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martedì 17 settembre 2024
 
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Due tasselli rosa per la Palestina

17/05/2015  Da Betlemme suor Donatella Lessio racconta l'emozione per le due sante palestinesi e le speranze che, nonostante tutto, nutrono ancora il popolo della Terra Santa.

Ruba il tempo alel sue numerosissime attività per rispondere subito alle nostre domande. Suor Donatella Lessio risponde dal Caritas baby hospital, a Betlemme, l'unico ospedale pediatrico della Palestina. Anche lei contenta della canonizzazione delle prime due sante palestinesi. «Nel poliedrico scenario religioso che caraterizza la Terra Santa», spiega, «la notizia inaspettata, della canonizzazione di suor Maria Alfonsine Ghattas e di suor Mariam Bawardi, ha sortito un effetto domino in tutta la popolazione. I cristiani cattolici ovviamente hanno accolto l’annuncio con grande stupore e senso di riconoscenza immenso. Nella terra del Santo dei Santi (così mi piace chiamare il Cristo) l’entusiasmo è andato crescendo mano a mano che si avvicinava il giorno della canonizzazione. Mi è sembrato che ogni palestinese cattolico si fosse identificato nelle due sante. Il senso di appartenenza, da queste parti è molto forte, palpabile, tangibile è andato crescendo».
Come si stanno vivendo queste giornate?
«Si vedono ragazzi e ragazze che per le strade di Betlemme girano con disegnata sulla maglietta l’immagine di suor Mariam e/o a Gerusalemme la stessa cosa per suor Alfonsine. In tutti si sente un senso di forte appartenenza. Momenti di preghiera, di riflessione, incontri per conoscere più da vicino le due sante, si sono susseguiti fin dall’inizio. La vigilia della canonizzazione a Betlemme gli scouts si sono ritrovati in piazza della Natività per rendere omaggio a suor Mariam. La loro banda, le loro bandiere, per dire a tutti la loro gioia e la loro riconoscenza per questa piccola-grande donna riconosciuta dalla Chiesa come santa o come giusta, per usare un termine caro agli ebrei, nostri vicini. Striscioni, gigantografie, cartelloni che pendono dai muri delle chiese, delle scuole, mostrano la consapevolezza di questo evento unico per questa terra che di santi ne ha avuti tantissimi in passato, ma oggi... oggi è diverso. Piu’ di 600 arabi palestinesi sono partiti per partecipare alla canonizzazione. “Vado perché voglio essere presente quando Papa Francesco pronuncerà i loro nomi”; “non voglio mancare a questo evento ecclesiastico così importante perché mi sento onorato di essere palestinese e lo voglio mostrare a tutti”. La consapevolezza, che come diceva il Patriarca Tuwal: “la Palestina non è solo guerra”. Domenica 17 Maggio il mondo intero potrà avere tra le mani, nella mente e nel cuore un altro tassello di questa terra. Anzi due tasselli colorati di rosa».
Qual è la situazione dei cristiani oggi?
«I dati sono discordanti, come ogni statistica non accurata, c’è chi parla dello 0,8 per cento dei cristiani rimasti in Palestina! In Palestina le fonti più accurate dicono che la percentuale attuale oscilla tra l’1.5 l’1%. Di sicuro c’è un continuo stillicidio. Ne sono testimone nei miei 11 anni di presenza a Betlemme. Famiglie che emigrano in cerca soprattutto di pace, sicurezza e serenità. La libertà di movimento ma soprattutto di sentirsi rispettati e trattati come persone sono i motivi principali dell’esodo. “Sappiamo che c’è crisi in Europa e anche in America, ma almeno lì non ci chiediamo perché siamo nati in Palestina”. La consapevolezza di problemi economici e lavorativi c’è, ma il sogno di sentirsi “uomini – donne - esseri umani” prevale. Anche il futuro dei propri figli è la molla che fa scattare i genitori a lasciare questa terra: “Io ho fatto la mia vita, ma a mio figlio che cosa offro? Non posso immaginare e sopportare l’idea che non abbia un futuro”. Il futuro dà speranza e, se non c’è futuro non c’è speranza. Gli sforzi che i vari Paesi tentano di fare non sono per il momento sufficienti per risolvere i tantissimi problemi che il Paese vive. Quando guido i gruppi di pellegrini che vengono a visitare il Caritas Baby Hospital, l'ospedale dove lavoro, non manco mai di dire che anche noi cristiani di tutto il mondo abbiamo la responsabilità della pace in questa terra, perché qui noi tutti  siamo nati nella fede, qui è la nostra prima casa e non possiamo non sentirci parte di questa famiglia, di sentirci fratelli  e sorelle nella fede chiamati in prima persona ad inginocchiarsi davanti al Principe della pace e pregare perché questo dono, che è solo di Dio, arrivi ad abitare questa terra e i cuori delle persone che la abitano».
E’ cambiato qualcosa dopo la visita del Papa?
«La visita di Papa Franscesco, se pur breve, ha toccato i cuori e lasciato un messaggio importante. I suoi gesti più che le parole sono ancora vivi nella mente di noi tutti. Con la sua presenza il Vescovo di Roma ha ridato la speranza ai palestinesi che la Chiesa di Roma ha compreso la situazione del popolo palestinese. Prima della sua visita, più di qualche persona anche cattolica mi diceva: “Dov’è la Chiesa?” ora questa domanda sta lasciando il posto ad una consapevolezza che si sta facendo granitica: “La Chiesa sta comprendendoci”. Il fatto che il Vaticano abbia riconosciuto la Palestina come Stato credo sia l’apice del messaggio che Papa Fransceco nel suo silenzio loquace ha voluto portare. Ora sembra che ci sia spazio per sperare ancora. Forse a livello politico le cose sembrano andare da un’altra parte ma, una ventata nuova sta spalancando il cuore dei palestinesi, una forza maggiore sta permettendo di alzare lo sguardo e credere che c’è un’opportunità nuova, una possibilità, uno spazio per sognare ancora. La canonizzazione poi di due suore palestinesi dà rinforzo a questo messaggio di speranza e di fede, anche se i due avvenimenti non hanno nessuna relazione, come ha affermato il Vaticano. Una bella coincidenza però, meglio, come dice un mio amico, una bellissima Dioincidenza».
La Palestina ha ancora bisogno di tante cose. L'ospedale in cui lavora, per esempio è l'unico destinato ai bambini. Cosa fate in concreto?
Sì, è vero: il Caritas Baby Hospital è l’unico ospedale pediatrico della Palestina. Le porte sono aperte 24 ore su 24; sette giorni su sette. Nessuna distinzione nell’accoglienza dei piccoli che arrivano da noi, né di tipo economico, sociale o religioso.“We are here” è il nostro motto. “Noi ci siamo” a dare speranza alle famiglie; dare certezza di una cura di qualità; dare garanzia di una serietà professionale nel prenderci cura del bambino e della sua mamma. Bambini dai zero giorni di vita ai 14 anni, trovano nel nostro ospedale l’opportunità di essere curati nei nostri ambulatori, oppure di essere sotto osservazione nel nostro day hospital, o di essere ricoverati nei 4 reparti di degenza (2 pediatrici, uno di neonatologia e un altro di terapia intensiva pediatrica e neonatale). Ottantadue posti letto. Circa 3.400 ricoveri l’anno e 37.000 visite ambulatoriali l’anno. Duecentotrentotto dipendenti, tutti palestinesi, cristiani e mussulmani insieme per dare vita ad un team che ha il compito “finale” di far ritornare il sorriso al bambino. Ci riusciamo? Sì’ il più delle volte e se non ci riusciamo, asciughiamo le loro lacrime, lasciando scorrere le nostre».

 
 
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