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venerdì 21 marzo 2025
 
Giornata degli anziani
 

Paglia: «Non dobbiamo aver paura della vecchiaia. Anzi, da anziani riscopriamo la nostra vocazione per aiutare il mondo a essere migliore»

06/02/2025  “Beato chi non ha perduto la sua speranza” sarà il tema della V giornata mondiale dei nonni e degli anziani del 27 Luglio. Ne parliamo con monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita: «Non dobbiamo considerarci in un’età anticamera della fine della vita! Davanti a noi c’è l’incontro con Dio, la vita che non finisce»

«La speranza è l’avvento del Regno. Di cui siamo certi, perché è la promessa di Gesù ai suoi discepoli e da loro a noi. Ne siamo certi e allo stesso tempo dobbiamo impegnarci a preparare il Regno a partire dalla realtà di oggi» Commenta così monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita il tema scelto da papa Francesco per la V Giornata dei nonni e degli anziani che si celebrerà il 27 luglio prossimo. «La fede cristiana è radicata nella Storia dell’umanità, Dio è diventato una persona che ha camminato sulle strade della Palestina e, sempre attraverso i discepoli, è arrivato a tutte le genti. Nei primi secoli, i cristiani venivano perseguitati, per questa loro fede in un Dio che è vissuto e ha sconfitto la morte. E sappiamo che questo piccolo movimento, poco più di una setta dell’ebraismo, è diventato un terremoto mondiale, che ha cambiato tutto il percorso dell’umanità. Ecco perché dobbiamo guardare al nostro passato, da dove veniamo, per ispirarci nel futuro. Avere la stessa fede e la stessa audacia. La speranza non è un’attesa inerte. Al contrario è l’operosità convinta dei discepoli che continuano a cambiare il mondo anche quando sembra impossibile sperare. L’apostolo non a caso ricordava l’esempio di Abramo che era “saldo nella speranza contro ogni speranza”(Rm 4,18)». 

Qual è il senso profondo di una parola "speranza" che quest’anno sentiremo tanto in occasione del Giubileo?
«Certo, la speranza va sempre declinata con la fede e con la carità, le tre grandi virtù che la Chiesa insegna a vivere e a testimoniare. La preghiera del Giubileo, infatti, recita: “La tua grazia ci trasformi - in coltivatori operosi dei semi evangelici - che lievitino l’umanità e il cosmo, - nell’attesa fiduciosa - dei cieli nuovi e della terra nuova, - quando vinte le potenze del Male, - si manifesterà per sempre la tua gloria”. Il passaggio è in quel “coltivatori operosi dei semi evangelici”. Dobbiamo essere instancabili nell’annunciare il Regno e “la vita del mondo che verrà”. L’annuncio andrà a buon fine, troverà terreno sfavorevole ma anche tanto terreno favorevole. Oggi di fronte alle crisi – ambientali, sociali, alle guerre terribili – la speranza è da coltivare ma insieme a fede e carità, per indicare a tutti una strada diversa e possibile. Non rassegniamoci. Pensi se i discepoli si fossero rassegnati e dispersi dopo la morte in Croce. Non l’hanno fatto. E oggi siamo qui. È una grande lezione, da apprendere e riproporre. C’è da dire inoltre che ogni età deve vivere in modo proprio la speranza. Lo dico in relazione agli anziani, o meglio, ai nonni e quindi alla dimensione della speranza da trasmettere ai nipoti, ai piccoli. È una speranza che deve aiutare le generazioni emergenti a guardare il loro futuro non rassegnati ma pronti a svolgere la loro parte, come i nonni hanno a loro volta fatto».

Monsignor Vincenzo Paglia, 79 anni, presidente della Pontificia Accademia per la Vita
Monsignor Vincenzo Paglia, 79 anni, presidente della Pontificia Accademia per la Vita

Cosa vuol dire sperare quando si vive la Grande Età?
«Oggi viviamo venti - trent’anni in più rispetto al passato. È il tempo di una vera e propria generazione. Ed è l’ultima stagione della vita. Per gli anziani la speranza significa anzitutto accogliere questo tempo non come una disgrazia, un naufragio, come diceva De Gaulle, ma come una opportunità. Non bisogna aver paura della vecchiaia. La paura fa di noi vecchi delle parsone rassegnate, sconfitte dalla vita. Ogni età della vita ha la sua propria dignità. Certo una nazione civile deve prendersi cura delle persone anziane. E lo stiamo facendo con la legge 33/2023 che riforma tutta l’assistenza socio-sanitaria. Ma poi ogni anziano deve trovare dentro di sé la motivazione per non cedere a un senso di disperazione o di solitudine. Insomma anche da anziani dobbiamo riscoprire la nostra vocazione per aiutare il mondo a essere migliore. Non dimentichiamo che in Italia siamo 14 milioni di ultra 65enni! E rappresentiamo un patrimonio enorme di bene. Attenzione a non peccare di omissione. Sarebbe terribile per noi anziani e per la stessa società».

Quali sono le sfide degli anziani di oggi?
«Noi anziani abbiamo davanti una sfida culturale, sociale e spirituale. Culturale, perché dobbiamo capire sempre più e meglio che il tempo reso libero dal lavoro è una risorsa per noi stessi, per le famiglie, per la società. Quante cose possiamo ancora fare! È una sfida anche sociale, perché gli anziani stessi devono diventare protagonisti in prima persona. Non arrendersi, non rassegnarsi. Vivere, invece, il tempo davanti a noi con energia rinnovata, a servizio delle famiglie – per chi aiuta i nipoti e le nipoti – e della società, con gli strumenti che la legge 33, una volta a regime, darà ai territori. La legge in questo senso disegna un progetto di alleanza tra giovani e anziani, creando posti di lavoro per assistenti socio-sanitari; e inoltre lasciando gli anziani in casa si impedisce lo spopolamento dei piccoli centri, creando un circuito virtuoso di scambio di esperienze e dialogo tra giovani e meno giovani. Gli strumenti li stiamo mettendo a punto. Noi anziani non dobbiamo aver paura della vecchiaia e non dobbiamo considerarci in un’età anticamera della fine della vita!».

E la sfida spirituale?
«Sì è una grande sfida anche spirituale. Purtroppo noi anziani siamo ancora poco aiutati, in questo. Anche la Chiesa deve fare il suo esame di coscienza. Ad esempio, in ogni diocesi c’è un prete per i giovani. In nessuna, salvo qualche eccezione, c’è un prete per gli anziani. Dove c’è sta nella commissione per la salute. Come se la vecchiaia fosse una malattia. Al contrario dobbiamo trovare una spiritualità per la vecchiaia, per i trenta anni da vivere da cristiani. E faccio un solo esempio. Noi anziani – proprio perché siamo nella ultima parte della vita – siamo chiamati a testimoniare la nostra destinazione verso l’eterno. È a dire che non viviamo in balia del caso: davanti a noi c’è l’incontro con Dio, la vita che non finisce. E quindi che la morte non è l’ultima parola. Anzi, noi anziani dovremmo sentire che, nonostante il durissimo passaggio della morte, “il meglio deve ancora venire”! Lo diciamo nel Credo ogni domenica: “aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. La Chiesa sta lentamente prendendo coscienza che gli anziani possono diventare non solo i destinatari di una catechesi specifica, ma a loro volta possono farsi grandi annunciatori di una sapienza che vede oltre, che guarda al di là. È un tema che ho molto a cuore. Ho scritto un libro (Destinati alla vita, San Paolo) proprio per riprendere il senso profondo dell’annuncio escatologico cristiano. Non è una favola, recitiamo il Credo ogni domenica. E la destinazione finale inizia qui, anzi è iniziata con il primo vagito di ognuno di noi. È l’amore di Dio che ci ha messo al mondo attraverso un padre e una madre. Per Dio è un amore eterno, che non abbandona. Fede, speranza e carità dunque. Vicini agli altri, vicino a noi stessi».

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