L'epidemia di ebola, la povertà, le guerre. C'è il ricordo di tutte le sofferenze del mondo nel messaggio Urbi et Orbi di papa Francesco. Affacciandosi dalla loggia delle benedizioni, il Papa ricorda la Siria, l'Ucraina, il Venezuela, i negoziati tra Israele e Palestina, i Paesi in guerra... E spiega che «la Buona Notizia non è una parola vuota, ma è una testimonianza di amore gratuito e fedele: è uscire da sé per andare incontro all’altro, è stare vicino a chi è ferito dalla vita, è condividere con chi manca del necessario, è rimanere accanto a chi è malato o vecchio o escluso».
Il grido del Vangelo, “Venite e vedete!”, «Voi non abbiate paura, il Signore è risorto, questo è il culmine dle Vangelo, la Buona notizia per eccellenza», tutto questo ci dice che «l’Amore è più forte», che abbiamo un Padre al quale possiamo chiedere ci aiutarci a «sconfiggere la piaga della fame, aggravata dai conflitti e dagli immensi sprechi di cui spesso siamo complici. Rendici capaci di proteggere gli indifesi, soprattutto i bambini, le donne e gli anziani, a volte fatti oggetto di sfruttamento e di abbandono. Fa’ che possiamo curare i fratelli colpiti dall’epidemia di ebola in Guinea Conakry, Sierra Leone e Liberia, e quelli affetti da tante altre malattie, che si diffondono anche per l’incuria e la povertà estrema».
Il Papa ricorda anche quanti «oggi non possono celebrare la Pasqua con i propri cari perché strappati ingiustamente ai loro affetti, come le numerose persone, sacerdoti e laici, che in diverse parti del mondo sono state sequestrate».
E, dopo aver parlato ancora dei migranti, si sofferma sulle situazioni dei Paesi in guerra. «Ti preghiamo, Gesù glorioso», implora il Papa, «fa’ cessare ogni guerra, ogni ostilità grande o piccola, antica o recente! Ti supplichiamo, in particolare, per la Siria, perché quanti soffrono le conseguenze del conflitto possano ricevere i necessari aiuti umanitari e le parti in causa non usino più la forza per seminare morte, soprattutto contro la popolazione inerme, ma abbiano l’audacia di negoziare la pace, ormai da troppo tempo attesa! Ti domandiamo di confortare le vittime delle violenze fratricide in Iraq e di sostenere le speranze suscitate dalla ripresa dei negoziati tra Israeliani e Palestinesi. Ti imploriamo che venga posta fine agli scontri nella Repubblica Centroafricana e che si fermino gli efferati attentati terroristici in alcune zone della Nigeria e le violenze in Sud Sudan. Ti chiediamo che gli animi si volgano alla riconciliazione e alla concordia fraterna in Venezuela».
Ricordando che quest'anno la Pasqua cade nella stessa data anche per chi segue il calendario giuliano il Papa prega anche per «le iniziative di pacificazione in Ucraina, perché tutte le parti interessate, sostenute dalla Comunità internazionale, intraprendano ogni sforzo per impedire la violenza e costruire, in uno spirito di unità e di dialogo, il futuro del Paese».
Papa Francesco prega per «tutti i popoli della terra ricordando che Cristo è risorto. Venite e vedete».
Infine «un pensiero particolare e riconoscente anche per il dono dei bellissimi fiori».
Fiori che arrivano dall'Olanda e addobbamo una piazza San Pietro stracolma di fedeli. Ammirati durante tutta la celebrazione cominciata, com'è consuetudine, con l'apertura dell'immagine del Redentore a destra dell'altare. Il Papa aveva cominciato in anticipo la messa del giorno pasquale. Messa senza omelia, in attesa del messaggio Urbi et Orbi, con il Papa, com'è tradizione, unico celebrante. La proclamazione del Vangelo sia in latino che in greco ha ricordato i due "polmoni" della Chiesa e il fatto che quest'anno Oriente e Occidente celebrano la Pasqua nella stessa data.
Fatto sottolienato anche dal canto degli Stichi e Stichirà, della liturgia bizantina, che un tempo venivano cantati davanti al Papa proprio nel giorno di Pasqua.
I fedeli, che hanno continuato ad arrivare dall'inizio della celebrazione fino alla benedizione finale, hanno riempito anche via della Conciliazione, fino a Castel Sant'Angelo. Una folla non inconsueta per questo Papa. Quasi le prove generali per i milioni di pellegrini attesi a Roma per la canonizzazione, tra una settimana esatta, di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.