Un intero Paese che si sta sfarinando, materia di alto interesse per gli studiosi di politica, economia e sociologia. Ma tema di altissimo allarme per noi che ci viviamo e, ogni giorno più sbigottiti, assistiamo a un degrado che sembra non avere fine. Dalle istituzioni che dovrebbero tutelarci agli organismi che dovrebbero pilotarci, dalle grandi questioni alla minutaglia, sembra davvero che tutto si stia sporcando. Né si vedono rimedi che non consistano nella ferrea applicazione del codice penale.
In un contesto appena normale si dovrebbe invocare un intervento del Governo, efficace e risanatore. Ma lasciamo perdere. Berlusconi ha i guai che conosciamo. La Lega pone come merce di scambio lo spostamento di sedi ministeriali e la sconfessione di accordi internazionali: richiesta tra il provocatorio e il farsesco la prima, argomento non infondato il secondo ma posto in modi e tempi sbagliati.
Per i ministri in trasferta, un sindaco pur sveglio come il veronese Tosi non ha trovato di meglio che far sapere del suo omologo di Monza, pronto a concedere un palazzo. Chissà se a Varese e Gallarate ci sono altri locali sfitti. In attesa dei quali si minaccia presto o tardi una crisi, non si sa se a vantaggio di Maroni, Calderoli, il Trota od altri colonnelli in perenne agitazione. Capita quando una maggioranza parlamentare non è più una maggioranza politica.
Scendendo di livello, ma non di disordine, il caso Bisignani costituisce uno straordinario spaccato delle consuetudini nazionali. Sia o no materia penale, emerge un sistema in cui bisogna essere amici degli amici. Questo Bisignani, “amico di tutti”, era una specie di collo d’oca che convogliava e selezionava nomine, manovre, favori estesi dai ministeri agli enti di Stato, con tutto l’indotto che ne deriva.
Ai tempi di Gelli si poteva parlare della P2. Oggi siamo ai numeri 3 e 4, ma con caratteristiche diverse. A Bisignani e soci non interessa per niente un diversi assetto istituzionale. Al contrario, quello attuale va più che bene. Altri sono gli obiettivi. In due parole, potere e soldi.
Per quanto finora se ne capisce, il sistema era questo. Non è che Bisignani dirigesse un apparato, come definirlo, “deviato”. Lobbista con una serie sterminata di lobbies, provvedeva a sovrintendere. Tramite lui il ministro favoriva l’ente, e viceversa, l’ente ne favoriva un altro, si firmavano promozioni (e licenziamenti, vedi Masi per Santoro), si assegnavano contratti, si cambiavano leggi, in una mélange che vedeva cointeressati gli alti uffici della politica, quelli industriali, pubblici e privati, fino ai faccendieri e ai portaborse. Io ti do una cosa a te, tu mi dai una cosa a me: un ingranaggio bene oliato, appunto fra amici degli amici. Diciamo una mafia che non spara, ma pur sempre conserva i poteri di corruzione e ricatto.
Ci sarebbe ancora da divagare su Lele Mora, quello che procacciava le ragazze ad Arcore: e non è detto che pure lui non rientri nel quadro. E dovremo ancora prepararci alle infinite diramazioni del gossip. Si noterà, per finire, che in queste fase non si ha notizia della sinistra. Che è divisa, e da anni tiene a informarci dei suoi conflitti interni, ma stavolta ha il buonsenso di starsene zitta sulla riva del Gange. A farsi male da sola ci pensa la maggioranza.