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domenica 20 aprile 2025
 
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Paolo Bolognesi: "E ora diteci chi ha voluto la strage di Bologna e chi ha cercato di intralciare la verità"

09/01/2021  A quarant'anni di distanza, il presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime ricorda la più grave strage della storia repubblicana, avvenuta il 2 agosto 1980

In testa il bus numero 37, lo stesso che, quella mattina del 2 agosto 1980, fu usato come pronto soccorso mobile. Dietro, in corteo, altri autobus con i parenti delle vittime. Il covid cambia il programma delle manifestazioni per il 40esimo anniversario della strage di Bologna che provocò 85 morti e oltre 200 feriti. La città si ferma, alle 10,25, e ricorda. Ricorda il più grave attentato della storia repubblicana. Rende onore ai caduti con un concerto a ranghi ridotti e con la piccola folla, distanziata, che assiste ai discorsi ufficiali in piazza Maggiore.

«Covid a parte, per noi questo è un giorno importante. Non è soltanto il momento in cui andiamo con il pensiero ai nostri cari che non ci sono più, ma quello in cui diciamo a tutto il Paese che bisogna continuare a indagare, che occorre trovare i mandanti e scoprire le trame che hanno tenuto l’Italia ostaggio di servizi deviati e terrorismo». Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime chiede che al dolore sia data la risposta della verità e della giustizia. «Ci siamo messi insieme già il primo giugno 1981 con l’obiettivo di capire cosa fosse successo».

Lei dov’era quella mattina?

«In treno con mia moglie. Tornavamo dalla Svizzera dove lei aveva subito un’operazione. Dovevamo arrivare a Bologna alle 10.40. Arrivammo dopo le 14. Ci dissero che c’era stato un grosso incidente, ma non sapevamo altro. Poi, appena scesi, capimmo tutto. I facchini della stazione furono i primi a dirci che si era trattato di una bomba, mentre le autorità continuavano a parlare di una caldaia esplosa».

Cosa avete fatto?

«Abbiamo cominciato la ricerca dei nostri parenti. Sapevamo che dovevano essere in quattro: mia suocera, mia madre e mio figlio Marco, di sei anni. Dopo poco li trovammo, feriti, in ospedale. Tutti tranne uno. Riconoscemmo mia suocera, Enza Sala Zanetti, in obitorio. Erano le due di notte. Aveva 50 anni ed era morta sul colpo. Nella lapide viene ricordata al numero 73».

Lei, però, non indugia molto nei ricordi personali. Perché?

«Il dolore è privato. Mi interessa, invece, e interessa al Paese, capire chi è stato».

I processi cosa hanno accertato?

«I tre processi, oltre a quelli per depistaggio, hanno condannato come esecutori materiali Francesca Mambro, Valerio Fioravanti, Luigi Ciavardini e, nel gennaio 2020 in primo grado, Gilberto Cavallini. Sono tutti esponenti neofascisti. Ritengo che siano soltanto una parte degli esecutori veri e propri. In ogni caso noi aspettiamo che siano identificati i mandanti, anche se alcuni di loro, intanto, sono deceduti».

Le indagini dove portano?

«Ai vertici della Loggia massonica P2. Licio Gelli che, ricordiamolo fu il primo ad accreditare la tesi di un carico di esplosivo accidentalmente fatto saltare in aria da una cicca di sigaro, e Umberto Ortolani, che gestiva le finanze della p2. E poi le inchieste portano a Federico Umberto D’Amato, capo ufficio degli affari riservati del Viminale, e al senatore del movimento sociale nonché direttore de Il Borghese, Mario Tedeschi, anche lui iscritto alla loggia massonica».

Tanti processi e tante piste che si intrecciano?

«Sì, ma vorrei ricordare almeno qualche altro nome: l’ex generale del Sisde Quintino Spella, l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, entrambi accusati di depistaggio, e Domenico Catracchia, l’amministratore del condominio di via Gradoli dove c’erano gli appartamenti dei servizi segreti ceduti sia alle Brigate rosse che ai Nuclei armati rivoluzionari. Queste sono tutte cose che fanno riflettere. E il fatto che Spella, per esempio, nonostante abbia 90 anni, non se la senta neppure adesso di chiarire cosa avvenne la dice lunga sui poteri forti che ancora ci sono».

Cosa vuole dire?

«Quello che disse Tina Anselmi quando presiedeva la commissione d’inchiesta sulla P2: “Poiché manca la sensibilità adeguata, dopo la P2 verrà la terza e la quarta”. Non vorrei che fossimo già alla P5».

Mambro e Fioravanti si sono sempre detti innocenti. Lei è convinto del contrario?

«Certo. Lo dicono i processi, le sentenze, le prove. Credo che si professino innocenti per due motivi. Il primo è che una strage non è spiegabile neppure a quelli della propria parte e sicuramente avrebbe fatto venir meno le simpatie anche dei settori della destra a cui appartenevano. Il secondo motivo è che, se ti dichiari colpevole, devi poi anche dire chi eri e quali erano i tuoi contatti con i servizi. A me sembra che, nei loro confronti, ci siano ancora delle coperture. Non mi spiego altrimenti il fatto che due persone che sono state condannate l’uno a otto ergastoli e l’altra a nove, abbiano già potuto scontare la pena».

Ma perché una strage con così tanti morti?

«Credo che, nella mente dei mandanti e degli ispiratori politici che spero vengano identificati, fosse la spallata definitiva al nostro sistema democratico. Da lì doveva cominciare il piano di rinascita della P2. Fino al 1974 si voleva un rovesciamento diverso, militare, sul modello dei colonnelli in Grecia. Con la caduta di Nixon tutto cambia e allora si cerca di sovvertire dall’interno le istituzioni democratiche. Bologna credo sia proprio questo. In tanti hanno anche proposto delle piste estere. Accanto ad alcune bufale come quella palestinese o il presunto intreccio con Ustica, credo che ci sia del vero sugli interessi che avevano anche alcuni servizi stranieri. Cerchiamo, però, di capire innanzitutto cosa ha fatto l’Italia e dopo, semmai, cerchiamo altri collegamenti. Anche se, il fatto che ancora oggi, nel 2020, dopo 40 anni, ci siano reticenze non è certamente un buon segno».

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