Padre Stefano Cecchin, 56 anni, mariologo e presidente della Pontificia Academia mariana internationalis (Pami).
A cinque anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia, il 19 marzo prende il via un anno interamente dedicato alla famiglia, vera «chiesa domestica», secondo un’espressione cara a San Paolo VI, focolare che nell’era della pandemia, sembra aver riscoperto la bellezza del proprio ruolo. Proclamato da Papa Francesco lo scorso 27 dicembre nella domenica festa della Sacra Famiglia, l’anno “Famiglia Amoris Laetitia”, che si concluderà a Roma, in occasione del X incontro mondiale delle famiglie il 26 giugno 2022, sarà ricco di eventi che puntano a diffondere strumenti di vera spiritualità in grado di aiutare ciascuno a essere testimone e portatore di gioia. Come ci ricorda Il Santo Padre nell’introduzione alla sua esortazione, le Sacre Scritture sono popolate da storie familiari di ogni genere che possono far luce sulle vite delle coppie di oggi, uomini e donne che hanno guardato al disegno di Dio e nel rispondere “Sì” se ne sono resi partecipi. Tra tutti, esempio mirabile, la Vergine Maria, grembo del Verbo, che nell’unità con il Padre e col suo sposo Giuseppe dà vita alla Sacra Famiglia di Nazaret. Anche Giuseppe, lo sposo di Maria, ha detto il suo Sì al Signore, ha fugato ogni suo dubbio, ogni sua paura cogliendo la volontà di Dio in quanto gli accadeva, ascoltandola nell’intimità della sua coscienza, attraverso quel sogno che ispirò nei secoli tanti capolavori d’arte.
Al padre putativo di Gesù è dedicato un Anno speciale il cui annuncio è stato dato da papa Francesco in occasione della festa dell’Immacolata e indetto in occasione dei 150 anni dalla proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale. Fino all’8 dicembre 2021 è concessa un’indulgenza plenaria, legata alla sua figura come capo della celeste Famiglia di Nazareth. Le condizioni per ottenerla sono le solite: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Papa. Si invita a meditare sulla figura di San Giuseppe, e partecipare all’Anno a lui dedicato «con animo distaccato da qualsiasi peccato». Seguendo poi le varie modalità che la Penitenzieria Apostolica elenca nel Decreto si potrà ottenere l’indulgenza plenaria. «San Giuseppe», si legge nel documento, «è simbolo anche di giustizia e di come questa sia possibile attraverso la misericordia di Dio. Ci incoraggia a «riscoprire il valore del silenzio, della prudenza e della lealtà nel compiere i propri doveri». Il che è ancora più importante in questo periodo di pandemia, in cui si deve sempre avere una particolare attenzione a chi soffre.
In quanto sposo di Maria e padre di Gesù, San Giuseppe ha il ruolo di custode della famiglia. Per questo uno dei modi per ottenere l’indulgenza plenaria è recitare il Rosario in famiglia o tra fidanzati. Proprio all’interno delle mura domestiche può essere ricreato «lo stesso clima di intimità comunione, di amore e di preghiera che si viveva nella Santa Famiglia», e questo è appunto l’invito della Penitenzieria Apostolica alle famiglie cristiane.
C’è quindi un legame molto forte tra l’Anno Speciale di San Giuseppe e l’Anno Famiglia Amoris Laetitia, che non certo a caso inizia il 19 marzo, giorno della festa del Patrono della Chiesa Universale.
«Il cristianesimo è portatore di gioia, allegria, non di tristezza e così anche la coppia nel matrimonio deve essere l’immagine del matrimonio tra Giuseppe e Maria e tra Maria e Dio», ci spiega padre Stefano Cecchin, mariologo e presidente della Pontificia Academia mariana internationalis (Pami), cui abbiamo chiesto di guidarci nella bellezza familiare sulle orme di Maria e Giuseppe. «La Lettera apostolica Patris corde ci pone di fronte a Giuseppe. Lui che - da sempre - ci è stato presentato nei Vangeli come “lo sposo di Maria”. È così importante questo “titolo” che forse non sempre ne facciamo memoria. Il secondo punto necessario per affrontare la sua figura è concentrarsi sull’appellativo “uomo giusto. Da cosa nasce? I Vangeli di Matteo e Luca ci offrono la risposta: è stato sempre pronto a eseguire la volontà di Dio manifestata nella sua Legge. Uomo che conosceva e osservava la Legge, dunque! Una legge che nella stessa casa di Nazareth era rispettata. Da Maria, da Giuseppe e dal piccolo Gesù, ovviamente».
Padre Stefano, in che modo si manifesta la “gioia dell’amore” nella famiglia di Nazaret?
«È importante dire che la prima benedizione che Dio dà all’umanità, all’uomo e la donna, è “siate fecondi e moltiplicatevi”, ossia continuate l’opera creatrice attraverso il dono della vita. L’essere una sola carne, l’unione tra maschile e femminile è essa stessa la gioia e la bellezza. Nella creazione tutte le cose sono belle ma l’uomo e la donna di più, perché nella loro fecondità, nel matrimonio, rappresentano l’unità stessa della Trinità di Dio che guarda alla sua creazione e, dicono le Scritture, danza, gioisce perché si specchia in se stesso. Questa unità di amore tra uomo e donna che il peccato originale distrugge, per noi ritorna con la Vergine Maria. L’armonia ritrovata è data dal rapporto tra Maria e Gesù che poi diventa anche il rapporto tra Maria e Giuseppe, colui che nell’accogliere la sposa unisce. La vera gioia, dunque, nasce da questa amicizia spirituale tra uomo e donna attorno alla figura di Gesù».
Se potessimo osservare da vicino la quotidianità di Giuseppe e Maria che cosa vedremmo?
«Giuseppe è stato quell’uomo che Dio ha unito a Maria, per fare spazio all’Incarnazione. Ha avuto il compito di accogliere Maria nella sua casa come compagna di vita; e con lei, accogliere il Figlio dell’Altissimo che già abitava nella sua sposa. Con loro, Giuseppe, è stato chiamato da Dio a formare una famiglia vera e non apparente, con la “normalità” di allora: un padre che va a lavorare, una madre intenta ai suoi lavori casalinghi e Gesù che “cresceva in età, sapienza e grazia”. Ma anche una famiglia alle prese con il lato oscuro della vita, costretta dalla violenza ad essere profuga in altra terra, l’Egitto, per diverso tempo, e a “riiniziare” da capo il suo cammino, “reinventandosi” senza venir meno alla propria identità e, soprattutto, senza recriminare od odiare».
A chi si ispiravano Maria e Giuseppe per essere famiglia secondo la tradizione ebraica?
«Tutto ha inizio con Adamo ed Eva e malgrado la prima donna venga vista come la madre del peccato, Israele vede in lei la madre del suo popolo, la sua bellezza perduta, bellezza originaria che, secondo la visione messianica, avrebbe riacquistato solo la madre del Messia. Inoltre non dobbiamo dimenticare che nonostante la Bibbia spesso si legga esclusivamente dal punto di vista maschile, i grandi patriarchi non avrebbero potuto compiere la volontà di Dio senza le loro mogli. Ne è un esempio l’incredulità di Zaccaria che dinanzi all’Angelo pensa di essere troppo vecchio per avere un figlio, così come la moglie Elisabetta, dimenticandosi di Sara, moglie di Abramo, resa feconda all’età di 90 anni. Tutte le mogli dei patriarchi erano donne sterili che Dio ha reso feconde e questa idea di fecondità non è solo fisica ma spirituale. La luce interiore è quella che ci permette di vedere la verità delle cose, scendere in profondità. Le grandi famiglie dei patriarchi sono, dunque, di ispirazione fondamentale per i genitori di Gesù, la donna, inoltre, edificata dal fianco dell’umanità, è la casa dell’uomo per la tradizione ebraica. Per noi cristiani la casa di Dio, Maria che diventa il luogo dell’Incarnazione».
Come interviene Maria sulla santità di Giuseppe e viceversa?
«La Famiglia di Nazaret è una famiglia formata da due ragazzi normali che si amano e dove Dio interviene chiedendo ad entrambi di prendersi cura del Suo Figlio. Dio vuole che Gesù abbia una vera famiglia. Certamente nasce dal grembo di Maria ma anche Giuseppe è pieno del fuoco dello Spirito che gli permette di comprendere, accogliere. Giuseppe, nella sua mitezza, fa quello che Dio gli chiede e ciò che unisce il matrimonio di Giuseppe e Maria è proprio il servizio a Gesù. La chiave, dunque, è una complicità bellissima tra i due, uniti dall’amore per il Figlio. Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica del 1989 Redemptoris custos (Custode del Redentore), ci dice che Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario del mistero divino dell’Incarnazione. E sottolineava che “insieme con Maria - ed anche in relazione a Maria - egli partecipa a questa fase culminante dell'autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa sin dal primo inizio”. Insieme a Maria, Giuseppe ha “modulato” la sua paternità su questa attitudine a scorgere l’azione di Dio in Gesù e a “custodirla” dentro le tante e diverse esperienze della vita. In questo senso, allora, egli è davvero il “custode” della Chiesa».
In che modo Maria con il sostegno di Giuseppe lo è stata per Gesù?
« “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Sono le parole di Gesù quando Maria e Giuseppe lo ritrovano nel tempio e il Vangelo aggiunge: “Non capirono”. Secondo le idee medioevali non era possibile che Maria e Giuseppe avessero la scienza infusa e ancor di più che Maria fosse considerata Maestra di Cristo. Tuttavia, in seguito, il Concilio Vaticano secondo, stabilirà il contrario. Gesù “cresceva in età e sapienza”, ma dove? Proprio nella casa di Giuseppe e Maria che assumono un ruolo fondamentale per la sua formazione e per la sua umanità. Giuseppe gli insegna ciò che sa da falegname, da uomo che conosce la terra e, da Maria, Gesù impara ciò che la donna deve insegnare secondo la tradizione ebraica. Nei mesi in cui era nel grembo di Maria Lui ha cantato con Lei, ha ascoltato le Scritture e una volta nato ha continuato ad essere formato all’interno di una famiglia osservante che gli ha trasmesso i valori necessari e lo ha preparato a essere vero uomo per adempiere alla missione affidatagli dal Padre. Sempre nell’episodio di Gesù ritrovato al Tempio dai genitori, una volta riavvistato il Figlio, Maria esclama: “Tuo padre e io ti cercavamo”. C’è grande complicità in questa frase. C’è la piena unione dei due sposi nella vita quotidiana. E per quanto riguarda Gesù, nei confronti di Maria e Giuseppe, c’è quella forma singolare di gratitudine e di desiderio di imitazione che chiamiamo “sottomissione” all’autorità genitoriale. Luca ci dice - parlando sempre del viaggio verso Nazaret dopo il ritrovamento nel Tempio - che Gesù, ormai adulto davanti a Dio, “stava loro sottomesso”, un verbo importante. Si tratta del fatto che Gesù “seppur di natura divina”, come ci dice San Paolo, si sottomette alle regole di due genitori: è grato all’amore di quest’uomo e di questa donna e desidera essere come loro. Il rispetto reciproco dovrebbe fondare ogni matrimonio, ogni famiglia».
In che modo le famiglie possono farsi Chiesa viva sull’esempio di Maria? E quanto è importante il supporto della chiesa alle famiglie?
«Nella tradizione di Israele la donna ha un ruolo cruciale ed esiste una liturgia domestica che la vede protagonista indiscussa. Più di ogni altra cosa la donna è portatrice di vita, colei che si allarga come il seme sulla terra, genera e tutto questo diventa per noi vivo nella Vergine Maria. Maria è il primo essere umano che inizia un rapporto unico con la Trinità. Paolo VI diceva: “questo rapporto diventa la strada che apre a noi la via che conduce a Dio”, quindi la Chiesa nasce con Maria e per essere vera la Chiesa deve imitarla. Alle Nozze di Cana Maria è la mamma che sta sempre con l’occhio vigile affinché non manchi nulla. Nella frase pronunciata ai servi: “fate ciò che Lui vi dirà”, Maria diventa colei che ci insegna ad obbedire a Gesù. Il matrimonio, si sa, quando si è giovani è bellissimo, tutto è meraviglioso e con l’età le cose cominciano ad annacquarsi. Ma se in famiglia c’è sempre come invitata Maria il vino nuovo non mancherà mai».
Cosa possono trovare le famiglie nel patrocinio e nell’affidamento a Maria?
«Maria è colei che ci insegna ad ascoltare la parola e metterla in pratica. Affidarsi a Maria rappresenta per le famiglie di oggi il desiderio di vivere il Vangelo che diventa carità e apertura al prossimo. Un amore così grande, gioioso non può rimanere nel singolo nucleo familiare ma deve aprirsi anche all’altro, al mondo. È questa la bellezza della Chiesa, essere una famiglia di famiglie».
Il 2021 anno di san Giuseppe, “sposo di Maria”, forse potrebbe anche essere l’anno della fine della pandemia Avere San Giuseppe al nostro fianco, come lo ha avuto Maria, potrebbe darci segni di speranza. Non pensa?
«Sapere di avere San Giuseppe a nostro fianco, è un pensiero che ci rende più forti, più coraggiosi anche. Nella “Patris corde” c’è un riferimento al “coraggio creativo” di San Giuseppe. Ho molto riflettuto su questo. Il coraggio di vedere la speranza! Il coraggio di abbattere le barriere che questa emergenza - in una certa misura - ci sta imponendo. Giuseppe ci è vicino, con tutto il suo cuore di uomo e di padre. E poi, ricordiamoci che come Maria ha anche lui il suo “sacro manto”. È una pratica religiosa antica, quella del Sacro Manto. In questa preghiera viene recitato un verso che amo ricordare: “San Giuseppe ci sorrida propizio e ci benedica sempre”. Lui, vicino a Maria. Lui, vicino a noi. Noi che Gesù non si vergona di chiamare suoi fratelli e sorelle. E Maria, ovviamente, è nostra madre. Sempre».
Maria Grazia Berretta e
Antonio Tarallo