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lunedì 24 marzo 2025
 
 

Padri separati e poveri

15/04/2010  Separazione, mantenimento dei figli, difficoltà a pagare una nuova casa. E se poi ci si mette la perdita del lavoro, la povertà è totale. Ma a Milano qualcuno si occupa di loro.

Alle nove di sera nel grande atrio dell’edificio giallo di via Saponaro 40, periferia sud di Milano, ci sono molte persone di vario colore, accenti diversi. Tanti nel cortile, di più nei due piani superiori, in tutto oltre 400. C’è chi è appena arrivato e ha ancora il cappotto, altri sono già in pigiama nelle loro camere multiple. La mensa del pianterreno è deserta e pulita, i pasti caldi serali sono stati serviti un’ora fa.

Siamo in un centro di prima accoglienza per senza fissa dimora in zona Gratosoglio, un’ex scuola che nel 2006 il Comune ha destinato alla Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi in comodato d’uso gratuito. Poco lontano tanti palazzi alti, tutti uguali. «Prendiamo in carico le persone, le accogliamo come sono, fino all’integrazione umana, all’autonomia professionale e abitativa. Raggiungiamo l’obiettivo nel 33 per cento dei casi», spiega padre Clemente Moriggi, saio e occhi sorridenti, mentre in guardiola controlla il nome di chi arriva. Qui si mangia, si dorme, si fa la doccia. Ci sono infermeria, assistenza sociale, consulenza psicologica, orientamento al lavoro, scuola di italiano. «Ospitiamo chi ha problemi mentali, ex tossici, ammalati di Aids, richiedenti asilo, persone in via di regolarizzazione. E anche padri separati: a oggi sono un’ottantina».

Sono i nuovi poveri, gli ex mariti italiani in difficoltà economiche: i dati dell’associazione matrimonialisti italiani parlano di 50 mila tra Milano e provincia: «Il divorzio è un privilegio per ricchi, non per i separati a bassa soglia. Chi guadagna anche 1.300 euro al mese ma deve versarne 800 per il mantenimento di moglie e figli, e deve pagare un affitto per sé perché la casa resta alla famiglia, rimane solo con gli occhi per piangere. Figurarsi se perde il lavoro».

Come è successo a Marco, ex poliziotto, jeans e giubbotto di pelle: «Il matrimonio è finito, il lavoro pure. Ho cercato e trovato altre occupazioni temporanee: lo smistamento della posta prioritaria, la guardia del corpo in Africa sulle piattaforme petrolifere. Oggi lavoro con padre Clemente come autista dell’Unità mobile che al mattino va a svegliare i clochard che dormono per le vie di Milano. Non vedo mia figlia di 12 anni dal 2007: potrei incontrarla, ma non ho una casa dove andare. Dormo in via Saponaro: non è posto per bambini».

È invece l’unico che Milano offre ai padri poveri. «La stampa», precisa con forza il frate francescano, «ha recentemente parlato della destinazione esclusiva ai papà della casa di seconda accoglienza di via Calvino gestita dalla Fondazione, 160 posti letto». Giochi da elezioni in corso: accoglienza leghista per padri che sono italiani. «Quello non è un posto adatto. Serve la privacy, non un collegio. I figli devono avere la possibilità di essere accolti senza vergogna, in ambienti che ricordino il più possibile una casa vera».

Qualcuno prova a creare alternative milanesi a misura di bambino: l’associazione lombarda dei Padri separati, che ospita gli exmariti in due monolocali requisiti in città alla mafia; la Provincia con il progetto Giopà (attivo ancora per poco perché non rifinanziato), che in un appartamento colorato di via Procaccini dà ai bambini la possibilità di trascorrere ore di gioco con i padri. Niente altro. Soltanto il dormitorio. Ci vive Ivano, 51 anni, milanese. Era autista, ha perso il lavoro: «La mia ex moglie sa dove abito e non mi chiede continuamente soldi, io do qualcosa quando posso. Si è risposata con un uomo che ho conosciuto anch’io, sono contento perché è una brava persona e mio figlio con lui sta bene».

Ci vive anche Marco, da qualche tempo. Ha 54 anni, parla con un linguaggio forbito e la vergogna negli occhi. È nato a Catanzaro, lavorava in una banca milanese. Ha perso lavoro, moglie siciliana e figlia, riportata dalla madre a Trapani. La bambina aveva sette anni quando l’ha vista per l’ultima volta, ora ne ha 17: «Ho dei problemi, lo psichiatra è diventatomio amico. Mi hanno diagnosticato anche la sclerosi multipla. Qui c’è chi ci aiuta a superare le difficoltà».

Mentre parliamo nel corridoio si sentono urla: «Si litiga, tante le etnie. Io dormo in palestra», dice Marco, «ho legato con qualcuno. Ma anche tra noi non parliamo mai dei nostri problemi, ognuno si tiene il proprio dolore». La mattina esce alle sette: «Il momento più brutto? Le domeniche, Natale, Pasqua. L’altro giorno mi sono tolto uno sfizio: ho mangiato carne di maiale. A mensa non c’è quasi mai, tanti sono musulmani. Così ho risentito il sapore della festa, del Sud. Un po’ del sapore della mia casa».

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