Medellin, Colombia
Dal nostro inviato speciale
Ha lasciato più di un seme, in Colombia, il IV Convegno internazionale della Fondazione Ratzinger. Semi sui quali gli studenti che hanno partecipato ai lavori stanno già lavorando per dare un contributo al processo di riconciliazione che è uno snodo vitale per la vita di tutto il Paese. «Alla fine di questi lavori», spiega monsignor Giuseppe Scotti, presidente della Fondazione, «lasciamo qui la consapevolezza che questo momento storico che loro stanno vivendo, pur con tutte le difficoltà di un processo di riconciliazione e pace, è un momento che non va affrontato emotivamente perché bisogna chiudere una pagina dolorosa, ma mettendo in campo il coraggio dell’intelligenza.
Il fatto che un ateneo così importante come la Pontificia università bolivariana abbia investito molto sul lavoro di questi giorni mi fa credere che in Colombia possa nascere qualcosa di positivo sul tema del rispetto della vita e del cammino di pace».
In attesa di scegliere la sede del prossimo incontro internazionale – candidate sono Stati Uniti, Cile e Spagna – e di quello che si terrà a Roma nel 2016, la Fondazione fa tesoro di questi giorni dove il tema del rispetto della vita non è stato un tema teorico, ma profondamente calato nella realtà. E, proprio a partire dalle lacerazioni di un Paese che ha vissuto 50 anni di guerriglia e dove la «vita umana sembra valere meno che altrove», come ha sottolineato il nunzio Ettore Balestrero, ci si è interrogati su come rendere effettiva la difesa della vita, che comprende anche «il tema del lavoro, della povertà, la lotta per una società più giusta, il principio di sussidiarietà nella vita politica. Tutti temi che sono compresi nella dottrina sociale della Chiesa e che per molto tempo sono stati quasi dissimulati. Dobbiamo evitare la tentazione di pensare che la difesa della vita costituisca l‘unico assunto della Dottrina sociale della Chiesa», dice l’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa.
Erika Paola Jaimes, una delle vittime del conflitto interno che ha insanguinato la Colombia per decenni. Foto Reuters.
In realtà si tratta di avere una visione molto più ampia che comprende la vita umana in tutti i suoi aspetti e che apre al trascendente. «Quando la Chiesa parla di vita», dice ancora l’arcivescovo, «ne parla sia con riguardo a quella terrena che a quella eterna.
Una società che smarrisce questa seconda dimensione genera una lotta
tra cultura della vita e cultura della morte». Non è un tema solo
cattolico, come è stato sintetizzato alla fine dei lavori: «la difesa
della vita riguarda l’umanità intera».
E non si tratta solo di principi astratti. In aula si parla chiaramente
dei silenzi complici di quanti tollerano le dittature, finanziano le
guerre, appoggiano i terrorismi, di quanti pensano che sia naturale
uccidere, sequestrare, usare violenza. Si parla della «cultura del frammento della vita umana» che
impedisce di difendere la dignità delle persone nella loro interezza,
di una «estetizzazione della vita» che non è educazione alla bellezza,
ma costrizione dei propri corpi, di una pace che, citando papa
Francesco, è «un lavoro artigianale», un anelito mai veramente raggiunto
e sul quale però occorre continuamente spendere le proprie energie.
Come ha fatto la Fondazione Ratzinger, con l’aiuto della Pontificia università bolivariana e dell’arcidiocesi di Medellin. Sapendo
anche che il cammino è lungo e che per arrivare alla pace, come ha
sottolineato monsignor Luis Romera, rettore della Pontificia università
della santa Croce e presidente della Conferenza dei rettori delle
università pontificie romane, «c’è bisogno di percorrere quattro
gradini: «la giustizia, il perdono, il farsi carico dell’altro, ma anche
l’umiltà di farsi aiutare».