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giovedì 19 settembre 2024
 
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Padre Jacques Murad: «La Turchia non è la sola, anche l'Onu e la Ue sono colpevoli»

13/10/2019  E' la denuncia del religioso impegnato per il dialogo tra le fedi, che nel 2015 è stato nelle mani dell'Isis per quasi cinque mesi e oggi vive come profugo nel Kurdistan iracheno. "Il silenzio del mondo mi uccide. I siriani sono vittime di un gioco di interessi politici ed economici internazionali. E Ankara non avrebbe mai agito se non avesse avuto il via libero delle altre potenze".

«Io non sono un politico e non capisco nulla di ciò che è successo e continuo ad accadere. Ma una cosa mi rattrista e mi fa arrabbiare: come è possibile che coloro che hanno il potere di decidere le guerre, quando prendono queste decisioni, non pensano a tutti gli esseri umani che mandano a morire? Quali sono le ragioni di questi conflitti?». Raggiunto al telefono a Parigi, dove si trova in questi giorni, padre Jacques Murad non usa mezzi termini nel commentare la situazione siriana. Con la calma e la sobrietà che lo caratterizzano, esprime tutta la sua amarezza nei confronti di un nuovo conflitto che sta facendo sprofondare sempre di più la Siria, il suo Paese, nel baratro nero della disperazione. Monaco siro-cattolico, originario di Aleppo, il 21 maggio del 2015 padre Murad è stato sequestrato da alcuni guerglieri dell’Isis dal suo monastero di Mar Elian, a Qaryatain, vicono a Homs, ha subìto la tortura, ha rischiato di morire, fino a quando, dopo quasi cinque mesi di prigionia, non è riuscito a scappare grazie a un amico musulmano. 

Da quattro anni il religioso vive come profugo a Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno. Ha raccontato la sua storia in un libro, Un monaco in ostaggio. La lotta per la pace di un prigioniero dei jihadisti (edito da Effatà), testimonianza di un cristiano del mondo arabo che ha sempre operato per il dialogo tra fedi e culture: un impegno portato avanti per anni nella comunità monastica di Mar Musa el Habashi (poco distante da Damasco), fondata e guidata da padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito a Raqqa il 29 luglio del 2013 e del quale da allora non si hanno più notizie. «La Turchia quali interessi ha per intervenire in un altro Paese?», continua, «se non c’è dietro un motivo davvero diabolico tutto questo non accadrebbe. Penso anche ai leader delle potenze mondiali: prima tutti si sono uniti per combattere lo Stato islamico in Siria. In realtà sono i curdi che hanno combattuto strenuamente per sconfiggere il Daesh. Adesso, però, i turchi fanno la guerra proprio contro coloro che più si sono battuti contro l’Isis. Una cosa è certa: la Turchia ha attaccato solo perché ha avuto il via libera dalle altre potenze».

Padre Jacques, la Turchia ha alzato la voce minacciando l’Europa di aprire le porte e lasciar uscire milioni di profughi se l’Ue cerca di contrastare l’operazione militare.

«Secondo me tutto questo è un teatro tra di loro, una commedia costruita. Penso che la Turchia non avrebbe agito se gli altri Paesi - Unione Europa, Usa, Russia ecc.. - non avessero dato il loro assenso. Se avessero voluto davvero contrastare la Turchia, gli europei avrebbero potuto agire sugli scambi commerciali con Ankara, perché tutto è connesso al denaro e agli affari. La Turchia ha attaccato, ma di fatto con l’accordo della comunità internazionale. Tutti i Paesi sono colpevoli di questa guerra, tutti sono da condannare. Sappiamo bene che le ragioni delle guerre sono prettamente economiche. E se non ci fossero degli interessi internazionali, gli altri Paesi non avrebbero permesso a Erdogan di agire. Il Nord della Siria è la zona del Paese più ricca di petrolio. Ecco l’interesse per il territorio abitato in prevalenza dai curdi».

E intanto, per gli interessi economici a partire dal petrolio, i curdi continuano a essere un popolo abbandonato e oppresso.

«La presenza dei curdi in questa zona della Siria è cominciata a seguito della repressione da parte della Turchia, soprattutto a partire dagli anni ’50. Questo territorio allora era quasi completamente cristiano. Lì c’erano innumerevoli chiese e monasteri. Poi lo Stato islamico ha costretto i cristiani a scappare e abbandonare i villaggi. Oggi ci sono ancora alcune piccole presenze cristiane nella zona, ad al-Hasakah e ad al-Qamishli, ma anche queste famiglie stanno fuggendo. Ho saputo che alcuni cristiani sono rimasti uccisi nei giorni scorsi. I cristiani in questa terra, del resto, non vivevano bene nemmeno con i curdi».

La convivenza fra cristiani e popolazione curda era difficile?

«I curdi dicevano di proteggere i cristiani, ma in realtà i rapporti non erano semplici. Certo, a parole nessuno lo avrebbe mai ammesso, le cose andavano bene per forza. Quando ci sono di mezzo interessi politici ed economici purtroppo non c’è mai vera amicizia».

Eppure la Siria era un modello di convivenza fra religioni. La comunità monastica di Mar Musa è stata esempio di dialogo fra cristiani e musulmani. Lei e padre Dall’Oglio siete stati fautori di questo incontro tra fedi. Cosa è rimasto dell’eredità di Mar Musa? E’ andato tutto perduto?

«Sulla base della mia esperienza, io dico sempre una cosa: se si lasciano da parte i leader religiosi e politici, i popoli possono vivere bene e convivere tra loro in pace. Noi siriani abbiamo un buon cuore e non abbiamo alcun problema tra di noi, nei nostri rapporti. La gente comune coabita in modo tranquillo, senza discordie. Solo quando si mettono in mezzo le leadership, i grandi poteri religiosi e politici con i loro interessi, si creano i problemi e i contrasti».

Pensa di tornare prima o poi in Siria?

«Vivere come profugo è una sofferenza enorme, uguale alla progionia. Ma io ho fatto una scelta precisa: condividere la sorte dei milioni di profughi siriani, per affermare e testimoniare con la mia vita l’enorme ingiustizia che queste persone, vittime di una guerrra che non hanno voluto e che stanno subendo, vivano abbandonati nella miseria e nella disperazione». 

Lei sarebbe d’accordo con la creazione di uno Stato curdo indipendente?

«No, non sono d’accordo. La creazione di piccoli Stati basati su identità nazionali è solo interesse degli Stati Uniti e di Israele, che mirano al dominio su quelle aree. Il progetto al quale aspirano Israele e Usa è favorire le divisioni tra popoli e la creazioni di “ghetti” etnici. D’altro canto, va detto che la colpa è anche degli arabi, che non hanno una strategia diplomatica a livello internazionale, continuano a vivere in situazioni di conflitto fra di loro e non sono capaci di creare rapporti buoni, positivi per vivere in pace».

Come vede il futuro della Siria?

«In questa situazione non c’è spazio per la speranza. Io spero in Dio, ma non nelle leadership internazionali, nelle potenze che non stanno facendo niente per il mio Paese. Il silenzio del mondo mi uccide. Penso soprattutto all’Unione europea e alle Nazioni unite, che hanno una grande responsabilità. Non riesco a capire perché l’Onu non faccia niente, dovrebbe rappresentare tutti i popoli e tutte le minoranze, ma in realtà sembra rappresentare soltanto i Paesi che hanno diritto di veto. I siriani non hanno colpa, sono vittime di un conflitto le cui responsabilità sono tutte esterne. La Siria è al centro di scontri e interessi internazionali. Ciò che io nel profondo del mio cuore spero è la costruzione di una Siria che riprenda i territori che le sono stati sottratti - come il Golan -, con un Governo che rispetti tutte le comunità e minoranze, con le loro lingue, culture e tradizioni: quella diversità che rappresenta la vera grande ricchezza del nostro mondo mediorientale». 

(In alto, nella foto Ansa: padre Jacques Murad nel dicembre 2015, dopo la fuga dalla prigionia dell'Isis. Il monaco era stato sequestrato il 21 maggio nel convento di Mar Elian. In copertina, nella foto Reuters, scattata domenica 13 ottobre 2019: un carro e soldati filoturchi nel villaggio curdo-siriano di Yabisa, al confine tra Turchia e Siria)

 

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