«I convertiti all'islam in Italia siano più o meno 50mila: in maggioranza persone convertite per affinità o esigenze di carattere sentimentale; un'esigua minoranza adotta l'islam per una scelta ideologica. Di questi ultimi, per fortuna solo pochissimi sono quelli che pensano di andare a combattere la jihad». Yahya Sergio Yahe Pallavicini è una delle voci più autorevoli e aperte al dialogo del mondo islamico in Italia. Vicepresidente della Co.Re.Is (Comunità Religiosa Islamica) e imam della moschea Al-Wahid di Milano, riflette sul tema dell'islam italiano alla luce dell'indagine sul terrorismo internazionale che ha portato all'arresto, fra l'altro, di una famiglia italiana della provincia di Milano che si era convertita da qualche anno alla fede islamica e che progettava di unirsi all'Isis per combattere contro l'Occidente.
«Dobbiamo salvaguardare il significato autentico di conversione», osserva Pallavicini. «Convertirsi a una fede è qualcosa di molto importante, non è un atto da voltagabbana, il passaggio da una tifoseria calcistica all'altra. C'è il rischio che venga erroneamente percepito come rivoluzione, come un trasferimento di valori che giustifica l'uso della violenza verso altre fedi o altre culture». Racconta: «A me è capitato varie volte di rimandare al cristianesimo persone originariamente atee che si avvicinavano a noi. Questo perché quelle persone da piccole erano state battezzate e io ho grande rispetto per il battesimo. Se un battezzato, che nel corso della sua vita non è mai stato educato alla fede cattolica, a un certo punto viene attratto dall'islam, io gli spiego che la nostra fede non è esotismo, è una delle religioni del monoteismo abramico e che se lui è nato nell'alveo del cristianesimo dovrebbe almeno ricominciare da lì, dalle sue origini, altrimenti la scelta di fede resta solo una scelta romantica. Ma mi rendo conto che questo discorso per molti sia difficile da comprendere, dipende dalle sensibilità e dalla concezione che si ha dell'appartenenza a una religione».
La Co.Re.Is., spiega l'imam, collabora e lavora sempre più in sinergia con varie comunità islamiche di origine straniera presenti sul territorio nazionale, come quelle marocchine, senegalesi, bengalesi, pakistane, turche: «Con queste comunità condividiamo una prospettiva in base alla quale la religione non è politica e la pratica religiosa trova piena corrispondenza nel contesto sociale e culturale nel quale si inserisce».
In quanto coordinatore nazionale degli imam della Co.Re.Is., Pallavicini ha stabilito una serie di coordinate di fondo sulla base delle quali la Comunità valuta l'ingresso o meno delle persone che desiderano convertirsi. «Noi non accettiamo persone che abbiano un approccio all'islam sulla base di motivazioni sentimentali o ideologiche in contrapposizione a qualcos'altro, che sia l'Occidente, il cristianesimo, la democrazia, la secolarizzazione, la modernità. Per noi non può essere un motivo valido. E non accettiamo chi si interessa all'islam in contrapposizione ad un'altra religione, come il cristianesimo e l'ebraismo. Per quanto ci riguarda la conversione deve avvenire sulla base della motivazione spirituale».
Una prospettiva che serve anche ad allontanare il rischio di fondamentalismo all'interno della Comunità. «Ma dove vanno poi a finire le persone che non vengono ammesse?», si domanda l'imam, «quelli, infatti, sono i soggetti più a rischio. Ci sono individui partiti per la Siria che si sono convertiti via Internet, senza nessuno studio, nessuna preparazione, senza nemmeno alcuna pratica rituale e interlocuzione con una guida spirituale musulmana. Se è vero, infatti, che l'islam è una religione senza clero, l'atto della conversione per essere legittimo prevede un atto rituale con la presenza fisica di un imam e dei testimoni che hanno la responsabilità di verificare le intenzioni e il grado preparazione del neoconvertito. E' ovvio che chi si converte fittiziamente su Internet compie un atto non valido e lo fa semplicemente per sfruttare la religione come mezzo per diventare un rivoluzionario e compiere atti di violenza».