Non ha perso la fede e nemmeno l’ha rinnegata per avere salva la vita. Quella di padre Jacques Mourad, il monaco che nel 2015 è rimasto nelle mani dei rapitori di Daesh per quattro mesi e venti giorni, è una straordinaria testimonianza di fede.
Dopo anni di impegno instancabile per il dialogo con i musulmani, il monaco siriano vive il dramma del tradimento proprio per mano di coloro che considera i suoi “fratelli musulmani”. «Ferito interiormente, mi chiedevo che cosa il Signore volesse da me: “Ma come – mi dicevo – ci siamo consacrati al dialogo e ora sono i fratelli musulmani a ucciderci?” ».
Fede e disperazione, disincanto e speranza. Nell’intervista a firma di Stefano Femminis pubblicata su Credere in edicola (in parrocchia da domenica 1 gennaio) padre Mourad ripercorre i mesi di prigionia e, attraverso confidenze inedite, racconta anche del colloquio avuto con il “governatore” di Raqqa, la “capitale” siriana di Daesh: «Mi disse “padre, consideri questo come un tempo di ritiro spirituale”. Ed è proprio quello che ho fatto. Sono rimasto dell’idea che sarei morto perché non vedevo altre possibilità. Ma la paura ha lasciato posto a una grande pace. Pregavo molto e pensavo: “Non sono il primo e non sarò l’ultimo. Sono una delle migliaia di vittime di questa guerra. Essere martiri per il Signore è un onore».
Il ricordo corre poi veloce a padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita - anch’egli rapito - con cui nei primi anni Novanta padre Mourad ha fondato la comunità di Mar Musa e di cui non si hanno notizie da tre anni e mezzo. Nonostante il dolore e la preoccupazione il monaco dichiara lucidamente: “Scacciare i cristiani dalla Siria è un progetto di certe potenze, non dei fratelli musulmani. Il dialogo è l’unico cammino efficace per la pace”.