“Lo
dico a lei, come l'ho detto a tutti i miei amici: non mi interessa
sapere se le è piaciuto il libro, io voglio che le sia piaciuto
Mavlut”. Orhan Pamuk, 63 anni, lo scrittore turco vincitore nel
2006 del Premio Nobel per la Letteratura sembra davvero molto
affezionato a Mevlut, il personaggio protagonista del suo nuovo libro
La stranezza che
ho nella testa.
Pubblicato da Einaudi con la traduzione di Barbara La Rosa Salim, il
romanzo, lungo e complesso, racconta la storia di Mevlut, venditore
ambulante di yogurt e boza (una tipica bevanza turca, leggermente
alcolica), che nel 1969 lascia il suo villaggio per trasferirsi a
Istanbul.
Pamuk,
la stesura di questo romanzo ha richiesto sei anni. Come mai così
tanto tempo?
“Perché
il libro è basato su molte ricerche. Io vengo da una famiglia della
classe medio alta, non ho condiviso la vita dei venditori di strada.
Sapevo poco di loro. Così ho dovuto realizzare molte interviste,
aiutato anche da un gruppo di giovani laureati. Questo ha richiesto
tempo. Ho mangiato tanto riso e tanto pollo dalle bancarelle in
strada, ho conquistato la fiducia delle persone e a poco a poco mi
hanno raccontato le loro storie. Comunque il mio scopo non era certo
quello di riempire il libro di informazioni enciclopediche. Alla fine
volevo far emergere l'umanità e i sentimenti di Mavlut, il
personaggio principale”.
Che
cosa la affascina di Mavlut?
“Il
suo atteggiamento di ragazzo ingenuo e felice che lascia il villaggio
in campagna per inserirsi nella vita di una metropoli in piena
crescita. Mavlut partecipa a questi cambiamenti, ma ciò che gli sta
più a cuore è sopravvivere e guadagnare”.
Può
essere una bella storia da cui trarre un film?
“Penso
di sì, ma forse il romanzo può ispirare anche una soap opera. Per
certi aspetti si tratta di una saga familiare, con fratelli, cugini,
tanti parenti. Oltre alla folla che vive nelle strade di Istanbul”.
Per
lei Istanbul rimane sempre una grande fonte di ispirazione. Come
vive questo ruolo di cantore della città?
“E'
un ruolo che mi ha assegnato la critica internazionale. Io fino ai 45
anni non me ne ero reso conto. Quando a vent'anni ho cominciato a
scrivere romanzi non mi ero certo messo in testa di fare il cantore
di Istanbul. La città è stata lo sfondo in cui ambientare storie
con le quali volevo raccontare l'umanità delle persone. Poiché mi
piace appartenere a questa città dico 'va bene', accetto volentieri
il titolo di suo cantore”.
In
Turchia La stranezza che ho nella testa ha avuto un buon
successo. Sono aumentate anche le vendite di boza? Questa bevanda si
trova ancora in città?
“Curioso,
questa è la domanda che mi fanno tutti i giornalisti. Sì, la boza
si vende ancora e mi dicono che le vendite sono aumentate. Ora si può
trovare nelle pasticcerie e nei negozi di alimentari. La vendono in
bottiglia e bisogna conservarla in frigorifero. E' una bevanda molto
in voga fra i conservatori, però se non vogliono che gli si ricordi
un dettaglio: la boza contiene anche alcool”.
In
fondo la storia di Mavlut è una storia di emigrazione, sia pure
interna alla Turchia. Il suo Paese come sta vivendo l'emergenza dei
rifugiati in arrivo soprattutto dalla Siria?
“A
giugno in Turchia avevamo oltre 2 milioni di rifugiati. In gran parte
erano persone che volevano continuare il loro viaggio verso
l'Europa, ma intanto li abbiamo ospitati senza troppe polemiche,
mentre invece ricordo che in Gran Bretagna si discuteva animatamente
sull'opportunità di far arrivare 500 nuovi rifugiati”.
La
cancelliera Merkel si è mostrata molto generosa nell'accoglienza,
non crede?
“Sì,
ne sono stato molto felice. In questo modo i rifugiati possono
diventare tanti Mevlut, non più marginalizzati, ma inseriti nella
società tedesca. Io però ho chiesto che questi nuovi immigrati non
siano trattati come i turchi che arrivarono in Germania una
quarantina di anni fa. Quei migranti furono messi in quartieri ghetto
e rimasero sempre marginalizzati, con un basso livello di educazione,
spesso costretti a lavori umili. Ora spero che i siriani siano più
fortunati”.
Proprio
l'emergenza dei rifugiati ha riaperto il dialogo e la collaborazione
fra la Turchia e l'Unione Europea. Ne è felice?
“L'Europa
darà tanti soldi alla Turchia e in cambio chiede ai turchi di fare
da filtro all'immigrazione. Ho visto il nostro primo ministro
Davutoglu tutto contento, mentre stringeva la mano sorridente ai
leader europei. Mi fa piacere. Però l'Unione Europea non dovrebbe
vedere la Turchia soltanto come un utile filtro anti immigrati. La
Turchia merita di essere a pieno titolo un membro dell'Europa per la
sua storia, la sua cultura, la sua popolazione”.
Ma
vista la deriva autoritaria del governo turco, oggi ci sono i
requisiti per l'ingresso in Europa?
“No,
l'Europa deve insistere nel chiedere un maggiore rispetto della
libertà di opinione, di parola e di stampa. Troppi giornalisti sono
incriminati e mandati in prigione a causa delle loro idee. Un mio
caro amico, direttore di un giornale, è in prigione da alcuni
giorni. Questo è inaccettabile”.
Aver
vinto il Premio Nobel le ha cambiato molto la vita?
“Sì,
mi ha cambiato. Purtroppo il Nobel mi ha reso una specie di
rappresentante della Turchia e ciò mi costringe spesso a essere
diplomatico E' un pericolo perchè questo uccide il bambino giocoso
che c'è in me. Ma le assicuro che questo bambino è sempre vivo. In
questo sono simile a Mavlut”.