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giovedì 24 aprile 2025
 
 
Credere

Padre Enzo Poiana: « Non disprezzate la fede "da Santuario"»

22/01/2016  Il rettore di Sant’Antonio a Padova svela cosa cercano le persone che ogni anno, a milioni, partecipano ai pellegrinaggi

«Le grandi folle di pellegrini che continuano a recarsi nei santuari sparsi nel nostro Paese, a dispetto delle chiese parrocchiali dove aumentano i banchi vuoti, dovrebbero insegnare pur qualcosa. Se ci sono limiti pastorali, questi vanno trovati nella gestione delle parrocchie. Forse andrebbe studiata con più attenzione e meno pregiudizi l’esperienza di spiritualità che il santuario permette di vivere a chi vi si accosta». Non ha dubbi in proposito padre Enzo Poiana, 56 anni, goriziano, frate minore conventuale, rettore dal 2005 del santuario di Sant’Antonio di Padova, nonché membro del consiglio nazionale del Collegamento nazionale santuari. Può parlare con cognizione di causa avendo vissuto l’esperienza della parrocchia per sette anni come viceparroco a Roma prima, e altri otto da parroco a Trieste, prima di diventare rettore del “Santo”, una delle basiliche più frequentate in assoluto con i suoi tre milioni e mezzo di pellegrini all’anno. Proprio in questi giorni (dal 19 al 21 gennaio) il Giubileo della misericordia dedica un appuntamento speciale agli operatori dei santuari e dei pellegrinaggi e, tra le iniziative organizzate a Roma, ha inserito proprio un convegno sul modo di integrare le pastorali di santuari e parrocchie.
«È un tema delicato, ma da affrontare senza precomprensioni. Da ex-parroco so bene che molti fedeli non frequentanti le parrocchie si recano più volte in pellegrinaggio e nei santuari. C’è chi, addirittura, li frequenta ogni domenica, come fossero la chiesa del quartiere. Accade spesso anche qui a Padova, tanto che devo pensare di fungere per tanti fedeli anche da parroco», osserva il religioso, una vocazione per la vita consacrata salvata dall’incontro con un altro francescano, padre Antonio Vitale Bommarco, già ministro generale dei Conventuali, e che fu eletto vescovo di Gorizia proprio quando il giovane Enzo aveva deciso di abbandonare il seminario.

Ci spieghi, padre Enzo, quale attrazione esercita il santuario nei confronti di credenti e non?

«Magari tutto nasce dalla volontà di non impegnarsi troppo. La parrocchia costringe alla frequenza regolare, il santuario no. E quindi si preferisce quest’ultimo. Ma questa sarebbe, da sola, una risposta del tutto superficiale».

E quindi, cosa offrono di esclusivo questi luoghi?

  

«È evidente: ciò che attrae è la possibilità di vivere un’avventura dello spirito. E il santo diventa unico e potente mediatore del Cristo. Si saltano catechesi scolastiche, noiose, eccessi di razionalismo dottrinale e dosi di moralismo. Si evitano i filtri opachi di comunità tiepide e si va all’esperienza totale, forte, offerta dalla suggestione potente di un santo, o della Madonna».

Questo non dovrebbe interrogare pastori e parroci?

«Certamente. Anzitutto si dovrebbe porre maggior attenzione alla cosiddetta devozione popolare. Si dovrebbe lasciar spazio a forme di religiosità diverse. Il modello di parrocchia distributrice soltanto di sacramenti è fallimentare. Deve diventare luogo di sviluppo di devozione popolare sana. E ciò significa diventare capaci di affiancare alla razionalità della dottrina anche una affettività religiosa, perché fede non è solo ragione. Insomma accanto alle esegesi bibliche, alle lectio divine, creiamo momenti per la preghiera, fosse anche un Rosario o una Via crucis. Quanti parroci, invece, pensano che conti di più il catechismo che la partecipazione alla Messa, centro e fulcro della nostra fede?»

E la religiosità da santuario viene tacciata da alcuni come devozionismo popolare.

  

«Eppure, ormai, più indagini sociologiche hanno smentito questa erronea convinzione. Ultima tra queste la ricerca realizzata dall’Osservatorio socio-religioso del Triveneto, nel 2010, in occasione dell’ostensione straordinaria dei resti corporali di sant’Antonio. Ne è uscita una nuova immagine del devoto e dei motivi che lo muovono: il livello culturale non è basso, ma medio-alto, fino alla laurea, e l’estrazione economica è la più disparata».

E le motivazioni?

«Quasi mai legate alla semplice, banale curiosità. È emerso che si viene per fede, per pregare, per incontrare il santo e avvicinarsi a Dio nell’Eucaristia. Soprattutto a muovere è il desiderio di incontrare l’amico Antonio, di cui magari s’è sentito qualcosa. In altre parole anche la reliquia diventa fonte genuina di evangelizzazione».

Quindi anche le reliquie provocano alla fede?

  

«Certo. Il primo compito del santuario è annunciare. Che faremo quest’anno? Annunceremo la misericordia del Signore al pellegrino. Non faremo, però, lunghe catechesi, ma il primo annuncio: diremo in sostanza che Dio ti vuole talmente bene che guarda non al tuo peccato, ma alla sofferenza causata da esso, e che vuole darti una buona ragione per cambiare strada. Questa conversione può provocarla solo l’incontro con una persona che è Cristo. Ma anche con un santo carismatico che fa vedere il volto del Signore».

Papa Bergoglio, che lei ha conosciuto in Argentina quand’era ancora cardinale, ha incoraggiato il superamento del pregiudizio nei confronti della fede “da santuario”?

«Papa Francesco ha fatto moltissimo per cancellare la separazione tra fede alta e devozione popolare. Quante volte ha incoraggiato l’espressione di quest’ultima. Ha insegnato soprattutto che il popolo di Dio non può manifestare la sua fede in un solo modo, ma ognuno con le sue peculiarità, nella pari dignità».

Antonio che santo è? E a chi si manifesta?

  

«È il santo che sorregge la famiglia, le relazioni stanche, la coppia in crisi; che risolve i casi impossibili. Se san Francesco ispira la vita, provoca all’essenziale, sant’Antonio ti sostiene nella scelta, ti aiuta nel cammino. È anche un birbante perché tira colpi bassi: le grazie preferisce quasi concederle a chi è lontano dalla fede, magari è un peccatore incallito, o ha una vita tormentata».

È stato testimone di grazie ricevute dal Santo?

«Sì, davvero tante volte. Dalle molte maternità ritenute impossibili, alle crisi familiari ricompostesi, a conversioni incredibili. E quante coppie “irregolari”, venute per chiedere in dono un figlio, poi si sono sposate cristianamente. Vuole un altro miracolo? Il recente viaggio di alcune reliquie di sant’Antonio nello Sri Lanka, voluto dal cardinale di Colombo, e durato 40 giorni, ha fatto aumentare del 50 per cento le richieste per entrare nel Cammino catecumenale».

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