«Nel momento del martirio sono passati, attraverso il dolore, alla gioia gloriosa della risurrezione». Con queste parole, il patriarca copto-ortodosso Tawadros II ha dato l’estremo saluto ai 29 cristiani uccisi nella chiesa di San Giorgio a Tanta, lo scorso 9 aprile, Domenica delle palme. Nelle stesse ore, altri 17 cristiani venivano uccisi in un analogo attentato suicida nella chiesa di San Marco ad Alessandria.
È una Pasqua di risurrezione, ma soprattutto è una Pasqua di passione e morte, quella vissuta dai cristiani d’Egitto, una volta di più presi di mira dal terrorismo islamista. «Purtroppo ce lo aspettavamo», commenta padre Giuseppe Scattolin, missionario comboniano che vive al Cairo da trent’anni. «È triste dirlo, ma questo genere di attacchi in uno dei tempi forti della vita cristiana era prevedibile. E, a maggior ragione, dopo l’annuncio della visita di papa Francesco al Cairo, prevista per fine aprile».
CRISTIANI PERSEGUITATI
Le stragi della Domenica delle palme si inseriscono, secondo padre Scattolin – che è un esperto di lingua e mondo arabo e in particolare di misticismo islamico – in una lunga scia di attentati, violenze e discriminazioni che contraddistinguono da sempre la presenza cristiana in Egitto. «Questi attentati», dice, «si collocano nella storia del fondamentalismo islamico e delle sue manifestazioni più estreme, ma rientrano perfettamente anche nella logica del terrorismo islamista di questi ultimi anni. Che è, appunto, quella di terrorizzare la gente. In Egitto vengono prese di mira non solo le chiese, ma anche le moschee, specialmente quelle sufi. L’obiettivo è destabilizzare il Paese, minare la coesione sociale, mettere in difficoltà il governo e impedire che l’Egitto possa diventare a tutti gli effetti un Paese pluralista e moderno».
I copti, in questo senso, rappresentano l’obiettivo privilegiato di chi si oppone a una società multiculturale e multireligiosa. A chi persegue con la violenza – magari in nome della religione – obiettivi di potere e di dominio. E così i cristiani copti continuano a pagare un prezzo di sangue altissimo.
Già lo scorso dicembre, un terribile attentato alla chiesa di San Pietro e San Paolo al Cairo – proprio accanto alla cattedrale di San Marco, cuore della cristianità egiziana – aveva provocato 25 morti e una cinquantina di feriti. Ma è ancora fresco anche il ricordo della strage di Capodanno nella chiesa dei Santi ad Alessandria nel 2011 con 21 morti, nonché la barbara decapitazione di 21 copti sulla spiaggia di Sirte in Libia nel febbraio del 2015.
NEL SEGNO DEL MARTIRIO
Il tema del martirio, dunque, continua a segnare la cristianità egiziana: segna questa Pasqua, così come aveva segnato lo scorso Natale. «Ci chiamano Chiesa dei martiri», ricorda il patriarca Tawadros, «perché fin dall’inizio del cristianesimo la Chiesa dell’Egitto ha offerto i suoi figli come martiri».
«Evidentemente», insiste padre Scattolin, «la comunità cristiana è la parte più debole della società, una minoranza che non costituisce in nessun modo un pericolo per la comunità islamica. Tuttavia colpire i cristiani significa provocare un impatto drammatico su tutta la società egiziana, oltre che lanciare un messaggio di sfida e di paura al mondo intero».
I copti in Egitto rappresentano circa il dieci per cento della popolazione, ovvero attorno ai nove-dieci milioni di fedeli, che si sentono autenticamente figli di questa terra. Il termine “copto”, infatti, ha la stessa radice greca di “egiziano”, sono praticamente sinonimi. A testimonianza di un’antichissima presenza del cristianesimo in questo Paese, che risale alla predicazione di san Marco nel primo secolo dopo Cristo. La loro storia, tuttavia, è sempre stata estremamente travagliata, fatta spesso di persecuzioni e talvolta di delicati compromessi. L’arrivo al potere della Fratellanza musulmana – che aveva spento tutte le grandi speranze suscitate dalla primavera araba e dalla “rivoluzione” del popolo di Tahrir – aveva inferto un duro colpo anche ai copti, così come a una vasta fetta della popolazione, sprofondata nella disillusione e nell’inquietudine. La deposizione di Mohamed Morsi e l’ascesa di Abd al-Fattah al-Sisi avevano dato nuovo coraggio e speranza ai cristiani, che hanno guardato quasi unanimemente con grande favore a questo generale-presidente che guida il Paese con pugno di ferro. Questo, tuttavia, non ha impedito non solo l’ennesima strage di cristiani, ma neppure gli omicidi mirati che continuano nel Sinai e che stanno spingendo molti copti alla fuga.
«Non si può dire che il governo non stia facendo niente per proteggere i cristiani», sostiene padre Scattolin. «Nella nostra piccola chiesa di Zamalek (l’isola sul Nilo dove sono presenti molte congregazioni religiose, scuole cristiane e ambasciate, ndr) abbiamo un servizio di sicurezza garantito dallo Stato di otto persone 24 ore al giorno. Ci hanno chiesto inoltre di posizionare delle telecamere e di tenere aperto un unico ingresso, per controllare meglio il flusso di persone. Tutto questo è stato fatto anche in altre chiese con grande dispiegamento di uomini e risorse. Ma i terroristi sono ben organizzati e sanno dove e come agire. Vogliono impedire in tutti i modi che l’Egitto possa risorgere, e per questo temo che colpiranno ancora. Cristiani e non».
Foto REUTERS.