Lettere scritte con il cuore in
mano, forti del carico emotivo che esperienze intense di cooperazione come
quelle di "Medici senza frontiere" portano necessariamente con sè.
Lettere pensate, scritte di getto, dettagliate, imprecise, efficaci, sorprese, divertite. Lettere
di chi, nel segno del titolo del libro che oggi le contiene "Noi nonrestiamo a guardare", ha preso in mano la propria vita dedicandosi agli
altri sfuggendo da qualsiasi odiosa etichetta di "eroe dei giorni
nostri". Quello che ne esce è un affresco di 40 operatori umanitari di
"Medici senza frontiere", della loro quotidianità raccontata senza
filtri dai luoghi più dimenticati del pianeta attraverso flash che sono
l'espressione di sentimenti autentici a cui appartengono la paura, i dubbi, le
fragilità. Professionisti che, messi di fronte alla meraviglia di una nascita o
all'orrore di una guerra, si scoprono essere, innanzitutto, soprattutto, uomini
e donne: ciascuno con la propria storia alle spalle, ciascuno con un genitore,
un figlio, un amico con cui avere il desiderio di condividere la gioia di avere
trovato nella dimensione di cooperanti il senso della propria esistenza.
Introducono il libro, dopo la prefazione di Dacia Maraini, le riflessioni di
alcuni scrittori e giornalisti quali Daria Bignardi, Silvia Di Natale, Andrej
Longo, Antonio Pascale, Renata Pisu, Antonio Scurati, ispirate dall'incontro
con quei medici, quegli infermieri, quei chirurghi impegnati in prima linea e
che costituiscono l'anima stessa di "Medici senza frontiere". Per
sostenere i progetti della ong e, insieme, godersi una lettura piacevole e
istruttiva, il libro "Noi non restiamo a guardare" edito da
Feltrinelli e già disponibile in libreria non delude le aspettative. Di
seguito, grazie all'autorizzazione degli autori e dell'ufficio stampa della ong, pubblichiamo una delle lettere contenute nel libro.
Burundi
Annamaria Ronca
amministrazione e finanza
«Ciao mamma,
ti scrivo questa mail dal mio piccolo ufficio di Kabezi.
Oggi è una giornata speciale e voglio condividerla
con te. Questa mattina ho assistito a un vero miracolo,
il miracolo della vita. Avevo chiesto da tempo di
assistere a un parto e un paio d’ore fa, inaspettatamente,
sono stata chiamata di corsa. Il bambino era sul
punto di nascere e ho corso quei pochi metri che mi
separano dall’ospedale, ho tolto le scarpe e indossato
il camice e sono stata a guardare. Ho assistito all’intero
parto, al terrore della madre e alla sua calma. Appena
la donna ha visto il suo bambino, è stato come
se in un attimo avesse dimenticato l’immenso dolore
e la paura che evidentemente provava qualche secondo
prima; il volto le si è illuminato di immenso in una
scena che qualunque artista avrebbe cercato di immortalare.
La sutura me la sono risparmiata, l’emozione
era già troppa, ho continuato a piangere fino al mio
ufficio e mi sono resa conto della bellezza e della forza
delle donne. Portarsi la vita dentro e poi darla alla
luce. Siamo creature meravigliose. E mi sono anche
resa conto della bellezza del mio lavoro, del nostro
lavoro in MSF. Ricordi che ti dicevo che non vedevo
l’utilità del mio ruolo? Be’, oggi l’ho vista, per la prima
volta dal mio arrivo in Burundi. Sono l’amministratrice di
questo ospedale, gestisco le risorse umane e contribuisco
a far nascere una vita. Sì, le mie scartoffie
aiutano lo staff medico, e quello non sanitario, a lavorare
bene per aiutare queste donne a partorire i loro
bambini, a far venire al mondo queste piccole creature
che saranno il futuro di questo paese. E ne sono
orgogliosa. Mamma, ora capisco come ti sei sentita a
lasciarmi partire, capisco che non deve essere stato
facile, ma spero tu sia fiera di me.
Ti abbraccio forte e dai un bacio da parte mia ai
maschi di casa».
È attesa per il 9 dicembre
l'uscita in libreria de "Le storie del sorriso": un volume, quattro
racconti, tante illustrazioni per dare forma alle vicende umane di ragazzi che,
costretti a confrontarsi con le difficoltà della vita fin da piccoli e a
misurarsi con un mondo che non è pensato a loro misura, maturano ugualmente
dentro di loro la forza di lottare per coronare i propri sogni vivendo a fondo
ogni emozione. Promossa da Mediafriends (la onlus del guppo Mediaset, Mondadori
e Medusa) e giunta alla sesta edizione, questa iniziativa di solidarietà nasce
dal desiderio di incrociare le esperienze e i punti di vista delle associazioni
che con i ragazzi lavorano ogni giorno, accogliendone i disagi e sostenendone
la crescita: L'amico di Charly onlus, Lipu onlus - Lega italiana protezioneuccelli, Enzo B e Associazione Mediafriends onlus sono le realtà che si sono
schierate in prima fila per dare il loro contributo a un progetto più ampio
come quello a sostegno del Comitato orchestre e cori giovanili e infantili a
cui quest'anno saranno devoluti i proventi della vendita del libro. L'obiettivo
di questa onlus è diffondere gratuitamente in Italia la cultura del canto e
della musica come momento di divertimento condiviso: sulla scorta della
fortunata esperienza di "El Sistema" in Venezuela dove oggi 250mila
bambini e ragazzi sono impegnati in 140 orchestre giovanili e 125 infantili a
cui si aggiungono 300mila coristi e giovani del progetto speciale per disabili,
il maestro Claudio Abbado ha voluto replicare e adattare quella metodologia di
approccio alle specifiche esigenze del nostro Paese. È così che nel giro di
pochi mesi (il Comitato è nato nel 2011) sono nati 30 nuclei in luoghi in cui
il disagio giovanile e l'emarginazione sono più evidenti: dal quartiere Scampia
di Napoli alle periferie di Bari fino alla Reggio Emilia colpita dal terremoto
e privata di molti luoghi di aggregazione per i più piccoli.
"Essere felici a scuola" non è soltanto l'auspicio
di genitori e figli, insegnanti e presidi, ma anche il titolo di un volume che
è la sintesi di tre anni di lavoro del Progetto prevenzione bullismo, promosso
da Fondazione Sodalitas insieme con Ismo e Comunità nuova. La felicità di
andare a scuola, vivendola con la serenità dovuta, non è solo un problema dei
ragazzi: anzi, il fatto che lo sia diventato, è proprio il segnale inequivocabile
di ciò che non ha funzionato nel mondo dell'istruzione italiana di questi
ultimi anni. Alla proposta hanno aderito 181 insegnanti lombardi che hanno
avuto l'occasione di seguire workshop di formazione mirati, attuando un lavoro
su se stessi così da migliorare le capacità di relazione con gli studenti e
cogliere i segnali che anticipano o manifestano fenomeni di disagio. Il libro
contiene i risultati di oltre 60 progetti per un totale di 25mila ragazzi
interessati e, come spiega Ugo Castellano di Fondazione Sodalitas, «Uno degli
aspetti innovativi che ha contribuito al successo di questo progetto è stato di
non lasciare soli gli insegnanti al termine del laboratorio. Lì era stato
piantato il seme per realizzare un intervento nella loro scuola, ma era
importante che, una volta rientrati nella realtà da cui erano partiti, non
fossero animati soltanto dall’entusiasmo e dalla motivazione che si era venuta
a creare o rinforzare durante il laboratorio. Perciò abbiamo pensato che gli
insegnanti dovessero essere accompagnati per sei mesi al fine di aiutarli a
progettare interventi specifici, disegnati e modellati sulle esigenze della
loro diverse realtà scolastiche. Gli insegnanti venivano sostenuti attraverso
un percorso di “tutoraggio”, una vera e propria supervisione, al fine di
aiutarli a realizzare interventi diretti e specifici. È stato come mettere a
loro disposizione una “cassetta degli attrezzi” per essere immediatamente in
grado di attivare i progetti più adatti alla loro realtà.
Ma la cosa che soprattutto ci ha lasciato molto
soddisfatti è che man mano che il progetto andava avanti si è diffusa
nell’ambito delle scuole della Lombardia la notizia di questa iniziativa. E
siamo stati contattati da insegnanti e da scuole che venivano a sapere di questo
nostro progetto e, spontaneamente, ci chiedevano di fare parte dei laboratori
(del tutto gratuiti, come i sei mesi di supervisione). Si è creato una specie
di passaparola, che ha allargato il perimetro territoriale iniziale del
progetto, dal Comune di Milano a 7 province lombarde e una piemontese. In tutti
i casi in cui abbiamo avuto modo di avere dei feed-back diretti dei
partecipanti sia ai laboratori esperienziali sia ai percorsi di tutoraggio sia
poi infine alla messa in opera dei progetti, i commenti sono stati molto
positivi, con un riscontro molto soddisfacente e condiviso del successo
dell’iniziativa».
E ancora, don Gino Rigoldi per
Comunità nuova: «Gli adulti hanno bisogno di convertirsi alla relazione.
Convertirsi alla relazione vuole dire convertirsi intanto all’umanità: è una
specie di fede, la premessa della relazione. E poi, cominciare a darsi gli
strumenti per parlarsi, per capirsi, per guardarsi, anche per comprendere il
perché dello sguardo sorridente o corrucciato, del gesto di violenza oppure dei
salti di gioia delle persone. Perché la relazione non è soltanto “noi due ci
parliamo” ma è anche “noi due cerchiamo di capirci”, cerchiamo di leggere le
storie che stanno dietro alle nostre vite e ai nostri comportamenti, di capire
anche perché in un determinato momento di una certa storia sono successe certe
cose. Perché la relazione ha come premessa, e anche come obiettivo, uno sguardo
profondo. Riguardo agli affetti, le cose van così: una persona per dare affetto
a tante persone deve essere affettivamente compensata lei. Io credo che nel
momento in cui sono sicuro che un po’ di gente mi vuole bene, che a un po’ di
gente io voglio bene, e siamo dentro a un sistema di relazioni di calore anche,
di un volerci bene, che riscalda la mia vita, a quel punto lì divento capace di
voler bene a tutti». Infine, per chiudere, la testimonianza di una delle insegnanti
che hanno partecipato: « Nel tanto che porto via da questa esperienza c’è una
rinnovata carica di fiducia in me stessa, negli altri e nel futuro che, per noi
insegnanti, sono i nostri alunni. Ma sono certa che domani potrò fare qualcosa
di buono solo se saprò costruire relazioni significative ed autentiche con i
miei compagni di viaggio, sulla strada che la vita ci farà percorrere. Buon
viaggio a tutti!».