«E tu, Massimo, a chi devi dire grazie per la tua vocazione?». «A Patti Smith». «Ma noi questi padri non li conosciamo...». «Ecco, veramente è un’artista, una cantante». Massimo Granieri, sacerdote della Congregazione della Passione di Gesù Cristo, racconta divertito questo scambio di battute accaduto anni fa: «Ero in ricerca vocazionale e chiesi di fare un’esperienza dai Passionisti a Bari», spiega. «Il secondo giorno, il padre che ci seguiva ci chiese chi fosse il nostro Giovanni Battista, la persona che ci aveva condotto alla fede. La mia risposta lo spiazzò non poco».
Dalla sua Cosenza, padre Granieri è venuto a Milano per presentare il libro Il Vangelo secondo il rock (Claudiana), scritto a quattro mani con il giornalista Luca Miele. Un volume appassionante in cui i due autori mostrano come le più celebri canzoni della musica rock siano piene zeppe di riferimenti biblici: «La Bibbia deborda nei versi di Bob Dylan, preme nella “teologia del Padre” di Bruce Springsteen, sostiene la poetica di Johnny Cash, urla nella furia di Patti Smith».
È sorprendente scoprire che quasi un quarto delle canzoni di Cash parlano della sua fede e della Bibbia. Che la Smith ha attinto alla Sacra Scrittura per scrivere i suoi pezzi più celebri come People Have The Power — diventata di recente la colonna sonora del movimento per l’ambiente Fridays for Future — e Dancing Barefoot, in cui i riferimenti al libro del profeta Isaia e ai racconti della risurrezione sono evidentissimi.
«Il rock mi ha portato a Dio»
«Il rock ha dato voce a molte esistenze rotte dalla miseria e dalla violenza», scrive padre Antonio Spadaro nella prefazione al volume, «e ha provato a indagare lo spirituale, innalzandosi verso i cieli, ma stando con i piedi radicati in quella terra che a volte è arida e dura». La musica rock «tocca l’anima», afferma Spadaro. A Credere Granieri racconta come ha toccato la sua.
«Ho vissuto i primi anni della mia vita in Inghilterra, dove i miei nonni si erano trasferiti dalla Calabria», racconta. «L’amore per la musica me l’ha trasmesso mia madre, che era una grande fan dei Beatles. Quando ero nel pancione, per farmi stare tranquillo, mi faceva ascoltare i Pink Floyd e Jimi Hendrix e mi portò al primo concerto di Joe Cocker. Non ricordo un giorno della mia vita da piccolo che non fossi ad ascoltare la radio o un disco di mia mamma».
A 13 anni, dopo il ritorno con la famiglia in Calabria, arriva il momento della ribellione. «Mi innamorai della musica dei Clash e dei Sex Pistols. Nel punk vedevo incarnata la voglia di essere anticonformista, di non sottostare alle regole preconfezionate, sia della famiglia che della società. Un modo di essere, che mi ha accompagnato fino ai 20 anni, prima di entrare in convento». Più precisamente fino all’incontro musicale con Patti Smith.
«Il punk aveva l’ansia di distruggere tutto, ma non ti dava alternative. E in quel vicolo cieco io c’ero entrato, insieme alla mia comitiva di amici. Verso i 18 anni sentii il peso di quella autodistruzione».
«Una sera», racconta Granieri, «staccai dal mio lavoro di guardiano in una casa per ammalati psichiatrici e, sulla strada del ritorno a casa, acquistai un disco di Patti Smith. Era Radio Ethiopia e mi aveva attratto perché aveva la copertina rotta. Ascoltandolo mi smosse subito qualcosa. Fu un colpo di fulmine. Patti mi condusse dove non mi sarei mai aspettato. Sulla copertina vidi delle citazioni bibliche e così decisi di entrare in un convento francescano vicino a casa, io che non mettevo piede in chiesa dai tempi della Cresima. Chiesi a un frate a che libro appartenessero quelle citazioni e lui, non senza stupore, mi indicò le lettere di San Paolo».
Da Patti Smith a Gesù Cristo
Patti Smith si dichiara aconfessionale, ma ha espresso pubblicamente un affetto profondo per due Papi: Giovanni Paolo I e Francesco. «In realtà tutta la sua opera si basa sulla letteratura biblica. Non ha paura di mostrarsi così vicina al testo sacro», afferma Granieri. «Dopo di lei ho scoperto che anche Johnny Cash si ispirava alle lettere di san Paolo. E qualcosa in me è cominciato a cambiare. È come se Patti Smith avesse avuto la password di accesso al mio mondo interiore. Una volta spalancata la porta da lì Dio è entrato e non è più uscito».
Un altro evento casuale interviene nella vita di Massimo, allora ventenne. «Un prete del mio paese, Bisignano (Cosenza), incontrato per caso in piazza, mi chiese di accompagnarlo in viaggio a Roma e Napoli. A Roma entrai persino in un seminario, il che è una cosa singolare per un punk. Ma la mia vita cambiò a Napoli, nella chiesa di Santa Chiara, durante una Messa alla quale partecipai per caso. Fu come quando, a teatro, si apre il sipario. Appena il sacerdote fece il segno di croce e iniziò la Messa, sentii dentro un mondo che si stava smuovendo, e quando alla consacrazione eucaristica elevò l’Ostia seppi che Gesù era presente. Tornato a casa, non ero più lo stesso».
In Calabria, dove vive tuttora, Massimo comincia la sua ricerca vocazionale. «I primi due anni non ci ho creduto. Ho cercato di chiudere il sipario. Il primo a dirmelo fu il parroco: “Guarda che la tua è vocazione”. Pensai: “Non è possibile! Tutto, ma non questo!”. Gli risposi che mi bastava praticare la fede, andare a Messa la domenica. E lui: “No guarda, i segni ci sono tutti. Ma sei libero di scegliere, fai quello che ti senti”. Poi mi capitò di leggere la biografia di san Paolo della Croce, il fondatore dei Passionisti. Erano 220 pagine. Arrivato a pagina 71 dissi: “Questa è la strada che voglio”».
Oggi Massimo Granieri è sacerdote passionista e vive presso il santuario della Madonna della Catena a Laurignano, in provincia di Cosenza.
Fra i vari incarichi, lavora nell’ufficio diocesano per l’insegnamento della religione cattolica, e va nelle scuole a tenere laboratori musicali. Riflette padre Massimo: «La rabbia che il rock ha saputo esprimere ha la funzione positiva di farci sentire che siamo vivi e che il futuro è nelle nostre mani. Oggi i ragazzi hanno smesso di essere arrabbiati, sono spenti. All’inizio dei laboratori sono tutti composti, fanno domande preparate con gli insegnanti. Io li spiazzo, e solo allora cominciano a venire fuori le domande vere. Hanno soprattutto bisogno di essere ascoltati. A fine lezione qualcuno mi insegue fuori dall’aula per chiedermi: “Padre, ma allora c’è la possibilità di incontrare Dio?”. “Beh, secondo me è possibile”, rispondo io. E loro: “Va bene, padre”, e scappano. È un flash che mi dice che attraverso chissà quale canzone qualcosa gli è arrivato. Magari più di tante omelie o catechesi».