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martedì 25 marzo 2025
 
 

Pane, olio e... tulipani

15/01/2014  In Olanda si mangia meglio che in Italia: questo il risultato del nuovo indice globale sull'alimentazione stilato da Oxfam

Sono trascorsi poco più di tre anni da quando la quinta sessione del Comitato intergovernativo dell'Unesco per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell'umanità ha iscritto ufficialmente la dieta mediterranea nella prestigiosa lista, un riconoscimento di cui andare orgogliosi e per il quale il termine dieta si rifà al greco antico e, dunque, dal punto di vista etimologico, significa "stile di vita". In altre parole, quell'insieme di pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, abilità, saperi e spazi culturali con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato nel corso dei secoli una sintesi tra l'ambiente culturale, organizzazione sociale, l'universo mitico e religioso intorno al mangiare. Si legge, nella spiegazione con cui venne attribuito il riconoscimento, "la dieta mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e nello spazio, costituito principalmente da olio di oliva, cereali, frutta fresca e secca, verdure, un moderata quantità di pesce, latticini e carne, molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre in rispetto delle tradizioni di ogni comunità. Essa promuove l'interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La Dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all'agricoltura nelle comunità del Mediterraneo come nellezone della Soria in Spagna, Koroni in Grecia, Cilento in Italia e Chefchaouen in Marocco. Le donne svolgono un ruolo indispensabile nella trasmissione delle competenze, così come della conoscenza di riti, gesti tradizionali e celebrazioni, e nella salvaguardia delle tecniche». 

Già, questo accadeva tre anni e mezzo fa. Oggi le cose stanno parzialmente cambiando e il campanello d'allarme lo suona Oxfam con il suo nuovo rapporto "Good enough to eat index", un indice globale sull'alimentazione che confronta i dati di 125 Paesi e analizza come affrontano la sfida di garantire una alimentazione ricca, nutriente, sana e accessibile a tutti i propri abitanti. Bene, a dispetto dell'Unesco, l'Italia si trova soltanto all'ottavo posto mentre sul gradino più alto del podio si posizione quell'Olanda di cui sempre più spesso mangiamo i pomodori distribuiti nei supermercati anche d'inverno. La seguono Francia e Svizzera, mentre in coda alla classifica ci sono il Etiopia, Angola e, in ultima posizione, il Ciad.  

 

 

«Oxfam ha elaborato questo indice per evidenziare i problemi che si affrontano per nutrirsi in modo sano e adeguato nelle più diverse parti del mondo. Il Good Enough to Eat Index dimostra che, a livello globale, nonostante ci sia cibo a sufficienza per tutti, la possibilità di avere cibo salutare a sufficienza e a prezzi abbordabili non è così diffusa nel mondo. C’è ancora molto da fare per garantire che tutti siano in grado di mangiare in modo sano», afferma Winnie Byanyima, Direttrice di Oxfam International. «Sono povertà e ineguaglianza a nutrire la fame. L’indice dimostra che si soffre la fame dove i governi non sono in grado di attuare politiche efficaci per ridistribuire le risorse, dove il mercato fallisce e le persone non hanno il denaro e le risorse necessarie per acquistare tutti i beni e servizi di cui hanno bisogno», conclude Byanima.    

«Il Good Enough to Eat Index vede l’Italia all’8° posto, a pari merito con Irlanda, Portogallo e altri paesi e subito dietro ad Austria, Danimarca, Svezia e Belgio. Un piazzamento deludente per un paese che fa del mangiar bene un tratto forte e distintivo dell’identità nazionale e che ospiterà l’Esposizione Universale di Milano proprio sui temi della sicurezza alimentare - afferma Elisa Bacciotti, Direttrice Campagne di Oxfam Italia. - L’Italia potrebbe essere al primo posto, ma nel nostro paese sempre più persone fanno fatica a mangiar sano e far quadrare il bilancio: il costo della vita in generale è alto rispetto al reddito medio degli italiani, che in proporzione spendono di più rispetto ad altri paesi e hanno meno possibilità di acquistare cibo buono a buon mercato».  

Un tema, quello dell’accessibilità del cibo, calcolato sulla base del Domestic Food Price Level Index elaborato da FAO e Banca Mondiale e che vede il Regno Unito registrare la performance peggiore tra le nazioni dell’Europa occidentale: l’Inghilterra è infatti all’ultimo posto, insieme a Cipro, tra i paesi europei. Stati Uniti, Giappone, Nuova Zelanda, Brasile e Canada sono fuori dalla top 20.   Tutte le nazioni africane, tranne 4, occupano le ultime 30 posizioni a cui si aggiungono Laos, Bangladesh, Pakistan e India. In Guinea, Gambia, Ciad il cibo costa due volte e mezzo in più degli altri beni di consumo, facendo di questi i paesi più cari dove acquistare prodotti alimentari. In Angola e Zimbabwe si registra la più alta volatilità dei prezzi.   I paesi in cui la popolazione affronta le maggiori difficoltà per accedere a una quantità di cibo sufficiente - con i peggiori indici di malnutrizione e di sottopeso infantile – sono Burundi, Yemen, Madagascar e India. Al contrario gli Stati Uniti, il Messico, le isole Fiji, il Kuwait e l’Arabia Saudita ottengono punteggi più bassi a causa dell’alto numero di individui con diabete o affetti da obesità.

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