Le fotografie di questo servizio sono tratte dall'account Facebook di padre Antonio Spadaro. Per gentile concessione.
Ascoltava, lasciava libero l’interlocutore, gli faceva notare parole e gesti che nascondo il maligno ma senza invadere oltre, ed era anche capace di sbadigliare nel mezzo di un colloquio, non per noia ma per «tirarti fuori il cattivo spirito» (almeno così diceva). Padre Miguel Angel Fiorito (1916-2005), è stato «maestro» di Papa Francesco, che nel giorno del suo 50esimo anniversario di sacerdozio, gli ha voluto tributare una conferenza, ospitata dalla Curia generalizia della Compagnia di Gesù, quasi un «identikit» del padre spirituale perfetto. Che dialogava con sensibilità e pazienza, ma «mai con il diavolo».
Padre Fiorito risvegliò tra i gesuiti argentini «la passione a dialogare bene, con se stessi, con gli altri e con il Signore», ha detto il Papa. «E a “non dialogare” con la tentazione, a non dialogare con lo spirito cattivo, con il Maligno. Questo è rimasto impresso in me tanto: col diavolo non si dialoga, Gesù non dialoga col diavolo, gli ha risposto con tre versetti della Bibbia e poi lo ha cacciato via». Padre Fiorito aiutò a «disideologgizzare» la Compagnia di Gesù argentina all’epoca della dittatura: «L’ideologia è sempre un monologo con una sola idea e Fiorito aiutava il suo interlocutore a distinguere dentro di sé le voci del bene e del male dalla sua propria voce, e ciò apriva la mente perché apriva il cuore a Dio e agli altri». Nell’accompagnamento spirituale, il «maestro» del Papa «si teneva fuori»: «Ti rispecchiava quanto ti accadeva e poi ti dava libertà, senza esortare e senza dare giudizi. Ti rispettava. Credeva nella libertà. Quando dico che “si teneva fuori” – ha precisato Jorge Mario Bergoglio – non intendo che non si interessasse o che non si commuovesse per le tue cose, ma che ne restava fuori, in primo luogo, per riuscire ad ascoltare bene. Fiorito era maestro del dialogo in primo luogo con l’ascolto. Tenersi fuori dal problema era il suo modo di dare spazio all’ascolto, affinché si potesse dire tutto ciò che si aveva dentro, senza interruzioni, senza domande... Ti lasciava parlare, e non guardava l’orologio». E nel dialogo «aveva fra l’altro l’abilità di “pescare” e di far vedere all’altro la tentazione dello spirito cattivo in una parola o in un gesto» che «s’infilano in mezzo a un discorso molto ragionevole e in apparenza benintenzionato. Fiorito ti domandava di “quell’espressione che hai usato” (che generalmente denotava disprezzo per altri) e ti diceva: “Sei tentato!” e, mostrando l’evidenza, rideva con franchezza e senza scandalizzarsi». Padre Fiorito, ancora, «prima ti pacificava col suo silenzio, col non spaventarsi di nulla, con il suo ascolto di ampio respiro, finché non avevi detto quello che avevi in fondo all’anima e lui decideva quello che gli ispirava lo spirito buono». Al momento opportuno, «interveniva con forza e decisione per dire la sua e poi, di nuovo, “si teneva fuori”, lasciando che Dio operasse in chi svolgeva gli Esercizi».
Inoltre, padre Fiorito «aveva anche il dono dello sbadiglio», ha detto il Papa suscitando le risate dei presenti: «Mentre gli aprivi la tua coscienza, a volte il Maestro cominciava a sbadigliare. Lo faceva apertamente, senza nasconderlo. Ma non è che si stesse annoiando, semplicemente gli veniva e lui diceva che a volte serviva a “tirarti fuori il cattivo spirito”. E così si giustificava. Espandendo l’anima contagiosamente, come fa lo sbadiglio a livello fisico, aveva quell’effetto al livello spirituale».
L’occasione per parlare di padre Fiorito è stato, per il Papa, la pubblicazione di cinque volumi di suoi scritti («Escritos») da parte della Civiltà cattolica, il quindicinale dei gesuiti che compie 170 anni nel 2020. «Attraverso di lei Fiorito sta dicendo qualcosa alla Chiesa universale», ha detto al Papa il direttore, padre Antonio Spadaro, «un po’ come il nonno che parla ai figli tramite il padre».
«Quando padre Spadaro mi ha dato i cinque volumi con gli Escritos del Maestro Fiorito – così lo chiamavamo, familiarmente, noi gesuiti argentini e uruguayani –, mi ha parlato di una possibile presentazione», ha raccontato il Papa. «Allora a me è venuto il desiderio di esserci di persona. Gliel’ho detto subito: “E perché non far fare la presentazione a uno dei suoi discepoli?”. Lui mi ha chiesto: “Chi, per esempio?”. Allora gli ho risposto: “Io!”, ed eccomi qui».
A curare l’opera, un altro gesuita argentino, José Luis Narvaja, che è niente meno che il nipote di Jorge Mario Bergoglio da parte di madre ed ha ricordato di avere assistito 50 anni fa, lui «ragazzino vispo», all’ordinazione sacerdotale dello zio. Il preposito generale dei gesuiti, il venezuelano Arturo Sosa, ha fatto doppiamente gli auguri al Papa, per questa ricorrenza e perché tra pochi giorni, il 17 dicembre, è il suo 83esimo compleanno. Nell’aula erano presenti diversi maggiorenti della Curia romana, a cominciare dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin e dal prefetto della congregazione per la Dottrina della Fede, il gesuita Luis Francisco Ladaria. Tutti ad ascoltare il Papa che raccontava di questo suo maestro schivo, poco «incline a intervenire in pubblico», che «non ha fatto molto per farsi conoscere» e che «parlava poco, ma aveva una grande capacità di ascolto, un ascolto capace di discernimento, che è una delle colonne del dialogo».