Il sito Zaman Alwasl ha annunciato la morte di Paolo Dall'Oglio, il gesuita rapito da un gruppo islamico due settimane fa. La drammatica notizia non è confermata. Nell'attesa di una notizia positiva sulla sorte di padre Dall'Oglio, ripubblichiamo una delle sue più recenti interviste, quella concessa al settimanale Credere.
«A chi mi chiede com’erano i rapporti tra
musulmani e cristiani in Siria prima
della guerra, racconto spesso la storia
di Khalil, un giovane siriano musulmano.
Mentre si trovava in una prigione
dei servizi di sicurezza di Assad, è stato appeso
nudo con ganci di ferro al muro in modo da
toccare terra solo con la punta dei piedi. Dopo alcuni
giorni lo hanno gettato in una cella affollata da
poveri disgraziati, e tutti pensavano fosse morto.
Poi due ragazzi si sono strappati brandelli di abiti
per farne bende e medicargli le piaghe. Khalil ne
è uscito vivo e ha poi saputo che quei ragazzi erano
cristiani».
Il racconto – uno dei tanti che ti snocciola con
la sua parlata calda e coinvolgente – è di padre Paolo
Dall’Oglio, un uomo e un religioso difficile da
“inquadrare”: ha passato una vita a inseguire
dialogo e riconciliazione, ma non parlategli di vie
di mezzo o compromessi. Nel titolo di un suo libro
si è definito innamorato dell’islam, ma credente in
Gesù; è gesuita (dunque con dovere di obbedienza
al suo superiore) ma, come fondatore di una comunità
religiosa, a sua volta è “superiore”.
Quel che è certo è che la voce di padre Dall’Oglio è una delle più carismatiche
e insieme più discusse tra i cristiani
in Siria. Sì, perché lui in Siria ha vissuto
per oltre trent’anni fondando una
comunità religiosa dedicata al dialogo
islamo-cristiano, per poi essere espulso
dal regime di assad il 12 giugno 2012.
Soprattutto dopo la sua cacciata –
che, seppure contro il suo volere, gli ha
dato quella libertà di espressione divenuta
impossibile in Siria – Dall’Oglio
non ha nascosto il suo appoggio alla rivoluzione
anti-regime, differenziandosi
così nettamente dalle prudenze e dai
distinguo di chi, specie tra le gerarchie
ecclesiastiche siriane, teme una deriva
fondamentalista della rivolta.
«È proprio identificando tutti i ribelli
come terroristi – ripete da mesi –
che si radicalizza il conflitto e si mettono
in pericolo i cristiani. Condannare l’autodifesa
dei siriani di fronte all’inumana
repressione del regime è una scelta che
viene capita immediatamente come un
tentativo dei cristiani di salvare un regime
criminale e sanguinario. Questo va
a diretto discredito della Chiesa e mette
in pericolo il suo futuro». Il ragionamento
sembrerebbe non fare una piega,
ma poi si scontra con una realtà fatta
di rapimenti e uccisioni sempre più frequenti
di cristiani (e non solo) da parte
di milizie impazzite, ed è ormai appurata
la presenza di cellule di Al Qaeda in
Siria. «Questa violenza è inaccettabile –
risponde Dall’Oglio – e la Chiesa lo ricorda
giustamente a tutti. Ma non si deve
dimenticare che anche quarant’anni
di regime sanguinario degli Assad sono
un orrore e non un paradiso della convivenza
interreligiosa».
Quelle del gesuita non sono parole
pronunciate da chi se ne sta al sicuro in
qualche tranquilla città europea. Padre
Paolo – dopo avere aperto una nuova
comunità nel Kurdistan iracheno – è
tornato in Siria, clandestinamente, a
fine febbraio, vivendo per alcuni giorni
con gruppi di ribelli. «Ho visto piccoli
villaggi e quartieri di città rasi al suolo.
l’esercito usa ordigni lanciati dagli aerei
che producono distruzioni immani
su un’area di quasi un ettaro. Fanno gli
stessi danni di un missile scud, ma si può
centrare meglio il bersaglio».
Chiediamo a Dall’Oglio se – riservatezza
permettendo – può raccontarci
qualcosa dei cristiani siriani incontrati:
«Ho il ricordo di un vecchio moribondo
incontrato in un villaggio. Una persona
che era con me mi ha chiesto di benedirlo
e siamo entrati in questa casa molto
semplice, con le icone di carta di Maria
e dei santi appiccicate al muro. Un figlio
era morto in un bombardamento e un
altro è stato ucciso. Il padre ottantenne è
stato rapito e picchiato e ora è sul letto di
morte. Abbiamo pregato in arabo insieme
e mi ha detto che era sempre fedele
alla Messa in parrocchia. Il prete non c’è più da mesi. Ormai si fanno
i funerali senza passare dalla chiesa».
La diaspora dei seguaci di Cristo
è dunque l’unico destino possibile?
«Questa situazione disperata in molte
zone siriane ha provocato in effetti
l’emigrazione di gran parte della popolazione
cristiana e quelli che non hanno
potuto partire sperano di poterlo fare
al più presto. Si tratta di un’emorragia
inarrestabile e dolorosissima. la mia
impressione, tuttavia, è che i cristiani
possano fare ancora qualcosa per salvare
l’unità nella democrazia, ma devono
separarsi dal regime e diventare propositivi.
Più che le gerarchie, molto possono
i cittadini siriani e i rifugiati all’estero
». E lancia una proposta: il prossimo
sabato 3 agosto, mentre per i musulmani
è Ramadan, i cristiani, anche in Italia,
osservino un giorno di digiuno e di
preghiera «per la riconciliazione nella
giustizia in Siria».
L’ultima domanda è forse banale
ma inevitabile: cosa aspettarsi dal nuovo
Papa? «Ho molta speranza in papa
Francesco: mi permetto di suggerire che
sarebbe estremamente opportuno che
dicesse quanto la Chiesa prega e intende
mettersi al servizio della riconciliazione
tra i musulmani stessi, sciiti e sunniti.
E non solo in Siria: questa guerra
strisciante in atto dal Pakistan al Libano
è una tragedia che avviene tra fratelli e
rende spesso la vita e la testimonianza
dei cristiani penosa e addirittura impossibile.
La pace del mondo dipende pure,
e molto, dalla pace tra i musulmani.
Noi cristiani vogliamo metterci al servizio
della pace».