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giovedì 12 settembre 2024
 
SPORT E DIRITTI
 

Paola Gianotti: «Ora pedalo per le donne dell'Uganda»

28/04/2016  Nel 2014 è entrata nel Guinness dei primati compiendo il giro del mondo su due ruote in 144 giorni. Lo scorso gennaio ha portato a Oslo la petizione per la candidatura della bicicletta al Nobel per la pace. Ora la ciclista piemontese parte per una nuova impresa: attraversare 48 Stati degli Usa in 48 giorni per raccogliere fondi per una missione benefica.

"48 Stati - 48 Giorni - 48 Bici", ovvero attraversare i 48 Stati degli Usa contigui (esclusi Hawaii e Alaska) in 48 giorni, raccogliendo fondi per l'acquisto di almeno 48 biciclette, una per ogni Stato. Un totale di 12mila chilometri, coast to coast, con un obiettivo benefico che coinvolge le donne dell'Uganda. E' la nuova impresa della ciclista piemontese Paola Gianotti, che nel 2014 ha battuto il record mondiale compiendo il giro del mondo in bicicletta, 29.430 chilometri, in 144 giorni. La partenza per il giro degli Usa è fissata al 30 aprile.

Nata nel 1981 a Ivrea, dove tuttora vive, una laurea in Economia e commercio, la Gianotti è tra i principali sostenitori di "Bike the Nobel", la campagna lanciata dal programma Cartepillar di Rai Radio2 per candidare al Nobel per la pace la bicicletta, in quanto mezzo di pace, democrazia, libertà e sviluppo. In caso di vittoria, il Nobel verrebbe assegnato alla squadra nazionale di ciclismo femminile dell'Afghanistan, un gruppo di giovani donne coraggiose e determinate che, pedalando, rivendicano parità e libertà. Lo scorso gennaio, Paola Gianotti si è assunta il compito di portare al Comitato per il Nobel della pace a Oslo la petizione per la candidatura al Nobel, pedalando dall'Italia fino alla capitale norvegese, in pieno inverno. 

Paola, dal 2012 la bicicletta è diventata la sua professione e la sua ragione di vita.
«Sì, aveva una società che si occupava di organizzazione di eventi sportivi e culturali e formazione aziendale. Nel 2012 la crisi economica mi ha costretto a chiudere. In quel momento ha deciso di cambiare vita e di compiere il giro del mondo in bici. Le mie più grandi passioni sono la bicicletta e il viaggio. Fin da piccola ho sempre viaggiato con la mia famiglia in camper, dai 18 anni in poi in modo indipendente, zaino in spalla. Ho sempre amato lo sport, vengo da un passato di alpinismo, ho fatto anche subacquea, negli ultimi anni triathlon. Oggi tengo corsi motivazionali nelle aziende, usando la mia esperienza e le mie imprese sportive. Nel 2015 ha pubblicato un libro autobiografico, Sognando l'infinito (Piemme), non un diario di viaggio, ma un racconto molto personale, intimistico di come sono riuscita a cambiare la mia vita raggiungendo i miei obiettivi».

E' arrivata ad Oslo dall'Italia pedalando in pieno inverno. Come è stata quell'impresa?
«Ho percorso duemila chilometri in tredici giorni attraversando il Nord Europa. Sono arrivata a Oslo il 29 gennaio mattina. L'unica preoccupazione era il freddo. Nelle prime tappe ho trovato tanta neve. Poi dalla Germania in su è il tempo è migliorato, fino ai 5 gradi che trovato in Norvegia. La cosa più bella è che ho sempre pedalato su piste ciclabili: nel Nord Europa c'è una cultura della bicicletta e un rispetto per i ciclisti che sono ancora inesistenti da noi. Nell'iniziativa sono stata coinvolta da Caterpillar: loro della trasmissione seguono sempre le mie imprese, mi hanno chiesto di essere la prima firmataria della petizione per la candidatura della bicicletta al Nobel e io ho accettato». 


"Bike the Nobel" è stata sposata anche dal Touring Club, del quale lei è testimonial.
Sì, il Touring mi ha chiesto di essere loro testimonial per il 2016, che è anche un modo per modernizzare l'immagine dell'associazione. E poi, ho scoperto che il Touring ha uno stretto legame con ciò che faccio, perché in origine nacque proprio come movimento ciclistico».

La bicicletta è considerata strumento di pace e mezzo di sviluppo, soprattutto per le donne. Lei lo ha sperimentato nella sua esperienza in giro per il mondo?
«Quando si pedala si è tutto uguali, la bici è il mezzo più democratico in assoluto, non fa distinzioni sociali. La bici è viaggio, è benessere. Tra le persone che vanno in bicicletta c'è un atteggiamento di maggiore rispetto tra di loro e nei confronti del prossimo. La bici ti permette di essere a stretto contatto con la natura.  E' mezzo di spostamento fondamentale in tanti Paesi dell'Africa e dell'Asia. Ma è anche un mezzo per rivendicare la libertà e i propri diritti, come stanno facendo le ragazze della squadra nazionale di ciclismo femminile in Afghanistan. In Malesia, Paese a maggioranza musulmana, le donne non possono pedalare. Nei Paesi asiatici, dalla Thailandia a Singapore, la bicicletta è strumento di vita, viene usata al posto della macchina, per andare al mercato, al lavoro, per trasportare merci. E' bellissimo, poi, vedere i bambini che in tutto il mondo, senza differenze, usano la bici come divertimento e fonte di emozioni».

Con "48 Stati - 48 Giorni - 48 Bici" tenterà di battere un nuovo record mondiale. Ma l'impresa ha soprattutto una missione benefica, può spiegare?
«Sul mio sito www.keepbrave.com ho inserito una campagna di raccolta fondi: ad ognuna delle 48 tappe associo una bicicletta, chi vuole può donare soldi per comprarle.  Il mio obiettivo è raccogliere fondi per comprare simbolicamente 48 biciclette, una per ogni Stato attraversato, se le donazioni lo permetteranno ne comprerò molte di più. Quando terminerò il viaggio, mi recherò in Uganda, acquisterò direttamente là le biciclette da un produttore locale, con il sostegno dell'Ambasciata italiana, e le consegnerò ad almeno 48 donne in una delle zone più povere e depresse del Paese. Per questa iniziativa mi sono appoggiata a un'associazione, Bicycles against poverty,  fondata a New York da un ugandese che all'età di 7 anni contrasse la malaria e riuscì a raggiungere l'ospedale, essere curato e salvarsi grazie a una bicicletta prestata ai suoi genitori. Oggi l'associazione consegna oltre 800 bici all'anno agli ugandesi sotto forma di microcreditom, selezionando le persone a cui destinarle. Anche io sceglierò questa formula di finanziamento che, rispetto al semplice regalo, incentiva la responsabilizzazione e crea un circuito virtuoso: con i soldi restituiti si possono comprare altre biciclette da destinare ad altre persone, che a loro volta, restituendo il finanziamento, permetteranno di acquistarne altre».

(Nella foto Reuters: due cicliste della squadra nazionale femminile afghana durante un allenamento)

 
 
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