: “Hai sentito il Papa? Ma ti ha detto qualcosa di grosso? No?”. E l’intervista non uscì. Fu una grande amarezza».
In tanti anni di redazione, cosa dicevano i tuoi colleghi di Giovanni Paolo II?
«Al di là di quell’episodio, verso il Papa ho sempre sentito grande rispetto, anche se talvolta nel legittimo disaccordo di un giornale libero. La sera che arrivò la notizia della sua morte mi rattristai molto – dopo 27 anni, era come perdere uno di famiglia – e mi isolai un po’. Allora si avvicinarono alcuni colleghi per farmi le condoglianze. Con il tempo mi sono resoconto che quando si parla con le persone tanti muri vengono meno, anche con chi la pensa diversamente da te; anzi, proprio allora, più parli e meglio è».
Facendo il vaticanista a Repubblica, le occasioni di confronto non ti saranno mancate!
«Mi è molto caro il rapporto che ho avuto in un ambiente laico, ma anticlericale per lo più di facciata. Ecco due episodi. Un collega agguerritissimo contro la Chiesa torna da un viaggio e mi chiama: “Ti devo dire una cosa, perché tu mi puoi capire. Ho ritrovato la fede”. Cos’era successo? Era finito in una situazione in cui stavano per ucciderlo, come accaduto all’amico che stava con lui, e gli era tornato alle labbra il Padre nostro, come un ricordo dell’infanzia. Da allora andò a Messa tutti a giorni. Un’altra volta un vicedirettore importante, noto mangiapreti, mi fa rientrare di corsa da un servizio: “Ti devo parlare!”. Pensai a un incarico. Vado alla sede del giornale, mi fa chiudere la porta del suo ufficio e dice: “Tu devi andare a Lourdes? Portami un po’ d’acqua benedetta”. E poiché era la vigilia della canonizzazione di Padre Pio, mi chiese di rimediargli alcune immaginette».