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venerdì 25 aprile 2025
 
A Taiwan la fede va in tv
 
Credere

Padre Emilio Zanetti. Missione in Cina? Sì, ma con le fiction

28/08/2017  A tu per tu con il gesuita che lav ora al KPS, la casa di produzione televisiva taiwanese che fa ascolti record con i programmi religiosi

Classe 1969, laureato, dopo tre anni come insegnante e un’esperienza nell’ufficio marketing della Sony di Los Angeles, dove ha lavorato nello sviluppo della Playstation 4, dal 2006 fa la spola fra Taipei e Pechino, operando come fundraiser per il Kuangchi Program Service (KPS), una casa di produzione televisiva taiwanese. Non è il brillante curriculum di un manager, ma il sintetico profilo di un missionario gesuita italiano, anzi potremmo dire “il” missionario gesuita italiano, se è vero che Emilio Zanetti, tra i non molti padri inviati stabilmente all’estero dalla Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù, è anche uno dei più giovani.

Zanetti, può spiegare anzitutto che cosa fa il KPS e in che senso si tratta di un’attività missionaria...

«Il KPS è nato nel 1958 e ha una lunga storia di produzione televisiva in lingua cinese, a Taiwan. Fondato da un visionario gesuita californiano, Philip Bourret, è diventato subito la più grande casa di produzione televisiva a Taiwan, e vi hanno lavorato le prime star del piccolo schermo. Obiettivo di KPS è la diffusione di educazione, alfabetizzazione e valori, soprattutto grazie ai programmi per bambini e famiglie, che hanno avuto un ampio successo con ripetute messe in onda in tutto l’Estremo Oriente. Inoltre il KPS ha sempre investito in una nicchia di prodotti televisivi esplicitamente religiosi e cattolici, come la serie su san Francesco Saverio, impersonato da padre George Martinson, per tutti Uncle Jerry».

Padre Martinson, ovvero un mito televisivo a Taiwan e nella Cina continentale, scomparso proprio pochi mesi fa...

«Sì, questo missionario californiano era una vera e propria stella del piccolo schermo: attore, presentatore, conduttore di programmi di insegnamento della lingua inglese ai bambini cinesi, come produttore di documentari ha addirittura vinto, nel 1986, il Cavallo d’Oro, cioè il massimo dei premi cinematografici nel mondo cinese. L’ha fatto con il documentario Beyond the killing fields, sulla vita dei rifugiati alla frontiera tra Thailandia e Cambogia. Questo prete semplice e affascinante, che si è sempre occupato dei più sfortunati, ha lasciato un segno profondo tra milioni di telespettatori asiatici. Jerry è scomparso improvvisamente lo scorso 31 maggio».

Fu lui, se non sbaglio, a fare in qualche modo riscoprire la fiigura di Matteo Ricci al grande pubblico cinese. Vede delle somiglianze tra le sfide che dovette affrontare il celebre confratello marchigiano e il lavoro che lei svolge oggi al KPS?

«Matteo Ricci era un genio, uno che pensava in maniera diversa. Io non sono di certo un genio, ma mi piace cooperare: più persone lavorano insieme, più si raggiungono grandi obiettivi. Anche in questo Ricci è stato un modello: lui è abitualmente raffigurato e ricordato con il suo amico scienziato cinese Paolo Xu Guangqi. La traduzione in cinese degli Elementi di Euclide e i metodi innovativi in agricoltura sono stati i risultati di questa collaborazione, permettendo all’impero cinese non solo un salto nel campo educativo e accademico, ma anche nella produzione alimentare. Queste cose non le realizza una persona singola, sono il frutto di solide collaborazioni. E così avviene anche oggi».

A proposito di collaborazioni, il KPS ha offerto la sua consulenza nella realizzazione del film Silence, di Martin Scorsese. Al di là della comprensibile emozione di collaborare con un grande regista, come religioso che cosa l’ha colpita di più?

«La realizzazione del film non è stata facile dal punto di vista logistico, ma l’intero team ha lottato per portarlo a termine. Questo mi è piaciuto, mi ha insegnato che anche se ci sono star e registi famosi, è sempre comunque un’impresa da realizzare con determinazione. Per quanto riguarda le reazioni al film, ho notato che i non cristiani lo hanno apprezzato di più rispetto ai membri delle nostre comunità parrocchiali, per lo meno qui a Taiwan. Sono rimasto sorpreso, ma contento».

Come spiega l’audience altissima conquistata dai documentari del KPS su figure di missionari in un Paese, la Cina, storicamente impermeabile al messaggio cristiano?

«In realtà la Cina è sempre stata molto aperta. Ci sono stati molti fraintendimenti in Occidente, e continuano ad esserci. Se si analizzano bene i dati storici, si può vedere come la Cina abbia assorbito non solo il Vangelo, ma anche elementi di molte altre culture e religioni. Questo non dà però a nessuno il diritto di andare a colonizzarla religiosamente, politicamente o culturalmente, come hanno cercato di fare molte potenze straniere, Chiesa cattolica compresa. Sono convinto che, se papa Francesco avrà l’opportunità di andare a Pechino, andrà anzitutto a chiedere scusa, perché per via di alcune diatribe interne al mondo dei missionari cattolici si è precluso a molti cinesi un accesso autentico alla proposta evangelica. Per quanto riguarda le produzioni di KPS, le autorità cinesi hanno sempre dimostrato il loro pieno supporto ed è un privilegio poter collaborare con loro».

Non a caso sono le stesse autorità cinesi che vi hanno chiesto un nuovo documentario su Ricci...

«Sì, e ne siamo molto contenti. Abbiamo avuto un supporto totale anche dalle diocesi locali, da imprenditori e da molta gente semplice, oltre che dallo stesso papa Francesco. Se tutto va bene, il documentario sarà pronto alla fine del 2018: sarà un grande omaggio a padre Jerry».

Rispetto ai tempi di Ricci, ma anche di Valignano e De Nobili, le cose per la Compagnia di Gesù sono molto cambiate dal punto di vista delle vocazioni e della composizione geografica. Di fatto lei è uno degli ultimi Gesuiti missionari italiani: come vive questa situazione?

«Io direi che non contano tanto la nazionalità o il luogo in cui ci si trova. Prima si partiva, non si sapeva nemmeno se si sarebbe sopravvissuti al viaggio, e si rimaneva a vita. Quelle generazioni di missionari hanno fatto un lavoro immenso nel costruire ponti. Ma poi i tempi sono cambiati. Ora si va e si viene, si parla gratuitamente con qualsiasi parte del pianeta collegandosi a internet, vedendosi sullo schermo. Si mandano somme di denaro nel giro di pochi minuti. È vero: ognuno ha una propria storia personale e una cultura in cui è cresciuto, ma a volte questo diventa una scusa per sottolineare differenze che alla fine sono marginali rispetto al fatto di essere tutti persone umane che possono coesistere e collaborare fruttuosamente. In ogni caso non credo di essere “uno degli ultimi missionari italiani”: ce ne saranno molti altri e allo stesso tempo ci saranno molti più asiatici, per esempio, che andranno in Europa come missionari. E questo scambio porterà solo del bene, così si confermerà che nessuno ha l’esclusiva del Vangelo».

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