In comune, con Fabiola Gianotti ha due certezze: che la scienza – e l’astronomia – sono veicoli di pace. Ma anche che non esiste contraddizione tra evoluzionismo e fede. «Non solo possono convivere, ma si aiutano a vicenda. Le scoperte della scienza arricchiscono la fede», dichiara padre José Gabriel Funes, uno dei primi a congratularsi con la Gianotti, la “signora delle particelle”, di recente nominata direttrice del Cern. Il gesuita argentino dal 2006 guida la Specola Vaticana, l’imponente osservatorio della Santa Sede che possiede anche un telescopio ad alta tecnologia in Arizona e vanta un team di scienziati che fa invidia a quello della Nasa. Inaspettatamente, ma solo per chi crede che scienza e fede siano due universi paralleli, è padre Funes è un punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale e, come spiega in quest’intervista, anche la fede considera la scienza una grande alleata.
Non è usuale incontrare un sacerdote astronomo. Come è nata la sua passione per le stelle?
«Diciamo che quella sacerdotale è una vocazione dentro la vocazione! Fin da piccolo, infatti, ero affascinato dall’osservazione del cielo. Ero all’Università, studiavo al corso di laurea in astronomia e, al terzo anno, ho sentito la chiamata di Dio. Ho atteso la laurea e poi sono entrato in seminario, iniziando quel bellissimo viaggio di formazione personalizzata tipico di noi gesuiti. Soltanto dopo l’ordinazione, ho svolto a Padova un master in astronomia, e poi sono stato destinato alla Specola, a Roma».
Perché alla Chiesa interessa lo studio dell’universo?
«Alla Chiesa sta a cuore tutto ciò che è umano e, a mio parere, una delle scienze più umane è proprio l’astronomia, che ha da sempre affascinato e ispirato la cultura umana, ci aiuta a capire da dove veniamo e verso dove andiamo».
Non c’è però il rischio che lo studio dell’astronomia ci allontani da Dio?
«No, anzi. L’aver compreso, ad esempio, che l’uomo non è più al centro dell’universo deve aiutarci a essere più umili. Papa Francesco ci ha più volte ricordato che siamo “alla periferia”, e possiamo dire addirittura di trovarci ai confini non soltanto del mondo, ma dell’universo! Questo cambio di prospettiva è importante, soprattutto perché ci dimostra che la nostra centralità di uomini non è data dalla posizione in cui ci troviamo, ma dall’incarnazione, dal fatto che Gesù si è fatto uno di noi. È questo evento a darci la dignità, a concederci uno spazio speciale nell’universo. L’incarnazione – ovvero la venuta di Dio che, come il buon pastore, si è messo alla ricerca della nostra umanità smarrita - non deve però farci credere che siamo al di sopra delle altre creature: dobbiamo avere rispetto e cura per la nostra Terra».
Padre Funes con papa Francesco.
Come si armonizza l’incarnazione con la possibilità di altre galassie e, quindi, di altra vita?
«La fede ci aiuta a trovare una spiegazione. L’incarnazione è un evento
unico nello spazio e nel tempo dell’universo. Dio si è fatto uomo 2000
anni fa, non prima né dopo. E si è anche fatto uomo in un luogo preciso:
in Palestina, nella Terra Santa, non in Italia o in Argentina. Questo
non toglie che, come scritto da Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptor hominis,
Dio nell’incarnazione si è unito a tutti gli esseri umani, quelli che
sono esistiti prima di Gesù e quelli che vivranno dopo. Così possiamo
dire che se ci fossero – e c’è un grande se – esseri intelligenti
nell’universo, anche loro sarebbero uniti a Gesù».
In un periodo di crisi economica, ha senso spendere soldi per fare ricerca nello spazio?
«È meglio che spendere soldi nelle armi! In realtà, anche i poveri
hanno diritto di conoscere cosa accade nell’universo, tutti dovremmo
avere accesso alla conoscenza scientifica, sapere che l’universo ha
un’età di 14 miliardi di anni… perché questo ci rende umani. La scienza
deve essere condivisa e comunicata. E poi, se vogliamo parlare da un
punto di vista pratico, le missioni spaziali danno lavoro a molta gente.
Del resto, è assolutamente giusto e necessario che gli Stati investano
in educazione e ricerca. Forse, sono ben altri i costi che andrebbero
tagliati…».
È da poco arrivata la nomina alla direzione generale del Cern per
l’italiana Fabiola Gianotti che, due anni fa, annunciò la scoperta del
bosone di Higgs. Come possono convivere scienza e fede?
«Non solo possono convivere, ma possono aiutarsi a vicenda, perché
offrono diverse interpretazioni della stessa realtà. Nessuna di queste
interpretazioni è assoluta, perché la scienza offre una visione
parziale, valida, vera, ma pur sempre parziale: non possiamo ridurre
tutto alla conoscenza scientifica. Così, anche la religione ha bisogno
di un pensiero critico e razionale, altrimenti diventa fondamentalismo.
Le scoperte della scienza arricchiscono la fede».
E la cosiddetta “particella di Dio”?
«La chiamano così, ma Dio non c’entra niente con la particella!».
Come è nato l’universo?
«La migliore spiegazione che abbiamo è quella
data dalla teoria del Big Bang. Dio è il creatore, ma non possiamo
pensarlo come un orologiaio o un ingegnere che “gioca” con i pezzi per
costruire questo universo. Dio è la condizione di possibilità, sostiene
l’essere e l’universo, permette a noi uomini di pensare, di fare
scienza».
Il gesuita padre José Gabriel Funes, dal 2006 direttore della Specola Vaticana.
Padre Funes, un astronomo-gesuita come la mette con l’evoluzionismo?
«Tra fede è scienza ci sono stati conflitti in passato e ce ne saranno
in futuro: è normale. L’importante, però, è superare col dialogo tutte
le tensioni che possono nascere».
Quali sono le attività di ricerca della Specola?
«Siamo un piccolo istituto di astrofisica, eppure cerchiamo di fare
ricerca in tutti i settori. Ci occupiamo del sistema solare, in
particolare degli oggetti che potrebbero colpire la terra, siamo stati
coinvolti nelle attività di ricerca di vita dell’universo, studiamo le
galassie vicine e quelle lontane e la cosmogonia, la spiegazione della
vita».
C’è quindi vita oltre la Terra?
«La ricerca continua. È difficile e fino a oggi non abbiamo notizie di
scoperta neppure di vita primitiva nel nostro sistema solare. Ci sono
dei luoghi più idonei di altri per trovare la vita, come sotto la
superficie di Marte o nei satelliti di Giove, ma finora non si è trovato
nulla. Sappiamo solo che milioni di anni fa su Marte scorreva l’acqua.
Cerchiamo pianeti simili alla Terra, sempre però nella nostra galassia,
non nelle altre, che orbitino attorno a stelle simili al nostro sole.
Grandi telescopi, come quelli che si stanno costruendo, permetteranno di
trovare atmosfere simili a quelle della Terra».
Ormai, non esistono più dubbi sull’esistenza delle altre galassie…
«È un dato di fatto. Ci sono 100 miliardi di galassie, ognuna ha 100
miliardi di stelle. Se dividiamo il numero di galassie per la
popolazione umana, ogni persona avrebbe 14 galassie da studiare! Con le
100 miliardi di stelle ognuna, ovvio…».
Dove sta andando l’universo?
«Si
espande, in maniera accelerata, ovvero sempre con velocità maggiore. È
infinito, perché non ha un limite spaziale».
Quali sono i prossimi impegni della Specola?
«Il 2015 è l’anno internazionale della luce, con i 100 anni della
relatività di Einstein. In Vaticano, stiamo organizzando dei convegni
scientifici di ampio respiro».
Una curiosità: quali telefilm vedeva da piccolo?
«Star Trek, tutta la serie! Sono cresciuto con le vicende dell’Enterprise».
Un’ultima cosa: quando lei guarda il cielo, prevale il sacerdote o l’astronomo?
«Prevale il gesuita (ride)».