Servono equilibrio, delicatezza e un filo di senso dell’ironia per vivere da famiglia in una squadra nazionale; per essere, a un tempo, Commissario tecnico e giocatrice dell’Italia della pallavolo, marito e moglie, papà e mamma; per gestire senza perdere la bussola le dinamiche di quei due delicatissimi gruppi che sempre sono una squadra e una famiglia.
Serena Ortolani e Davide Mazzanti hanno l’aria di aver trovato la giusta intersezione degli insiemi, mentre raccontano il loro ménage familiare sotto rete, attento a conciliare casa e spogliatoio, senza che nulla si incrini, meno di tutto la serenità della loro bimba, Gaia, che con un Mondiale in Giappone alle porte (dal 29 settembre al 21 ottobre) dovrà affrontare del tempo senza di loro, impegnati insieme dall’altra parte del mondo: «Le abbiamo parlato», racconta Serena, «l’abbiamo preparata al fatto che tra settembre e ottobre rimarrà per un po’ con i nonni - da cui arriva sempre un grande, preziosissimo, aiuto - mentre mamma e papà dovranno lavorare».
Per rendere il concetto accessibile a una bambina di cinque anni, papà le ha spiegato che «bisogna lavorare per procurare i soldini che servono per acquistare la casa dei sogni. E lei, bravissima, ha sdrammatizzato i nostri sensi di colpa, chiedendo: “Ci sarà la piscina?”. Insomma, ha alzato l’asticella», sorride Davide.
Nel frattempo Serena chiama casa il luogo (quale che sia fisicamente) in cui si può essere squadra tutti insieme, a costo di riempire e svuotare spesso gli scatoloni: «Gaia ha già vissuto cinque traslochi, perché da quando è nata abbiamo messo al primo posto le esigenze della famiglia e fatto in modo di accettare ingaggi di squadre di club solo a patto che fossero disposti a prenderci insieme». Non squadre a caso, però: da Casalmaggiore a Conegliano, uno scudetto per parte, una Supercoppa e una Coppa Italia per la seconda. Un altro scudetto l’avevano già vinto insieme a Bergamo, molto prima del matrimonio, nel 2011: «Perché insieme ci piace anche vincere e andare a casa dopo ad abbracciare la bimba è la cosa più bella. Nella vita del club, dove c’è una sorta di orario lavorativo, campo e vita sono abbastanza divisi. Si torna dall’allenamento e c’è la quotidianità, non ho mai fatto fatica a scindere: in palestra e in partita Davide è l’allenatore, a casa siamo una famiglia. Anche se è vero che ogni squadra ha i suoi equilibri. E alla fine a Conegliano per me era difficile essere allo stesso tempo moglie e capitano della squadra, probabilmente non sono adatta a rivestire quel ruolo quando allena Davide».
Ora la Nazionale ha un po’ cambiato i meccanismi, perché il Commissario tecnico nella pallavolo, a differenza che nella pallacanestro, non cumula Nazionale e squadra di club. Quindi ora Serena gioca a Monza durante il campionato e Davide allena “solo” l’Italia, cosa un tantino diversa dal guidare una squadra di club. Chi fa il Ct ha meno tempo di metabolizzare le dinamiche di gruppo, sta con la squadra, nei ritiri, per pochi periodi concentrati in cui si vive tutti insieme e alla fine ha l’ingrato compito di selezionare chi resta tra i convocati e chi torna a casa.
Vien da chiedersi quanto sia complicato gestire tutto questo, quando nella squadra si convoca la propria compagna di vita: «Il problema si crea, e grande, quando c’è un dualismo (una staffetta alla Rivera-Mazzola con polemiche conseguenti per capirci, ndr.), ma non è il caso di questa Nazionale: Paola Egonu gioca titolare nel ruolo di opposto, Serena subentra soltanto quando c’è bisogno di esperienza per sbrogliare situazioni complicate. Se ci fosse stato un vero dualismo tra loro due non avrei convocato mia moglie, per non compromettere l’equilibrio dello spogliatoio».
Serena, che ha cominciato a indossare l’azzurro nel lontano 2004 con le prime convocazioni in Nazionale maggiore a soli 17 anni, dal canto suo ammette che per lei, all’inizio, non è stato semplicissimo conciliare quella maglia con il marito approdato al ruolo di Ct nel 2017: «La situazione del ritiro ora per me è un po’ strana, perché lì si vive insieme restando sempre nei rispettivi ruoli professionali: lui è nello staff e io da giocatrice divido la stanza con una compagna di squadra. È un po’ insolito vivere la quotidianità familiare così, sospendendola quasi. Anche se qualche volta abbiamo fatto venire in ritiro Gaia accompagnata dai miei genitori, perché stare lontani da lei ci pesa e ci genera sensi di colpa e, mentre lei sembra abituata e a suo agio in campagna o al mare dai nonni, a noi manca moltissimo quando dobbiamo lasciarla a casa».
L’equilibrio più delicato, però, in ritiro forse è l’altro: quello della squadra. «Per quanto strano possa sembrare, all’inizio, conoscendo da anni l’ambiente dello spogliatoio, ero io più delle altre a farmi il problema. Mi chiedevo: “Ma se una ragazza ha bisogno di sfogarsi a causa di Davide, come fa con me lì presente?”. Così, finito l’allenamento, scappavo a farmi la doccia a casa. Sono state le mie compagne a rendersi conto del mio disagio e a venirmi incontro, dicendomi che si fidavano di me. E, in effetti è così che funziona in ogni gruppo ben riuscito: non tutti gli sfoghi, non tutte le parole dal sen fuggite vanno riferite. Non lo farei tra ragazze in squadra, non lo faccio con l’allenatore, anche se è Davide. Del resto allenatore e squadra, anche quando su un episodio la vedono diversamente, devono remare dalla stessa parte in funzione dell’obiettivo del risultato sportivo».
E così, in questa dinamica inconsueta di moglie-giocatrice, Serena ammette di aver imparato l’arte della mediazione: «Adesso sono io la prima a sdrammatizzare la situazione. Se vedo che in un allenamento Davide è più ruvido del consueto, faccio io la battuta per prima: “Ma cos’ha mangiato stamattina? Che ha oggi?”, e questo aiuta a ricompattare tutto. Se sento che qualcuna non comprende le sue decisioni o prova disagio, la incoraggio a parlargli, perché spesso, in ogni relazione, parlando ci si chiarisce».
Un passaggio forse utile anche a togliere la timidezza all’Italia in partenza per il Mondiale, che Mazzanti non fa mistero di volere «intraprendente in campo».